Tellas, la natura che “popola” i palazzi: la sua street art celebra il paesaggio

Andrea Tramonte

Il lavoro di ricerca di Tellas è quello di osservare il paesaggio e il modo in cui interagisce con il tessuto urbano. Prima di iniziare a dipingere gira a lungo intorno ai luoghi dove deve operare e “campiona” i colori che incrocia: quelli di piante e fiori, del cielo e del modo in cui eventualmente contrasta con le montagne, delle pareti degli edifici e in generale di qualsiasi cosa possa connotare sul piano cromatico un luogo specifico; cercando poi di riportarli nelle sue opere di arte pubblica realizzate in giro per il mondo. “A Kaohsiung inizialmente pensavo di fare un lavoro in bianco e nero – racconta Tellas, rievocando la sua esperienza in Taiwan del mese scorso -. Poi quando sono arrivato ho visto una serie di insegne di negozi che mi hanno colpito molto: erano enormi, con luci al led rosse fortissime e scritte bianche: davvero fuori di testa. Allora ho provato a fare un gradiente che partisse dal rosso delle strade fino al blu del cielo. Sono dei colori che identificano fortemente il luogo”.

Così quattro balconi di un edificio della città cinese “brulicano” della natura di Tellas, fitta e rigogliosa: un intreccio di foglie e steli intervallato da pietre tonde di varie dimensioni, con una serie di curve che danno un’idea di movimento e di vita, silenziosa e intima. Il rosso acceso del balcone più vicino alla strada si evolve lentamente nel blu del cielo al quarto piano, che circonda le tende alle finestre con le loro pieghe quasi regolari. “Ho provato a raccontare quello che mi ha trasmesso la città – dice -, aggiungendo colori come il viola che finora non avevo mai usato. Ho dipinto solo metà palazzo – lasciando l’altra metà pulita – perché la facciata era fatta di piccole mattonelle di ceramica, e mi è sembrato giusto rispettare la natura di quell’edificio”.

Kaohsiung lights (Taiwan 2019). Foto di Arcade art gallery

Tellas, al secolo Fabio Schirru, è un artista sardo nato a Cagliari nel 1985. I suoi lavori si trovano ormai in giro per il mondo – dal Brasile all’Australia passando per Stati Uniti, Europa e Asia – e attualmente è considerato uno degli street artist più in vista a livello internazionale. Il suo percorso artistico e umano è fortemente condizionato da due dati della sua biografia: l’infanzia trascorsa in campagna e la passione giovanile per i graffiti. La prima dà un imprinting fondamentale alla sua visione di arte, a quello che vuole comunicare coi suoi lavori: i genitori sono agricoltori e il rapporto con il paesaggio della pianura campidanese ha un’importanza fondamentale nelle sue opere. I graffiti invece hanno rappresentato la scoperta adolescenziale delle strade, degli spazi urbani, del colore e delle forme, ma ancora di più della spontaneità del gesto artistico. Dall’infanzia rurale e dalle passeggiate in campagna all’appropriazione della città e alla scoperta di un linguaggio profondamente urbano: un passaggio che crea un mix inusuale e assolutamente personale.

“Nella mia ricerca ho unito i graffiti al mio essere cresciuto in campagna – racconta Fabio -. La Sardegna è la base del mio lavoro, è il soffritto. I miei vivono nel Campidano, un luogo di pianura super arido, secco, giallo. Il posto dove nasci e cresci condiziona il modo di fare e di vivere”. Sul piano artistico questo legame con l’Isola si traduce in una serie di colori che rappresentano la cifra distintiva di buona parte dei lavori di Tellas, o almeno: di quelli che a lungo ne hanno definito il percorso. “Ho sempre avuto delle palette desaturate. Il 90 per cento dei miei lavori partono dal grigio e tendo a spegnere i colori: dai sabbia fino ai blu, passando per i verdi. Mi vengono in mente le colline della mia zona, i nostri paesaggi aridi, gialli, che contrastano col cielo blu o il mare in lontananza”. Il riferimento all’Isola è anche nel nome che ha dato alla sua ricerca: Tellas, un termine che Fabio ha trovato ne La civiltà dei sardi di Giovanni Lilliu e che identifica le pietre di scarto dei nuraghi, quelle che alla fine non venivano usate nella loro costruzione. “Mi ha colpito molto il tema e mi interessava parecchio il concetto. Poi l’Isola è piena di pietre. Chi conosce i miei lavori e viene in Sardegna mi dice: ecco perché dipingi tante pietre e tanto paesaggio”.

Il nome arriva negli anni dell’Accademia di belle arti a Bologna, quando Fabio inizia a capire la direzione della sua ricerca e a emanciparsi dai graffiti. “Non volevo studiare solo le lettere, mi sembrava un po’ restrittivo – spiega -. Ma i graffiti sono entrati comunque nel lavoro che faccio adesso: la loro spontaneità, soprattutto. Durante gli anni di studio ho capito che volevo raccontare qualcosa. Se non hai niente da dire non ha senso fare arte. Non può bastare solo l’estetica”. Sono anni in cui la scena bolognese era animata da personaggi come Blu ed Ericailcane, con cui Fabio entra in contatto e dipinge. “In quegli anni viaggiavo tanto. Prendevo il treno e giravo. I graffiti prima e il muralismo poi ti mettono in contatto con le persone, con altri artisti. Una cosa naturale come sentirsi e dirsi: ci becchiamo e dipingiamo insieme? E poi si andava per strada e in qualche posto abbandonato a lavorare. Nei primi anni del 2000 non c’erano festival o realtà che ti contattavano per dipingere: questa cosa è venuta più avanti, quando i Comuni si sono accorti che il movimento della pittura murale aveva una spinta forte, essendo arte per cui non devi pagare un biglietto per vederla. È arte pubblica, che parla a tutti: è di tutti”.

