IL DOCUMENTO / Il testo integrale del discorso di Michela Murgia a Nuoro

Parlare alla fine di questa giornata di incontri e di progetti è un onore prezioso che mi fa sentire grata a voi tutti. Voglio ringraziare prima di chiunque proprio te, Franco. La tua passione per il presente e la tua lungimiranza del futuro fanno di te il miglior segretario che Progres potesse sperare di avere in questi tempi difficili. In te ringrazio tutto il partito, protagonista di un momento di generosità e di forza non comuni: amici e amiche, siamo passati insieme dentro a molte difficoltà, ma oggi siamo qui e possiamo dire che non abbiamo mai perso di vista il bene che stavamo costruendo, anche quando non lo vedeva nessun altro oltre noi. Insieme in questi anni abbiamo tenuto ferma la nostra speranza, che non vuol dire fantasticare il lieto fine, ma sapere che le cose che stiamo facendo hanno un senso che supera di molto il loro risultato. Per questo vi dico: Grazie.

Voglio dire grazie anche a te, Romina, che non vieni dal nostro stesso percorso, ma hai capito subito che il respiro di questo progetto era quello di offrire cittadinanza a chiunque desiderasse impegnarsi con generosità per il cambiamento di questa terra. Quella generosità ti appartiene con forza e per questo in te ringrazio tutti quelli che stanno facendo proprio il progetto comune e continueranno a farlo nei prossimi mesi.

Voglio infine dire grazie a te, Bachis, perché di questo vivace ginepro sei una delle radici più forti e stabili. Tu qui oggi a parlare di libertà e futuro sei la prova che i patti d’onore tra le generazioni di questa terra non sono stati tutti traditi.
È anche grazie a voi se questa sera io posso dire che Accetto la candidatura a presidente della regione.

Il mio sì nasce dal sostegno forte di Franco, di Romina, di Bachisio e di tante altre persone che sono e saranno importanti, ma in questa decisione hanno avuto un peso determinante le persone che ho incontrato in questi due mesi e le loro preziose storie. Storie normali, storie che raccontano una Sardegna vera e possibile. Ho incontrato Giuseppe e Laura Cugusi e Giovanni e Michelina Busia, che mi hanno dimostrato che dai saperi più antichi si possono fare cose molto nuove, che muovono insieme economia e territorio. Ho conosciuto Daniela Ducato, che ha trasformato in risorsa per l’edilizia sostenibile quello che ci avevano abituato a chiamare rifiuto speciale: la lana delle nostre pecore. Ho incontrato i metalli di Andrea e Vittorio Bruno, le filigrane di Antonello Delogu e il vetro di Chiara Sechi, artigiani e artisti il cui sapere è un’industria sostenibile che silenziosamente dà lavoro a centinaia di persone sull’isola. Ho conosciuto Martina Fanni e il suo nido d’infanzia dove si parla ai bambini in sardo e in italiano: nella sua storia ho riconosciuto le mie trascorse difficoltà di precaria e la stessa determinazione nel volercela fare a dispetto di un mondo del lavoro che non ha posto per le donne, meno che mai se madri. Ho incontrato Efisio Rosso, che è stato su questo palco nell’incontro sulle reti, un uomo che non solo ha re-inventato il proprio lavoro dentro alla filiera del grano, ma che ha saputo immaginare e costruire anche il lavoro e i diritti degli altri. Enrico Atzeni e Gianluca Podda con la loro scuola di musica mi hanno dimostrato che anche nei posti piccoli ci si può inventare qualcosa di grande e in grado di restituire vitalità a un intero territorio. Daniele Cossu e Maria Rosaria Usai mi hanno mostrato le potenzialità dell’agricoltura apiaria, uno dei mille mercati potenziali che non stiamo sfruttando, e Paolo Mele mi ha spiegato cosa vuol dire per un’azienda con settanta dipendenti dover rischiare ogni mese il rosso anche se si è sani, perché il sistema di credito italiano non supporta le nostre imprese. Ho ascoltato i loro problemi e le loro soluzioni e le ho trovate meravigliose, piene di creatività e passione per il proprio lavoro e per la propria terra, anche nelle difficoltà. A queste persone dico grazie: voi la Sardegna possibile la state costruendo tutti i giorni. E voglio anche chiedervi scusa per tutte le volte che abbiamo ripetuto che i sardi non sono capaci, non sono imprenditori, non sono collaborativi e sono invidiosi: voi ci ricordate quanta generosità, inventiva e capacità di relazione c’è nella nostra isola. È ora di ricominciare tutti a vederla e, dove non c’è, anche a costruirla.
Nel percorso che abbiamo davanti hanno un posto speciale tre giacimenti di risorse preziose che in questo momento non sono sufficientemente valutati.
Il primo di questi giacimenti siamo noi: la nostra intelligenza, le nostre relazioni e i nostri saperi storici sono un bene preziosissimo che fino a ora abbiamo permesso che venissero negati. Ci siamo fatti chiamare “forza lavoro”, come se fossimo animali da soma. Ci siamo fatti definire “risorse umane”, come se non fossero le nostre individualità unite a fare la differenza. Abbiamo permesso che ci chiamassero “esuberi”, “cassaintegrati”, “esodate” e “esodati”, come se fossimo materia informe e senza volto che trabocca da un barattolo che hanno fatto diventare troppo piccolo per noi. Ci hanno detto che dovevamo accettare fabbriche improbabili, modelli di sviluppo estranei, sistemi petrolchimici inquinanti e ogni tipo di devastazione, perché “tanto qui non c’è niente”. Come hanno potuto farci credere che qui non ci fosse nulla, mentre invece ci siamo noi? Come è stato possibile? Solo una narrazione mortifera poteva convincerci di non esistere e di non valere nulla.

