Con un tasso di occupazione fermo al 55% — tra i più bassi d’Italia — e oltre il 31% di disoccupazione giovanile, la Sardegna si trova in uno stato di allarme sociale e occupazionale che non può più essere ignorato. Lo certificano i dati: l’occupazione femminile si ferma al 44%, il reddito medio da lavoro è di circa 19.200 euro lordi annui, ben al di sotto della media nazionale, mentre la povertà relativa colpisce il 22% delle famiglie sarde. A tutto questo si aggiungono oltre 40.000 lavoratori del settore pubblico in attesa di rinnovo contrattuale in sanità, enti locali e scuola.
Di fronte a questo scenario, la Cisl Sardegna ha lanciato un appello forte e chiaro all’indomani del suo Congresso regionale: “O si cambia rotta, o l’isola rischia di restare indietro per un’intera generazione”. Per il segretario generale Pier Luigi Ledda, la priorità è una sola: garantire a tutti un lavoro stabile e dignitoso. È un’esigenza che, sottolinea il sindacato, trova piena legittimazione anche nelle recenti parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha affermato come “non si può accettare che chi lavora resti povero”.
Secondo la Cisl, non basta avere un impiego per uscire dalla povertà. Sempre più lavoratori, pur avendo un contratto, non riescono a condurre una vita dignitosa. Questo perché salari stagnanti, precarietà e carenza di servizi colpiscono in modo trasversale giovani, donne, famiglie e pensionati. Serve quindi una svolta concreta, una strategia strutturata che ponga al centro l’occupazione, la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile.
La confederazione chiede alla politica regionale e nazionale di superare la logica degli annunci e aprire un confronto vero con chi rappresenta il lavoro. La prima emergenza è quella salariale: i contratti pubblici bloccati da anni segnalano, secondo Ledda, un grave disinteresse istituzionale. Allo stesso tempo, i giovani e le donne sono ancora ai margini del mercato del lavoro, intrappolati tra Neet e carichi familiari mal redistribuiti. La Sardegna, avverte il sindacato, non potrà fermare lo spopolamento e la fuga dei talenti se non sarà in grado di offrire prospettive concrete di crescita e stabilità.
Altro tema centrale è quello delle politiche attive. La Cisl propone un rafforzamento dei Centri per l’Impiego con più personale qualificato, strumenti digitali aggiornati, un piano regionale per l’apprendimento permanente, la “dote lavoro” e un’integrazione più forte tra formazione professionale e mondo produttivo. Gli Its, gli Istituti Tecnici Superiori, vengono indicati come leve strategiche, ma a patto che vengano sostenuti da investimenti certi e da un orientamento solido.
Anche la transizione energetica deve diventare occasione di lavoro, non una nuova fonte di diseguaglianza. Per la CIsl è fondamentale che ogni progetto sia discusso con il territorio e generi occupazione locale, senza ricadute esclusivamente speculative. Lo stesso principio vale per la sicurezza sul lavoro, definita un’emergenza sociale dopo le 27 denunce di infortunio mortale registrate nel 2024: “Ogni morto sul lavoro è una sconfitta per tutti”, ribadisce Ledda, che chiede ora l’attuazione concreta del Protocollo di Buggerru. Il sindacato rilancia infine una nuova “Agenda per lo sviluppo” che punti su otto pilastri: occupazione di qualità, sanità pubblica, transizione ecologica giusta, rafforzamento dei settori industriali, agricoli e turistici, infrastrutture moderne, scuola e formazione, innovazione e un utilizzo trasparente dei fondi europei.
“La Sardegna ha tutto per essere protagonista, ma serve una politica che scelga con coraggio”, conclude Ledda. Se le risposte tarderanno ad arrivare, la CIsl si dice pronta alla mobilitazione. Con determinazione, ma anche con una proposta chiara e una responsabilità condivisa: rimettere il lavoro al centro delle politiche pubbliche. Perché, come sottolinea il sindacato, “non vogliamo scontri, ma non accetteremo più il silenzio”.