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I tanti padri della legge-burka

Legge elettorale: a bocciare la doppia preferenza di genere anche una parte dell’opposizione, protetta dal voto segreto.

Resta invalicabile la cortina del voto segreto. Ma sulla doppia preferenza di genere, bocciata ieri sera dal Consiglio regionale, arrivano le bombe. Fuoco amico e spari trasversali. Di tutto un po’, insomma. Resta il fatto che qualche certezza in più si raccoglie, a cominciare dagli assenti: dall’Aula mancavano cinque consiglieri, di cui tre sono anche assessori. E cioè Oscar Cherchi (Pdl), Sergio Milia (Udc) e Antonello Liori (Fratelli d’Italia). Poi: con le sei donne dell’Assemblea non ha fatto squadra la presidente Claudia Lombardo (Sardegna è già domani) che ha scelto l’astensione (ma lo fa sempre, e per tutto).

QUADRO GENERALE. Eccola qua la mappa del voto sulla rappresentanza femminile in Consiglio, un tassello che non verrà aggiunto alla nuova legge elettorale. Il traguardo è sfumato per via di 40 “no” (34 i “sì”). A conti fatti, Aula trasformata in mela spaccata in due. E considerando che normalmente le proporzioni tra maggioranza e opposizione sono 53 contro 27, vien da sé che la doppia preferenza l’abbia affossata un’alleanza trasversale.

I NUMERI. Ma prima di tutto gli assenti, i cosiddetti congedati, quelli che avevano comunicato alla Lombardo che ieri non avrebbero partecipato alla seduta. In quota Pdl non c’era l’assessore Cherchi, titolare dell’Agricoltura. Niente voto nemmeno per il centrista Milia (Pubblica istruzione) e per Liori (Industria). Nella lista pure i consiglieri Vincenzo Floris (Pd) e Giovanni Mariani (ex Idv, ora Gruppo misto).

VOTI PESANTI. Quindi: le sedie vuote erano cinque sulle ottanta totali. Il presidente Ugo Cappellacci era presente e ha votato a favore della doppia preferenza. L’ha detto Simona De Francisci alle donne del “Coordinamento per la democrazia paritaria e partecipate”, un gruppetto rosa imbufalito da ieri sera. La giornalista prestata alla politica, vice del governatore e assessore alla Sanità, ha preso pure lei una posizione netta. Ovvero, ha seguito la scia di Gabriella Greco, la pidiellina che prima è andata contro gli uomini berlusconiani, poi ha presentato un emendamento per far diventare legge la preferenza di genere, infine ha guidato in battaglia le sei donne del Consiglio, di cui quattro hanno la bandiera Pdl. I nomi: oltre la Greco e la De Francisci, ci sono l’assessore alla Programmazione Alessandra Zedda e il consigliere Rosanna Floris. Si aggiungano Lina Lunesu (Fratelli d’Italia) e Claudia Zuncheddu (Sardigna libera).

CASO A SÉ. Sul fronte Lombardo, l’astensione della presidente per un verso ha sorpreso, vista la straordinarietà della posta in gioco. Ma la numero uno dell’Aula, proprio per difendere l’imparzialità che richiede il suo ruolo (lei non vota mai), non ha fatto eccezioni, sebbene abbia spedito un comunicato chiaro: «La doppia preferenza di genere non era tesa a garantire una rendita di posizione alle donne, ma, al contrario, a creare le stesse opportunità di accesso alle cariche elettive, oggi evidentemente negate». Il finale non è affatto morbido: «Ancora una volta il buon senso ha prevalso sull’istinto di sopravvivenza».

FUOCO AMICO. Intanto nel Pdl Carlo Sanjust non ha nulla da nascondere: «Io ho votato contro la doppia preferenza, non credo sia la strada giusta per garantire la rappresentanza femminile in politica». Sanjust ne ha per tutti, tanto che su Facebook, già da ieri notte, ha inanellato una raffica di post sui partiti che «si riempiono la bocca con la doppia preferenza e poi non candidano le donne. Mi riferisco ai Riformatori, ma anche al sardista Paolo Maninchedda». Sanjust non lesina affondi contro le sue colleghe pidielline: «Per le Comunali di Cagliari avevamo chiesto loro di candidarsi, visto il ruolo svolto in Consiglio regionale, ma non hanno accettato. La verità è che le donne non possono pensare di vincere facile, e nemmeno trasformare la loro rappresentanza in una presa per i fondelli».