Non possiamo permettere che questo accada nuovamente. La risorsa più importante della Sardegna non è il mare, non è il carbone e non è il maestrale: siamo noi sardi. Riconoscere questo significa dare centralità all’istruzione, alla preparazione dei nostri ragazzi e ragazze e alla formazione costante di noi stessi, ai saperi antichi e nuovi, alle scuole istituzionali e a quelle improprie. Significa valorizzare la nostra cultura per intero, da quella antica perché non si perda la memoria di quello che siamo stati, a quella moderna e contemporanea, perché questa ci rivela cosa stiamo diventando. Il concetto di “bene culturale” deve allargarsi, mettendo tutte le nostre relazioni di popolo al centro di ogni scelta. Se qualcosa cambierà in questa nostra nazione è perché ciascuno di noi avrà ricevuto gli strumenti per immaginarla diversa.

Il secondo giacimento di cui dobbiamo re-impossessarci è la produttività della nostra terra. Le guerre del passato sono state fatte per il cibo, comprese quelle che si sono combattute in Sardegna nei secoli e ci hanno fatto diventare di volta in volta il granaio di un occupante e la vigna di un altro. Le battaglie del futuro non saranno diverse: al centro dello sviluppo delle economie moderne ci sono e ci saranno sempre le risorse alimentari. Già da oggi chi può produrre cibo di qualità ha in mano un bene che vale mille fabbriche: i nostri politici questo non lo capiscono e per molto tempo ci hanno indotti a credere che la campagna fosse la risorsa dei poveri del passato, di chi non aveva studiato e non aveva strumenti per guadagnarsi un futuro diverso. È il contrario: la terra è l’eredità dei ricchi del futuro. Dobbiamo fare in modo che l’agricoltura ritorni produttiva e centrale nelle nostre politiche e che chi lavora la terra, il mare e il bestiame non sia più ridotto a bracciante senza specializzazione alcuna, ma sia riconosciuto per il suo apporto prezioso, supportato da tutte le politiche di ricerca e di formazione e promosso commercialmente in ogni mercato possibile, soprattutto quelli che fino a ora l’Italia, per le sue scelte di interesse non è stata capace di immaginare per i nostri prodotti. Dobbiamo farlo noi, perché coltivando la terra conquistiamo sovranità reale sul nostro presente e rendiamo subito libero il nostro futuro.

