Aprire una bottiglia di vino, annusare, assaggiare un piccolo sorso e scoprire, con tanta delusione, che ‘sa di tappo’: quello sgradevole odore assimilabile alla muffa, a una cantina umida, a vestiti o cartoni bagnati. Ma oltre a rovinare una piacevole esperienza degustativa, cancellando le aspettative dei più esperti appassionati, questo sgradevole effetto è foriero di danni economici ingenti per le aziende produttrici di vino e soprattutto di tappi di sughero, di cui la Sardegna è principale esportatrice.
Il fungo e il coleottero killer
A causare il problema sono l’Armillaria mellea, un fungo parassita della quercia da sughero, e il Coraebus undatus, un coleottero (come quello del punteruolo rosso responsabile della moria di palme) meglio conosciuto come perforatore della quercia da sughero, le cui larve si nutrono della preziosa corteccia e sono in grado di deprezzarne il valore sino al 75 per cento. Quanto al fungo, quando questo attacca il sughero, attraverso una serie complessa di reazioni chimiche, in presenza di particolari condizioni ambientali e con la collaborazione dei batteri di cui è portatore, si forma il tricloroanisolo (Tca), una molecola che si diffonde rapidamente nel sughero, contamina il vino e genera il tanto odiato “odore e sapore di tappo”. La soluzione, per eliminare entrambi fastidiosi agenti esterni è la tecnica della bollitura a vaporizzazione per ridurre l’incidenza del fungo e uccidere le larve del coleottero; i tappi vengono lavati solo con perossido di idrogeno e non con il cloro, che invece favorirebbe la formazione del Tca.
La tecnica della bollitura
Nei giorni scorsi, per arginare il diffondersi del coleottero killer, è stato approvato un emendamento alla legge nazionale di bilancio, presentato da due parlamentari sardi, il deputato Alberto Manca e il senatore Emiliano Fenu, entrambi del M5S, che punta a risolvere il problema come già avviene in altri Paesi esportatori di sughero, come l’Algeria. L’emendamento impone, infatti, il trattamento termico del sughero mediante tecniche di bollitura prima della movimentazione fuori dal territorio regionale di estrazione, al contrario di quanto avviene oggi con il movimento di tir carichi di sughero grezzo che partono dall’Isola. La misura – per i cui dettagli bisognerà attendere il decreto del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali – ha l’obiettivo di contenere la diffusione dell’insetto. “Il deprezzamento causato dal Coraebus undatus determina un grave danno per tutta la filiera produttiva – ha spiegato il deputato Manca – soprattutto in Sardegna dove si concentra l’85 per cento della produzione italiana di sughero naturale, con 120mila quintali raccolti ogni anno”.
Il provvedimento nell’Isola ha incontrato il favore di molti imprenditori e associazioni di categoria, come la Confindustria-Federlegno. “È un provvedimento che auspicavamo e che va nella giusta direzione – sottolinea Sebastiano Colla, presidente della Sezione Sughero di Confindustria Centro Nord Sardegna -. La presenza del coleottero comporta non solo un deprezzamento del prodotto ma il rischio che si possa ripetere quanto avvenuto con i focolai di peste suina da noi o con la xylella in Puglia – rimarca Colla –. Il procedimento termico della bollitura, già previsto nelle lavorazioni del sughero, permette di sterilizzare la corteccia e di eliminare i parassiti. L’obiettivo è circoscrivere l’infezione in modo da poter tutelare al meglio la produzione isolana”.
Esportazioni a rischio?
Per bollire un semirimorchio con 100 quintali di sughero grezzo sono necessarie 24 ore nelle normali vasche utilizzate in Sardegna. Tradotto in posti di lavoro, se per l’estrazione delle cortecce sono impiegate 400 persone mediamente per tre mesi, per tutte le operazioni di bollitura le stesse possono essere impiegate per un intero anno, chiarisce il rappresentante degli industriali. “Non dimentichiamoci che chi acquista è interessato al sughero. Se questo viene bollito in loco, subirà inoltre una stiratura che consentirà un miglior stoccaggio all’interno del semirimorchio, risparmiando sul trasporto, con un importante alleggerimento di emissione di Co2. Un aspetto non secondario anche in un’ottica ambientale. L’ultima annata è stata positiva, con circa mille semirimorchi verso l’estero. Per capire meglio, mille semirimorchi non trattati equivalgono a 700 se il sughero viene bollito”.
Ma non tutti sono d’accordo. Tra i più critici il consigliere regionale sardista Giovanni Satta, di Buddusò, una delle capitali del sughero in Sardegna. “Se si vuole veramente rilanciare l’industria del sughero in Sardegna occorre iniziare dalla manutenzione e pulizia dei boschi, per poi passare ad una programmazione globale per il rilancio – è la posizione del consigliere -. Questo è un tentativo goffo di inquinare il libero mercato con la scusa di combattere un evento dannoso, fra l’altro, a posteriori, quando il danno è già fatto”. Per Satta la norma danneggerebbe i produttori sardi: “È un provvedimento condiviso da pochi e calato dall’alto, dalla mattina alla sera, senza alcun confronto. Non si è tenuto conto del fatto che anche gli esportatori sono aziende serie che curano l’acquisto, l’estrazione e l’esportazione dando lavoro a centinaia di persone e che, se venisse applicata tale norma, rischierebbero la chiusura. Quanto meno, avrebbero bisogno di tempo e risorse per organizzarsi”.
Per Giovanni Pasella, presidente della Cna Gallura, che riunisce circa 900 imprese artigiane del territorio, la questione è aperta: “Da un lato in nessun Paese esportatore è consentito far uscire dal territorio nazionale sughero grezzo e non trattato, da questo punto di vista è una questione sanitaria, come per la peste suina o la xylella”, sottolinea il giovane imprenditore. “Dall’altro però in dieci anni questo settore ha attraversato una trasformazione epocale, il mercato è in mano ai grossi player e i piccoli sono sacrificati. Questo provvedimento potrebbe ulteriormente tagliarli fuori”. D’altronde “la lavorazione in loco del sughero ne aumenta il valore aggiunto e il prodotto si può vendere a un costo maggiore”.
Il sughero grezzo sardo rappresenta il 3 per cento della produzione mondiale ma il 10/12 per cento di quello utilizzato per il tappo naturale, per la sua eccellente qualità. Proprio negli ultimi 2-3 anni il prezzo del sughero grezzo è cresciuto del 30 per cento grazie alle esportazioni, mentre il prezzo della “macina” è salito del 150 per cento dal 2016 in poi. Il dibattito prosegue e a Buddusò nei prossimi giorni molte aziende che non vedono di buon occhio questa soluzione, si daranno appuntamento per trovare una posizione comune.
Marzia Piga