Il nostro amico e collaboratore Vittore Bocchetta, nato a Sassari il 15 novembre del 1918, compie oggi gli anni. Questi gli auguri di Marina Spinetti e di tutti noi. Ne siamo certi, anche a nome dei lettori di Sardinia Post.
Vittore Bocchetta compie oggi 96 anni. Una “vita contro”, la sua, recita il titolo di una recente biografia di Giuliana Adamo; una vita “per”, sintetizzo io, dopo aver conosciuto, dapprima attraverso le sue opere e poi personalmente, questo anziano giovanotto.
Una vita per la libertà, ogni giorno, senza soluzione di continuità, per la libertà “prima e dopo”, per citare il titolo di uno dei suoi testi, in cui Vittore Bocchetta suggella, a distanza di tanti decenni, la sua personale e straordinaria esperienza appunto del «prima», del «dopo»; cioè di quei lunghi anni di emergenza e di lotta contro il nazifascismo, ma anche del dopo, contro la conformistica o ideologica abiezione di sé del dopoguerra: l’adolescenza primi anni Trenta in una Cagliari tra altoborghese e aristocratica, le giovanili peregrinazioni fra Italia e Libia, l’ingaggio intellettuale veronese, il carcere fascista, la tortura, l’affondamento esistenziale nei Lager di Flossenbürg ed Hersbruck, la resurrezione amara e la disillusione politica nell’oscuro mattino del dopoguerra, una motonave, infine, per le Americhe.
Mi colpì molto, quando gli parlai la prima volta, il racconto della sua breve permanenza in Italia nel dopoguerra. Chiamato infatti a far parte da indipendente di quella “Commissione di epurazione” che aveva il compito di rimuovere dagli uffici pubblici i personaggi compromessi col regime, non ne condivide da subito la “prudenza” e, disgustato dal riemergere in ruoli chiave di personaggi compromessi col regime, lascia l’Italia nel 1949. Va prima in Argentina e in Venezuela (dal 1949 al 1958), poi negli Stati Uniti, a Chicago (dal 1958 al 1986).
Non si adeguò ad una la politica che agiva già da allora demagogicamente, come una lente deformante. Una politica che si dimenticò di tutto quasi subito. Quasi subito si cominciò a ragionare non su quanto si doveva fare, ma su ciò che si poteva avere, dopo tanto dolore. E allora partì per restare libero. Per tenere in piedi e poter continuare a percorrere quel ponte macilento tra i grandi principi e la loro applicazione quotidiana. Partì per dire il suo no a quello strano modo in cui si diceva di ricordare, dimenticando invece tutto.
Avrebbe potuto fare anche lui semplice turismo della memoria da una posizione di prestigio. Avrebbe potuto fare del suo passato, come molti, una carriera politica. Ma scelse la via della della libertà senza compromessi. L’unica via per essere legittimato a ricordare veramente: cercare di capire l’inconcepibile senza concludere mai la ricerca e, nello stesso tempo, agire prima che accada, perché a nessuno accada mai più.
Vittore Bocchetta vive la responsabilità dell’essere superstite, sa che Auschwitz è arrivata perché migliaia di persone che sapevano si sono rifiutate di porsi il problema della loro responsabilità: complici che non hanno ucciso, ma hanno permesso che il sistema dell’annientamento funzionasse. E, nel dopoguerra, altri complici che hanno contribuito all’annientamento della memoria. Far comprendere questi aspetti significa trovare gli elementi per costruire il nostro domani; per questo Vittore oggi frequenta con disperata speranza le aule magne delle scuole piuttosto che gli scranni del Parlamento. Perché è un insegnante, e sa bene che più importante della consegna di grandi eventi alla storia sono solo gli esempi di vita che confluiscono in altre vite.
Noi oggi siamo ben lontani dall’essere il paese beato evocato da Brecht che non ha bisogno di eroi. Siamo piuttosto, per citare Vittore, “un paese complicato che è stato capace di precipitare dal Rinascimento al fascismo e dai Ragguagli del Parnaso di Traiano Boccalini al “Popolo d’Italia di Benito Mussolini”, perciò abbiamo un gran bisogno di “eroi” come lui, capaci di praticare l’eroismo della quotidianità.
In un momento storico di sedicenti leader dall’ego ipertrofico abbiamo bisogno di eroi normali come Vittore, che ritagliano difficili spazi di generosità verso gli altri, che lottano perché sentono di far parte di qualcosa di più grande che una loggia, un’azienda o un partito, che abbandonano l’egocentrismo in favore del sociocentrismo e che hanno come unica stella polare la salute e il benessere della collettività.
In un momento storico in cui la politica non offre esempi da seguire, e quelli del passato sembrano inavvicinabili, Vittore ci richiama alla responsabilità di un eroismo possibile e doveroso, che può e deve essere praticato quotidianamente ed è alla portata di tutti.
In un momento di eterno presente, esiguo quanto le dichiarazioni fresche di giornata del politico di turno, ci testimonia quell’esemplarità che si perpetua nel tempo solo a patto che vi sia sempre chi la incarni in atteggiamenti coerenti.
Quasi un secolo trascorso nella difficile, scomoda e coraggiosa affermazione della libertà, senza indulgenza alcuna ai compromessi, merita di essere festeggiato come esempio di gioventù, in questi strani tempi in cui imperversa una retorica del giovanilismo che è invece cosa vecchia. Molto vecchia, visto che ci si dimentica che sono circa 100 anni che si sente inneggiare alla “giovinezza” in regimi totalitari.
Auguri Vittore, e grazie per tutto quello che fai per questi strani tempi. E soprattutto per il fatto di ricordarci che la libertà non è un qualcosa che si deve avere, ma qualcosa che si deve fare. Ogni giorno.
Marina Spinetti