Il terzo giacimento di cui dobbiamo avere coscienza sono le potenzialità delle nuove economie, soprattutto nel terziario, e i modi nuovi di mantenere le economie presenti. Per farlo, oltre a un diverso concetto di formazione delle competenze, è necessario investire maggiormente sulle nuove tecnologie e sulle energie rinnovabili, due settori in grado di aprirci nuove strade d’impiego. La politica regionale in questi anni ha creduto di risolvere il destino di chi stava perdendo il lavoro sprecando valanghe di soldi pubblici per tenere in piedi le industrie in crisi. Nessun consiglio regionale è stato capace di fare le scelte necessarie per separare il destino dei lavoratori da quello delle loro aziende. Queste ultime sono imprese di mercato, possono andarsene e anche chiudere, ma con esse non può chiudersi l’orizzonte umano di chi resta senza quel lavoro. Per questo non si può continuare a foraggiare il traballante status quo dei grandi gruppi industriali come se fossero una risorsa dell’economia sarda. È vero il contrario: finora siamo stati noi a pagare, a colpi di milioni di euro pubblici e di acritiche disponibilità politiche, a costituire una risorsa per questo tipo di industria, grandi soggetti, i cui interessi volatili sono e saranno pronti a spostarsi altrove nello stesso istante in cui dovesse convenire loro di più, lasciando a noi macerie, inquinamento, disoccupazione e dispersione di saperi. La risposta alla necessità di lavoro non sta nell’accettare qualunque lavoro ci offrano a prezzo di qualunque sacrificio di terra e di salute. La risposta è investire sulla progettazione di economie integrate a nostra misura, amiche e figlie della Sardegna che vogliamo abitare. Per questo ho sostenuto e tuttora sostengo la lotta di Arborea, di cui avete sentito parlare questo pomeriggio grazie al lavoro di resistenza del comitato No al progetto Eleonora. I cittadini di Arborea non hanno voluto credere che il prezzo della loro competitività industriale fosse inquinare il territorio, mettere a rischio la salute di chi lo abita e sottrarre risorse alle altre economie esistenti. Al bisogno di energia a basso costo delle imprese sarde la politica doveva rispondere approntando un piano energetico regionale, questo non è mai stato fatto. Il risultato è che fino a oggi la politica sarda, anziché organizzarla perché desse reddito ai sardi, ha regalato a decine di aziende di ogni parte del mondo la possibilità di sfruttare la risorsa del vento e quella del sole in assenza totale di regole condivise. Abbiamo la possibilità di fondare la nostra economia futura sulla produzione e la vendita di energia da fonti che non si esauriscono, che non inquinano e che non lasciano il territorio sventrato.
Nelle nuove energie c’è l’utilizzo comune delle terre bonificabili, quelle che non potranno essere coltivate per anni e anni, ma soprattutto ci sono i posti di lavoro del nostro presente e del nostro futuro.

Noi queste soluzioni le abbiamo: come avete sentito stamattina nel forum sull’energia, abbiamo ottimi motivi per fidarci sempre meno dei grandi interessi industriali che hanno già devastato la nostra terra e sempre più dei nostri giovani innovatori e della loro capacità di immaginare nuove economie a servizio di tutti.

Siamo ad agosto e già molti ci chiedono che programma abbiamo. Ne sono felice. “Cosa vuoi fare?” è una domanda che riporta al centro del dibattito politico l’unica cosa che davvero dovrebbe importare: le scelte. L’orizzonte che ci interessa ve lo ha annunciato Franco, ve lo ha raccontato Romina, ve lo ha sintetizzato Bachisio e io vi ho detto che si fonderà sui tre assi di cultura e istruzione, riqualificazione delle produzioni primarie e nuove economie nel rispetto dell’ambiente. Io però voglio raccontarvi attraverso quali scelte saranno ottenuti questi obiettivi: questa campagna elettorale non sarà una di quelle a cui siamo stati abituati. Nessuno verrà da voi due mesi prima del voto a mostrarvi venti pagine di un programma scritto a tavolino, magari clonato da quello di una regione italiana. Prima di dare le risposte la politica deve tornare capace di ascoltare le domande delle persone. A partire dalla prossima settimana decine di attivisti di questo progetto andranno a fare quello che ho fatto io in questi due mesi: ascoltare i sardi, farsi raccontare problemi e prospettive e farsi mostrare cosa succede veramente dalla più remota delle campagne al più grande dei centri urbani. Durante l’autunno individueremo insieme le domande principali dei territori e attiveremo i processi partecipativi dove noi tutti, saremo coinvolti in prima persona nel trovare insieme le risposte condivise. Nel fare questo saremo supportati da Iolanda Romano, una delle massime esperte europee di processi partecipativi, che ha accettato di lavorare con noi perché, ha detto, è la prima volta che un politico la chiama prima di fare le scelte: di solito la chiamano quando i disastri sono già successi. Grazie al lavoro di decine di operatori e al suo prezioso coordinamento, a dicembre presenteremo il programma dettagliato e sarà il frutto di un lavoro condiviso con le forze vitali dei territori: più ci faremo coinvolgere, più quello che ne emerge ci somiglierà.

