“E’ fare lo scrittore il mestiere più bello del mondo”. Parola di Valerio Magrelli, poeta, scrittore, saggista, traduttore e accademico italiano, finalista al Premio Campiello per il vibrante “Geologia di un padre” e tra le firme di Repubblica, L’Unità e l’Avvenire. Magrelli, classe ’57, è di sicuro tra gli ospiti più attesi della XIV edizione del Festival L’Isola delle Storie di Gavoi, edizione iniziata giovedì scorso sotto un cielo nero di pioggia ma che sabato sera ha lasciato spazio a un bel vento di maestrale.
L’incontro con Magrelli, affollato da una folta platea in piazza Sant’Antiocru, è timonato da Chiara Valerio, presenza cara qui al festival, collaboratrice di Nottetempo, autrice per Rai3, Einaudi, è stata recentemente nominata responsabile di Tempo di libri, la fiera che ha debuttato a Milano lo scorso aprile. Il suo è un ritmo di eloquio potente e serrato e da matematica prestata alla letteratura, sfida i suoi interlocutori con una velocità di pensiero che è un continuo esercizio di equilibrio.
Che cos’è per te la scrittura? domanda Valerio. “Un nascondimento – esordisce Magrelli – una questione di forza e di fiducia ed io mi sento come un rabdomante che va in giro per il mondo a cercare energie. Ma anche insegnare è un grande amore, e lotterò fino alla fine perché in Italia continui ad esistere una scuola libera e pubblica. Tutto il resto va fatto non per i soldi, ma per denaro…”.
La platea si fa complice e applaude divertita. Tra le prime file si scorge il volto di Michela Marzano, filosofa e professore ordinario all’Università di Parigi, e quello della scrittrice Michela Murgia, altra presenza cara al festival come al suo direttore artistico Marcello Fois.
Come ti definiresti? incalza Valerio dialogando con Magrelli che ironizza: “Mi manca fare il giornalaio, per il resto ho fatto tutto. Ma quello che più mi piace è andare in giro a piazzare merce cognitiva, potrei definirmi un ‘vuimparà‘ della vita: negli anni sono stato anche un conferenziere, un chierico vagante, una cavia del postmoderno. Ho sempre cercato di ristabilire degli equilibri e credo che l’importante sia scrivere con leggerezza, ironia e divertimento come ci insegnano i poeti sperimentalisti”. Poi cita Borges, Oz, Bolano e Mandel’štam, si intenerisce ricordando la parola struggente della poetessa russa Cvetaeva e, all’improvviso, ha un guizzo e ci ripensa: “Di sicuro sono più fiero dei libri che ho letto, rispetto a quelli che ho scritto”.
Donatella Percivale