I voti decisivi del candidato presidente: come funziona la legge elettorale sarda

Le elezioni regionali le vince il candidato presidente. È questo il primo principio della legge sarda che sarà applicata anche al voto del 24 febbraio. È dal 2004 che nell’Isola il governatore viene scelto direttamente dai cittadini, mentre sino al 1999 lo decideva il Consiglio regionale, così come succede in Parlamento. La norma che regola la più importante chiamata alle urne della Sardegna è datata 2013 ed è stata modificata lo scorso novembre con l’introduzione della doppia preferenza di genere. La nuova legislatura sarà la sedicesima della storia autonomista, mentre il presidente eletto diventerà il venticinquesimo ‘capo’ della Regione, dal 1949. Ma vediamo nei dettagli cosa prevedono i principali articoli della legge.

IL PRESIDENTE. Con l’elezione diretta del governatore, i voti che prende il candidato alla presidenza contano di più rispetto alle liste. È successo anche nel 2014: il centrosinistra ha vinto perché Francesco Pigliaru ha raccolto più preferenze rispetto a Ugo Cappellacci: precisamente 312.982 contro 292.395. E questo anche se le liste del centrodestra, collegate a Cappellacci, avevamo sommato più voti rispetto a quelle di Pd e alleati: 299.349 per lo schieramento guidato da Forza Italia e 289.573 per il centrosinistra.

IL CONSIGLIO REGIONALE. Nella massima assemblea sarda c’è posto per sessanta consiglieri (erano 80 nel quinquennio 2009-2014). Il sessantesimo rappresentante dell’Aula è il governatore che è pure il capo della Giunta. Le liste coi nomi degli aspiranti consiglieri sono infatti da 59. Ciascuno eletto nell’Assemblea equivale a un seggio.

PREMIO DI MAGGIORANZA. Collegato all’elezione diretta del presidente c’è il premio che scatta per garantire la governabilità della Regione e per questo si chiama “di maggioranza”. Viene calcolato sulla base dei voti raccolti dal candidato governatore. Il quale garantisce alla propria il coalizione il diritto ad avere un premio del 55 per cento – pari a 33 consiglieri – qualora prenda un consenso tra il 25 e il 40 per cento. Se invece il governatore eletto ha superato la soglia del 40, il premio è al 60 per cento, pari a 36 seggi. Nell’Assemblea uscente il centrosinistra – al netto dei cambi avvenuti nel corso della legislatura – era formato da 36 consiglieri contro i 24 dell’opposizione. Pigliaru infatti aveva superato il 40 per cento. In caso di consenso sopra il 60 per cento o sotto il 25, non scatta alcun premio di maggioranza: i seggi vengono attribuiti su base proporzionale.

VOTO DISGIUNTO. Con la legge elettorale in vigore si può votare il candidato presidente di una coalizione e il candidato consigliere che è in lista col partito di uno schieramento avversario. Questa opzione si chiama appunto voto disgiunto e spiega perché un aspirante governatore, come nel caso di Cappellacci, può raccogliere meno voti rispetto alle proprie liste. O di più come è riuscito a Pigliaru.

SEGGI PER I CANDIDATI PRESIDENTE. Il 24 febbraio i candidati alla carica di presidente sono con certezza 6. In ordine alfabetico: Francesco Desogus (M5s), Paolo Maninchedda (Partito dei Sardi), Andrea Murgia (AutodetermiNatzione), Mauro Pili (Sardi liberi), Christian Solinas (Centrodestra), Massimo Zedda (polo civico-politico di centrosinistra). La corsa diventerà a 7 nel caso in cui raccoglierà le firme la magistrata Ines Simona Pisano. Di questi aspiranti presidenti in Consiglio ne entreranno solo due: il governatore che vince le elezioni e il secondo più votato.

CIRCOSCRIZIONI ELETTORALI. I 59 nomi con cui si formano le liste collegate a un candidato presidente devono essere rappresentativi dell’intera Isola. Per garantire il rispetto di questo principio, la Sardegna è stata divisa in circoscrizioni elettorali, dette anche collegi: sono otto e corrispondono alle vecchie e nuove province. A ciascuna circoscrizione è attribuito un numero preciso di seggi in base alla popolazione. Cagliari (ed ex provincia) è il collegio più grande, con 20 seggi. Vuol dire che i partiti devono candidare 20 persone. La circoscrizione di Sassari è da 12. I collegi di Gallura, Nuoro e Oristano sono da 6. Quello del Sulcis è 4, il Medio Campidano da 3, l’Ogliastra da 2. La legge elettorale stabilisce che ciascuna circoscrizione dovrà essere rappresentata da almeno un consigliere.

LISTE PARITARIE. Rispetto alla dimensione della circoscrizione elettorale vanno composte le liste che quest’anno, per la prima volta, devono rispettare il principio della parità: è dunque obbligatorio che il numero delle donne candidate sia uguale a quello degli uomini. Questa modifica verrà applicata per la prima volta con le elezioni di febbraio. Il principio della parità è una rivoluzione culturale recente che ha l’obiettivo di facilitare l’ingresso delle donne in politica. Con la legge del 2013 c’era stato, in questo senso, un ‘assaggio’: nelle liste ciascuno dei due generi era rappresentato da almeno un terzo di candidati. Adesso la proporzione è 50 e 50. A Cagliari dovranno essere messi in lista dieci uomini e altrettante donne. A Sassari 6 e 6. In Gallura, nel Nuorese e nell’Oristanese 3 e 3. Nel Sulcis 2 e due. In Ogliastra un uomo e una donna. Discorso a parte il Medio Campidano che ha liste da 3, ma per rispettare il principio paritario i candidati saranno due per ciascun genere.

DOPPIA PREFERENZA. Contestualmente alle candidature perfettamente equilibrate tra uomini e donne, con la modifica di novembre è stata introdotta anche la doppia preferenza di genere: significa che all’interno di una stessa lista si possono dare due voti, uno a un uomo e l’altro una donna. I quali, è pratica sempre più diffusa, si presentano agli elettori col cosiddetto ticket. Spesso i due ‘alleati’ fanno insieme anche il santino.

SBARRAMENTI. Chiudiamo questo pezzo dedicato alla legge elettorale con gli sbarramenti, ovvero il consenso minimo che i partiti o le coalizioni hanno l’obbligo di raccogliere per entrare nella ripartizione dei seggi e quindi sperare di conquistare uno scranno in Consiglio. La lista unica collegata a un candidato governatore deve arrivare almeno al 5 per cento. Uno schieramento formato da più liste non può stare sotto il 10 per cento. Stavolta, però, con contano i voti presi dal candidato presidente: lo sbarramento si calcola in base ai voti delle liste, così come previsto al comma 7 dell’articolo 1. Per questo Michela Murgia, nel 2014, è rimasta fuori dal Consiglio: come candidata governatrice aveva raccolto il 10,3 per cento (75.981 voti), ma le tre liste si fermarono al 6,77 (46.109 preferenze). Sarebbe servito, oggi come allora, il 10 per cento.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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