Ma non vogliamo fermarci a questo. Il giorno in cui presenteremo ai sardi il frutto di quel coinvolgimento saprete anche chi sono gli assessori che si prenderanno carico di realizzare quelle scelte. Ripeto: saprete chi sono gli assessori molto prima di andare alle urne. Non aspetteremo il risultato del voto per dirvi i loro nomi. Ce lo possiamo permettere: non abbiamo correnti o fazioni che si stanno facendo la guerra all’ultimo sangue per decidere chi si spartirà la poltrona. Non abbiamo nemmeno un capo supremo che ci ordina dalla sua villa a chi dobbiamo dare questo o quel potere. Abbiamo invece passione politica, persone preparate e una precisa visione della Sardegna che vogliamo; per questo non abbiamo paura di metterci la faccia prima e presentarvi il gruppo che governerà questo processo di cambiamento.

Voi mi avete chiesto “cosa vuoi fare?”, ma sono settimane che invece i politici dei vecchi schieramenti mi fanno un’altra domanda, l’unica che sembra interessante per loro “con chi sei?”. A destra vogliono sapere se siamo con la sinistra e a sinistra vogliono sapere con quale dei frantumi della sinistra intendiamo apparentarci. Non posso rispondere a queste domande. Per me non hanno senso. La coalizione che stiamo costruendo, che oltre a Progres è fatta di forze civiche vitali e dei molti amministratori e sindaci che si stanno unendo al percorso, starà con i sardi, non con i partiti che hanno portato l’isola alla rovina.

Mi rivolgo quindi prima di tutto agli amici indipendentisti: questo progetto è aperto. Se l’idea di associarvi al centro-sinistra o del centro-destra non vi sembra dignitosa né politicamente adeguata a quello che rappresentate, sappiate che questa è casa vostra ed è una casa dove non dovrete mai camuffare con furbi neologismi la sola parola che ci rappresenta: “indipendenza”. È solo uscendo dal rapporto di dipendenza dalle decisioni delle segreterie italiane, e non entrandoci, che sarà possibile costruire la Sardegna che desideriamo.

Mi rivolgo però anche agli amici e alle amiche del centro-sinistra. Quanti ne conosco, quanti, che non si riconoscono più nel loro partito e nelle sue scelte! Quanti che si sentono traditi dall’assenza di prospettiva politica, dalla litigiosità interna, dalle guerre infinite tra consorterie e potentati! Molte volte vi hanno imposto la logica del voto utile: votate noi comunque, altrimenti vince la destra. Sono vent’anni che in questo mondo si vota contro qualcosa, ma il consenso agli elettori non si chiede sulla base di una paura: si chiede sulla base di una proposta. Se il centro-sinistra ha da offrivi solo la sua paura, qui non è così. Non vi chiedo di votare per sconfiggere un avversario, ma di farlo per far vincere la passione verso un’idea, una visione, una proposta di società, che è l’unica cosa che rende la politica bella e dignitosa. So che per settimane si è vagheggiato sui giornali che io potessi fare le primarie del centro-sinistra, ma devo darvi una notizia: nessuno ha mai chiesto a me se le volessi fare. Se lo sono minacciati tra loro per influenzare a vicenda i loro equilibri interni di potere, ma io non appartengo a quelle logiche, né mi interessa appartenervi. Credo che non vi appartenga nemmeno la maggioranza degli elettori di sinistra, che da anni attende di sentirsi fare una proposta di società e riceve in cambio scelte incomprensibili per la sua sensibilità, visioni incompatibili con un orizzonte progressista e persino accordi di governo con quelle stesse parti contro le quali si era andati a votare. Alle prossime elezioni non sarete chiamati a scegliere tra destra e sinistra, ma tra chi vi propone la paura, la confusione, la divisione dei giochi di potere, e chi invece vi offre una proposta, una passione e la prospettiva di una Sardegna possibile. Ciò che io vi chiedo è un atto di coraggio.

Mi rivolgo anche agli amici e alle amiche che fino a ora hanno votato centro-destra e soprattutto agli imprenditori e alle imprenditrici che in questo momento stanno faticando a fare economia in Sardegna, schiacciati da condizioni proibitive e da mercati fanaticamente rivolti al ribasso. So bene cosa state facendo e quanto sia faticoso per voi tenere in piedi l’economia di quest’isola, continuare a dare lavoro ai vostri dipendenti e non smettere di far camminare le idee che vi hanno portato ad aprire le vostre aziende. Le storie delle persone che ho incontrato in questi mesi sono storie di imprenditoria, di creatività, di rischio e passione per il nuovo. Credevo di sentire i loro protagonisti parlare di crisi, di stagnazione del mercato, di recessione, invece la maggior parte di loro mi ha confidato che sta morendo di burocrazia, di tempo perso, di folli richieste di pratiche, di controlli ossessivi in aspetti marginali del lavoro e di assenza di politiche pubbliche volte a promuovere e sostenere l’attività imprenditoriale a tutti i livelli, tranne quella dei grandi interessi economici. Ma la Sardegna non è fatta di grandi interessi economici: è fatta di piccole e medie imprese a conduzione quasi sempre familiare che hanno bisogno di tre cose: credito per sostenere la libera iniziativa, semplificazione burocratica per avere un rapporto con il mondo non mediato dalle pastoie italiane e un calibrato supporto istituzionale. Questo tavolo politico è aperto anche per voi, perché nel progetto che stiamo costruendo l’imprenditorialità è uno degli elementi centrali. Sono convinta che l’unica Sardegna LIBERA possibile è quella che riparte dal lavoro e dall’intelligenza delle persone, dalle capacità imprenditoriali.

