Roma, 14 giu. (Adnkronos) – E’ in arrivo il primo ingorgo fiscale dell’anno. Anche se, in teoria, venerdì scorso abbiamo celebrato il giorno di liberazione fiscale. Entro lunedì prossimo, 16 giugno 2025, i contribuenti italiani saranno infatti chiamati a versare all’erario 42,3 miliardi di euro in tasse. Un importo, quest’ultimo, che secondo l’Ufficio studi della Cgia è certamente sottodimensionato, poiché non include il valore economico dei contributi previdenziali che dovranno essere pagati dalle imprese e dai lavoratori autonomi.
In sostanza, tra soli due giorni, questa enorme responsabilità fiscale si concretizzerà senza possibilità di sconto. Considerando poi la cronica carenza di liquidità che affligge soprattutto il mondo delle piccole aziende, molti imprenditori hanno cerchiato sul calendario con il pennarello rosso sia il 16 che il 30 giugno: due scadenze fiscali che mettono “paura” e fanno “tremare” chiunque abbia a cuore la propria attività.
Entro dopodomani, infatti, i titolari di impresa saranno chiamati a versare all’erario almeno 34 miliardi di euro, quasi la totalità del gettito totale previsto (l’80% circa). Questa cifra assoluta in capo alle aziende comprende, in particolare, .
È fondamentale sottolineare che per le imprese il pagamento delle ritenute Irpef dei propri dipendenti e dell’Iva -importo stimato dalla Cgia in 27,5 miliardi di euro- rappresenta una mera partita di giro: nel caso delle ritenute Irpef, infatti, le aziende agiscono come sostituti d’imposta per conto dei propri lavoratori; riguardo all’Iva, invece, si tratta di somme già incassate in precedenza, ogni qual volta hanno ricevuto un pagamento dalla clientela a seguito dell’emissione di una fattura. Nonostante ciò, rimane il solito problema della liquidità. Con tempi di pagamento tra le imprese private in costante aumento, tantissime attività sono a corto di liquidità, anche perché le banche, in particolare alle piccole imprese, continuano a erogare il credito con il contagocce. Questa situazione, se ancora ce ne fosse bisogno, dimostra con chiarezza la responsabilità cruciale che grava sulle imprese nel garantire il corretto flusso fiscale verso lo Stato.
Giugno e anche novembre sono da sempre i mesi delle tasse. E se la scadenza di dopodomani sta togliendo il sonno a molti contribuenti in preda alle difficoltà di reperire i soldi per onorare le richieste del fisco, anche la scadenza di lunedì 30 giugno sarà tra le più importanti dell’anno. Nonostante il Consiglio dei Ministri abbia opportunamente rinviato al 21 luglio prossimo e senza alcuna maggiorazione il pagamento dell’Ires, dell’Irap, dell’Irpef e delle addizionali Irpef ai forfetari e alle partite Iva soggette agli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), sempre secondo le stime dell’Ufficio studi della Cgia, nell’ultimo giorno di questo mese è previsto un gettito per l’erario di 17 miliardi di euro. Soldi che arriveranno dal pagamento dell’Ires (9,8 miliardi), dell’Irap (4,9), dell’Irpef (1,5) e delle addizionali regionali/comunali Irpef (0,9). In buona sostanza, dalle due scadenze previste in questo mese (lunedì 16 e lunedì 30), le casse dello Stato riscuoteranno complessivamente 59,3 miliardi di euro.
Nel 2024 la pressione fiscale in Danimarca era al 45,4 per cento del Pil, in Francia al 45,2, in Belgio al 45,1, in Austria al 44,8 e in Lussemburgo al 43. Tra tutti i Paesi dell’Ue, l’Italia si posizionava al sesto posto con un tasso del 42,6 per cento del Pil. Se tra i nostri principali competitor commerciali solo la Francia presentava un carico fiscale superiore al nostro, gli altri, invece, registravano un livello nettamente inferiore. Se in Germania il peso fiscale sul Pil era al 40,8 per cento (1,8 punti in meno rispetto al dato Italia), in Spagna addirittura al 37,2 (5,4 punti in meno che da noi). Il tasso medio in Ue, invece, era al 40,4, 2,2 punti in meno della nostra media nazionale.
