L’alternativa alla crisi: Silicon Cagliari

C’è un aspetto poco considerato quando si affronta il tema della crisi del sistema industriale sardo e di tutte le vertenze aperte in questo periodo, dalla protesta eclatante dei minatori della Carbosulcis al caso Alcoa di Portovesme. C’è un mondo in declino, quello dell’economia industriale nell’Isola, e uno in pieno fermento, quello delle aziende e delle start-up che operano sul Web, che da anni producono fatturati consistenti e indicano una strada percorribile e sostenibile per creare posti di lavoro e generare sviluppo in Sardegna. Un fermento invisibile e significativo che potrebbe far parlare quasi di una sorta di Silicon Cagliari in grado di creare, produrre e innovare. Il passaggio dal paradigma dell’economia industriale a quello della conoscenza è un fatto assodato nelle società occidentali avanzate. In Sardegna la situazione potrebbe essere analoga. Da un lato un sistema industriale al collasso tenuto in piedi attraverso robuste – e insostenibili – iniezioni di denaro pubblico, con una strategia di respiro corto che non affronta i nodi strutturali della crisi e rimanda a un futuro ipotetico la messa in campo di strategie alternative (nel caso delle miniere della Carbosulcis, un piano di bonifica ambientale nel quale impiegare gli stessi minatori studiando al contempo modelli diversi di sviluppo per il territorio). Dall’altro l’ecosistema di aziende che operano sul Web e riescono a ottenere risultati importanti a livello internazionale.

Negli ultimi decenni si è consolidato un sistema molto fertile fatto di competenze tecniche diffuse, figlio diretto delle esperienze di Video On Line di Nicola Grauso – uno dei primi internet provider italiani –, di Tiscali, del centro di ricerca dedicato a tecnologie e innovazione del CRS4. Mario Mariani è un imprenditore che ha partecipato alle prime due esperienze citate. Una volta fuoriuscito da Tiscali – di cui era diventato amministratore delegato – ha fondato Net Value, un incubatore di start up, una sorta di digital nursery in grado di fornire know how manageriale ad aziende in fasce dando loro le cure necessarie per crescere, intervenendo, se il caso, anche con capitali di rischio per garantirne una espansione ulteriore. Al momento Net Value ospita una decina di aziende, tra start-up e imprese consolidate. Tra queste ce ne sono alcune di imprenditori “non sardi” che investono in Sardegna, e questo per due ragioni. Nell’Isola esiste un fondo di venture capital, Ingenium Sardegna, finanziato per metà dalla Regione e per metà da capitali privati e indirizzato a imprese di sviluppo. Esistono altri fondi analoghi – Principia, Fondo Atlante, Vertis – indirizzati a sud Italia e isole. Mariani spiega che spesso gli investimenti dei vari fondi vengono indirizzati alla Sardegna perché gli imprenditori sanno di trovarci un terreno fertile e competenze elevate. Ed è questo l’altro aspetto determinante della faccenda.
“Le aziende vengono qui perché trovano ingegneri qualificati, competenze nel marketing, nel Web e in generale nei nuovi media”. Ad esempio, Paperlit si occupa di impaginare giornali per tablet e smartphone e nel giro di poco tempo è diventata una delle aziende leader del settore. È nata tra Cagliari e Verona e nella sede di Net Value si trovano uffici dove lavorano sviluppatori sardi. Un caso recentissimo è quello di un’azienda che è partita dal triveneto per sbarcare nel capoluogo sardo. What’ More Alive Than You è un brand che chiama a raccolta creativi e designer di tutto il mondo per disegnare scarpe, borse e accessori. Una volta selezionati i lavori migliori, questi vengono commercializzati a livello internazionale. In Sardegna hanno assunto esperti di informatica e marketing. Per citare alcuni casi al di fuori di Net Value, Hoplo e Softfobia sono due aziende cagliaritane che lavorano nel campo dello sviluppo di app e di servizi digitali, con fatturati consistenti. Al CRS4 hanno sviluppato un social network chiamato Paraimpu che si pone il problema di affrontare la sfida del Web of Things, il Web degli oggetti, attraverso la creazione di una piattaforma in grado di connettere “cose” da ogni parte del mondo, e che ora sta valutando la possibilità di camminare con le proprie gambe.
“Per adesso questo fermento non sposta molto in termini macroeconomici”, spiega Mariani. “Il fenomeno andrebbe moltiplicato per 20. Però questa tendenza può contribuire a creare un terreno ancora più fertile per start-up, sviluppo di idee e di progetti imprenditoriali. E il digitale è in grado di impattare dalla testa ai piedi su altre attività più tradizionali. Mutano i modelli di business e le opportunità per chi è in grado di cogliere la sfida”.

Andrea Tramonte 

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