Mi rivolgo anche agli amici che hanno dato fiducia al Movimento Cinque Stelle perché spalancasse le finestre nelle stanze chiuse della politica. I numeri hanno dimostrato che anche in Sardegna molti di voi sono stanchi della corruzione del vecchio e cercano proposte alternative. Ora è il momento in cui quell’entusiasmo e anche la giusta rabbia che lo muoveva devono diventare progetto, perché la volontà di cambiare ha valore solo se annuncia una visione di mondo costruttiva. Questa terra ha bisogno di soggetti capaci di stringere un nuovo patto con il proprio territorio e con le forze di cambiamento che lo animano. Se votare per rabbia non vi basta più, questo progetto qui in Sardegna è anche casa vostra. Nella Sardegna che vogliamo costruire non sarà sufficiente cercare colpevoli: noi cerchiamo soluzioni.

Infine mi rivolgo alla maggioranza dei sardi, quel 40% che a.le urne non va più da tempo. So che non avete perso la strada per il seggio né la capacità di fare una “x” sulla scheda. Vi hanno invece fatto perdere la fiducia nell’idea che questa politica – tutta, senza distinzioni – potesse rappresentarvi. Siete persone libere, perché potete scegliere di non andare a votare. Molti sardi hanno promesso il voto a qualcuno in cambio di qualcosa: un favore ricevuto, la promessa di un posto per sé o per i figli, il patto innominabile di clientela con un potente. Voi no. Il vostro voto ha un prezzo più alto: si chiama “fiducia” e i politici non lo possono pagare a colpi di favori. A voi chiediamo di guardarci, di stare a vedere cosa faremo durante questi mesi, di osservare come e dove lo faremo, di giudicarci dalle scelte, perché anche il modo in cui si portano avanti le campagne elettorali racconta la storia di chi le sta conducendo. Se alla fine di questo percorso vi sarà tornata la voglia di fidarvi di una proposta politica, la nostra battaglia sarà già vinta.

M’anti cuntzillau de no mi ponni a chistionai in sardu, poita seus in Nugoro e deu seu campidanesa e podit essi ca meda genti no cumprendat totu su chi naru. M’anti nau de non chistionai in sardu poita seus ascurtaus in streaming da medas amigus in sa retza internet, fentzas dae s’Italia e dae s’Europa, e podit essi ca medas no cumprendant nudda de su chi naru. M’anti nau fentzas de no mi ponni a chistionai in sardu poita su sardu no est limba de cosas ofitzialis e de importu, ma sceti de brullas e de cunfidentzia. Deu custa cosa no dda creu. Est accabau su tempus po is sardus de no si cumprendi a pari. Sa limba nos at dividiu po tropu tempus e nos si seus lassaus dividi. Cumentzat oi unu tempu de unidade e su chi s’at dividiu si depit furriai a cimentu de amistade. Su progetu chi seus andendi a fai est cosa de importu tropu mannu po ddu contai a is fillus in d’una limba sola. Is limbas no funti sceti fueddus: funti bisus de mundu, crais po d’aperri e sinnos po essi connotos a intru e a foras comenti ‘e popolu. Duncas in custa campagna elettorali no si spanteas si s’eis a intendi chistionendi is limbas nostas, totus is chi teneus: est tempus po sa Sardigna de ndi bogai a foras d’ognia prenda e de si fai bella comenti mai est istetia. A sa Sardigna chi chereus no d’at a mancai nudda: mancu sa limba.

È con questa visione in mano, che è l’orizzonte di noi tutti, che vi chiedo di impegnarvi, dando la vostra disponibilità perché questo progetto raggiunga tutti i sardi e faccia desiderare loro un modo diverso di essere Sardegna.
Costruiamola insieme, questa Sardegna possibile.

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