IL CONTEGGIO. E se – donne a parte – si può ipotizzare che i 40 “no” siano arrivati quasi tutti dal Pdl, il berlusconiano Renato Lai si tira fuori: «Io ho votato a favore», dice, «una posizione che da sempre ho comunicato al mio gruppo». Giura di aver appoggiato la doppia preferenza anche Franco Cuccureddu (Mpa). Idem i quattro Fratelli d’Italia (Matteo Sanna, Teodoro Rodin, Domenico Gallus e Eugenio Murgioni). Di certo, facendo l’ennesimo conteggio, vien da sé che non tutti gli ottanta del Consiglio stanno dicendo la verità. Infatti: per arrivare ai 40 “no”, non bastano i voti del Pdl: il partito leader dell’Aula ne mette insieme solo 13, visto che le quattro donne hanno detto “sì” insieme a Lai. Infatti: con Mario Diana e Ben Amara si arriva a 15. Ancora: coi quattro Udc si tocca la soglia dei diciannove. Giacomo Sanna, il presidente del Psd’Az, non ha mai fatto mistero della contrarietà alla doppia preferenza. Significa ventesimo “no”. Ne mancano altrettanti, ma tutti tacciono.

FRONTE DEL SÍ. Nella battaglia tra generi spara a zero pure Adriano Salis (l’ex Idv del Gruppo misto) che ha messo il sigillo, da primo firmatario, a uno dei due emendamenti cancellati dall’Aula. «In Consiglio – dice – si è consumata una scelta di inciviltà. Io invito l’onorevole Greco a seguire l’esempio di Efisio Arbau (La Base)» che ieri, in segno di protesta, ha scaricato il gruppo di Mario Diana (Sardegna è già domani). Ovvero, il consigliere che ha chiesto e ottenuto il voto segreto. La Greco non si fa intimidire da Salis: «Il mio gruppo (di cui è anche la vicepresidente) non lo lascio, perché le battaglie si fanno dentro, non fuori. Ai miei colleghi ho ribadito tutto il mio disappunto».

PD E UDC. In quota democratica è Cesare Moriconi a scoprire le carte: «Io ho detto “sì” alla doppia preferenza e considero la bocciatura una grave opportunità mancata per tutti. Ma ci sono colleghi che la pensano diversamente e lo hanno dichiarato pubblicamente con molta onestà: ho un grande rispetto per loro». Poi un passaggio sul voto segreto: «La verità è che non lo si può considerare una libertà di espressione solo quando fa comodo». Nello scudo crociato il capogruppo Giulio Steri spiega: «Noi ci siamo divisi. Ma io ho votato a favore. Del resto, insieme agli onorevoli Maninchedda e Francesca Barracciu (ora europarlamentare), ho portato avanti la battaglia in commissione Autonomia». Steri, dal canto suo, non ha dubbi: «La bocciatura della doppia preferenza è un’occasione persa». Il capogruppo, però, non fa i nomi degli altri Udc (loro sono otto in tutto) che hanno cestinato l’emendamento sulla rappresentanza femminile.

I CONTRARI. Di certo, in Aula, Radhouan Ben Amara (Gruppo misto), candidato nel 2009 col Pdci, l’ha sempre detta chiara alle donne: lui doppia preferenza non ne vuole. Idem Gianfranco Bardanzellu, il pidiellino che torna sul caso Maninchedda-Diana, col primo che ha accusato il secondo di aver fatto «un gesto ignobile» chiedendo il voto segreto. Bardanzellu sottolinea: «Ribadisco tutta la mia solidarietà all’onorevole Diana, la libertà di espressione non può essere messa in discussione». Una cosa è sicura: sia pezzi di Riformatori che consiglieri del Pd hanno contribuito a cancellare la doppia preferenza, sebbene non lo vogliano ammettere.

Alessandra Carta

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