Ortumannu, il progetto che usa batteri anziché fertilizzanti. Prove sui pomodori di Pula

Un’agricoltura sostenibile utilizzando i microbi al posto dei fertilizzanti chimici. In questa direzione si muove il progetto Ortumannu, in cui l’Università di Cagliari è protagonista insieme a Enea, l’Agenzia nazionale per il nuove tecnologie, al Cr4, il centro di ricerca sardo, e a Mutah, un Ateneo della Giordania.

Dunque i fertilizzanti chimici possono diventare il passato nelle coltivazioni per lasciare spazio a microrganismi e batteri che “opportunamente utilizzati sono in grado di favorire la produzione agricola anche in periodi di stress idrico e migliorando le caratteristiche del suolo”. Ortumannu, da dicembre 2021 a novembre 2022, ha sperimentato la coltivazione del sorgo (detto anche saggina), uno dei cereali più importanti al mondo, noto anche come pianta cammello.

La pianta è stata fatta crescere nella regione di Wadi Ghuweir, nel sud-ovest della Giordania. In precedenza (nel quinquennio 2017-2021, denominato Supreme, ha sperimentato l’uso dei batteri al posto dei fertilizzanti chimici nella coltivazione di orzo e fave. È successo in Giordania e a Cipro, mentre in Sardegna, sui pomodori nella piana di Pula, si è fatta con successo la stessa sperimentazione. “Con risultati sempre ottimi in termini di qualità e quantità”, fanno sapere gli studiosi.

Sulle buone pratiche per il presente e per il futuro, il mineralogista Giovanni Battista De Giudici, referente per l’Università di Cagliari, spiega: “Alla base c’è il concetto di sostenibilità e il mantenimento degli equilibri chimico-fisici dei suoli. I risultati sono molto incoraggianti da ogni punto di vista, anche economico. Ora si tratta di passare ad una sperimentazione su più larga scala e passare da migliaia di metri quadri a centinaia di ettari può essere fatto in qualche anno. Abbiamo già avviato una collaborazione con l’agenzia regionale Agris che ci consentirà di condurre gli studi su scala maggiore e anche su altre colture”.

In prospettiva ci sono nuove opportunità imprenditoriali e si crea lo spazio per sviluppare start-up in grado di cogliere l’importante innovazione mettendo insieme la tutela dell’ambiente e la riduzione dei costi. “Nella pratica l’utilizzo dei fertilizzanti microbici consiste nell’arricchire le funzioni del suolo con batteri e funghi endemici capaci di sciogliere i minerali del suolo per fornire alle piante i nutrienti necessari – continuano dall’Ateneo sardo -. Occorre dapprima conoscere la composizione mineralogica del suolo, isolare e identificare i batteri in esso presenti per poi testarli per la loro capacità di fissare l’azoto, di metabolizzare il fosforo, di rendere solubile il potassio, di produrre fitormoni. Questo quadro conoscitivo permette di dare risposte alle esigenze degli agricoltori”.

Quindi la conclusione: “Di fertilizzanti microbici ne esistono già in commercio, quel che non va bene è che propongono soluzioni generalizzate, mentre invece è indispensabile tenere conto della specificità di ogni singolo terreno”. A ogni area, il suo batterio.

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