Oltre ad avere un carico fiscale tra i più elevati d’Europa, l’Italia è il Paese, assieme al Portogallo, dove pagare le tasse è più difficile, in particolar modo per le imprese. Secondo le ultime statistiche elaborate dalla Banca mondiale, i nostri imprenditori “perdono” 30 giorni all’anno (pari a 238 ore) per raccogliere tutte le informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute; per completare tutte le dichiarazioni dei redditi e per presentarle all’Amministrazione finanziaria; per effettuare il pagamento on line o presso le autorità preposte. In Francia per espletare le incombenze burocratiche derivanti dal pagamento delle tasse sono necessari solo 17 giorni (139 ore), in Spagna 18 (143 ore) e in Germania 27 (218 ore), mentre la media dell’Area dell’Euro è di 18 giorni (147 ore). I dati si riferiscono a una media impresa (società a responsabilità limitata), al secondo anno di vita e con circa 60 addetti.
Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate ha recuperato dalla lotta all’evasione fiscale 33,4 miliardi di euro; una cifra che costituisce un record assoluto. A questa buona notizia se ne affianca un’altra: secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) l’evasione è in calo. Se nel 2017 toccava i 108,4 miliardi di euro, nel 2021, ultimo anno in cui il dato è disponibile, è scesa a 82,4 miliardi; di cui 72 sono ascrivibili al mancato gettito tributario e gli altri 10,4 sono il “frutto” dell’evasione contributiva. Sebbene non possiamo contare su oltre 82 miliardi di euro di entrate tributarie e contributive ogni anno, negli ultimi tempi l’Amministrazione finanziaria italiana ha imboccato la strada giusta e per gli evasori la vita è diventata molto più difficile. Grazie all’applicazione della compliance fiscale[4], dello split payment, della fatturazione elettronica e dell’invio telematico dei corrispettivi, una serie di contribuenti – tra cui gli evasori seriali, chi riceveva i pagamenti dallo Stato per un servizio o una prestazione lavorativa resa e poi non onorava il pagamento dell’Iva e, infine, i professionisti delle cosiddette “frodi carosello” – sono stati indotti a ravvedersi. Certo, il lavoro da fare rimane ancora molto, ma le misure messe in campo in questi ultimi anni stanno riscuotendo un buon successo.
Se “regionalizziamo” gli 82,4 miliardi di euro di evasione fiscale stimati dal Mef, l’area geografica che in valore assoluto registra l’evasione più elevata d’Italia è la Lombardia con 13,6 miliardi. Seguono il Lazio con 9,2 e la Campania con 7,7. Rammentando che la Lombardia conta quasi 10 milioni di abitanti – mentre il Lazio e la Campania rispettivamente 5,7 e 5,6 – da un punto di vista comparativo è certamente più “corretto” misurare in mancato gettito imputabile agli evasori, calcolando l’incidenza percentuale dell’evasione sul gettito tributario e contributivo incassato in ciascuna regione. Ebbene, se decidiamo di utilizzare questa modalità, il tasso di evasione più elevato si attesta al 20,4 per cento e riguarda la Calabria. Al 19,1 scorgiamo la Campania, al 18,7 la Puglia e al 18,3 la Sicilia. L’area più “fedele” al fisco d’Italia, invece, risulta essere la Provincia Autonoma di Bolzano con un tasso dell’8,6 per cento. La media Italia è al 12,5 per cento.
Per avere la meglio sugli evasori bisogna continuare a sfruttare in modo sempre più efficiente i dati detenuti dall’Amministrazione fiscale, al fine di ottimizzare i controlli su fenomeni che, secondo le valutazioni dell’Agenzia delle Entrate, presentano elevati livelli di rischio. Tra questi si annoverano: le frodi Iva; l’uso improprio di crediti inesistenti e/o aiuti economici non dovuti; la fittizia dichiarazione di residenza fiscale all’estero; e l’occultamento di patrimoni al di fuori dei confini nazionali.