Se all’inizio della sua carriera il paesaggio del Campidano ha rappresentato l’impronta fondamentale del suo lavoro, qualcosa da portare “ovunque”, ora la sua ricerca è più site specific: l’estetica di Tellas interagisce coi luoghi che accolgono le sue opere. Il lavoro finale è una forma di incontro tra l’artista e gli spazi che incrocia. Non è solo una questione di ispirazione ma anche una forma di rispetto: non impone in modo arbitrario forme e colori ma armonizza la sua ricerca con le terre che lo ospitano. “Il viaggio è diventato parte fondamentale del mio lavoro – racconta -. Dal 2010 ho avuto modo di vedere un sacco di posti del mondo. È raro che inizi a lavorare dal primo giorno. Prima giro per le strade, scatto foto, approfondisco. Individuo i colori dominanti del luogo. Lavoro sul contesto urbano e sul paesaggio naturale. Il mio lavoro è osservare quello che succede intorno a me. Guardo i colori del cielo, il contrasto con le montagne”.

Tellas, foto di Benjamin Roudet

Per spiegare meglio la sua idea inizia a scorrere tra le foto che ha in archivio nello smartphone. “Questa è una palma assurda che ho incontrato a Nuova Delhi – dice, mostrando l’immagine -. Questa invece è una specie di tempio all’interno di un vivaio bellissimo, un giardino immenso dove ho visto i papaveri spuntare dal verde. Le pareti sono dipinte con un rosso che è tipico della zona, dove c’è una tradizione importante legata alle ceramiche e in particolare alla terracotta. Il lavoro che ho realizzato usa tonalità di rosa e rossi mattone che contrasta col celeste del cielo”. Paesaggio naturale e architetture locali trovano una sintesi nelle sue pennellate e ogni opera è calibrata perfettamente sul posto che la ospita. Ad Aggius ha dipinto una parete cercando di nascondere il cemento di una casa facendo “continuare” la montagna che spuntava nell’orizzonte. Sempre nel borgo gallurese ha realizzato un altro lavoro più geometrico, ispirato dalle forme e dai colori dei tappeti che lì vantano una tradizione gloriosa e secolare. Durante il volo che lo stava portando in Svezia invece ha visto campi enormi di colza che lo hanno ispirato: “È una pianta gialla quasi fluo, vedevo triangoli enormi, trapezi di quel colore e ho pensato di fare un lavoro che riprendesse quel concetto. Poi la Svezia è un paese verdissimo, con dei colori potenti e accesi – essendo un luogo freddo e umido – a differenza dell’Isola dove la luce spegne i verdi, che tendono al grigio”.

Tellas ad Aggius, foto di Andrea Tramonte

Il rispetto del luogo si trova anche nella scelta di non alterare le caratteristiche degli edifici che ospitano i suoi lavori. “Tre anni fa sono stato invitato a dipingere nel centro storico di Lanusei – racconta Fabio -. Ero un po’ timoroso. Ho visto l’edificio che aveva una parte distrutta nel periodo della guerra e ho deciso di lasciare quella parete invariata. Non volevo cancellare la storia dell’edificio e ho interagito con la “palla” che c’era al centro”. Così ha lavorato solo sullo spazio circostante, creando dei gradienti tra terra e cielo a connotare sul piano cromatico gli intrecci tipici del suo lavoro.

Immersive (Parigi 2019). Foto di Art en Ville

Di recente ha lavorato a lungo a Parigi – insieme al suo collaboratore, l’artista 27enne Alessandro Marongiu che da qualche anno lo accompagna in giro per il mondo – per un’ampia facciata di un palazzo di recente costruzione di fronte alla stazione di Saint Denis. L’obiettivo era quello di coprire la parete di undici piani di cemento armato: un lavoro molto lungo e impegnativo realizzato tra maggio e giugno di quest’anno. “Mi hanno chiesto di inserire più colori possibile e per il mio lavoro era una richiesta quasi impossibile. All’inizio ho creato un gradiente coi colori della bandiera francese, il rosso e blu. Poi ho aggiunto gialli e verdi. Siccome il palazzo è circondato dal verde, abbiamo creato delle forme che riprendono i rami degli alberi che stanno intorno. Le forme astratte, infine, danno omogeneità alla composizione”. Tellas non può fare a meno di farsi condizionare da quello che gli sta intorno: riflette sul paesaggio e in questo modo crea un dialogo tra natura e tessuto urbano, che trovano una sintesi nella sua opera. Come in Under the city – uno dei lavori a cui è più legato -, realizzato nel quartiere di Sant’Avendrace a Cagliari nel 2015. Il nome fa riferimento alla città sotterranea del capoluogo immaginando però uno scenario marino, che prende spunto e i suoi colori – il celeste e il verde – dallo stagno di Santa Gilla: come un paesaggio subacqueo ricco di vita, ad animare scorci di Cagliari dominati dal cemento grigio.

Quel lavoro ha messo a contatto l’artista con la comunità del rione e contribuito a rendere “prezioso” un angolo di Cagliari periferico. “Da artista hai una forte responsabilità su quello che stai dipingendo e dove – spiega Tellas -. Arte pubblica vuol dire che il tuo lavoro appartiene a tutti. Una volta che vado via l’opera rimane alla collettività, alle persone. Anche per questo è importante capire perché un artista debba fare quel lavoro e debba dipingere quel muro. Chi ti commissiona l’opera deve porsi il problema del senso di farla. Oggi il muralismo è diviso in due: arte pubblica e pubblicità. A volte coinvolgere un artista per dipingere un muro è più una forma di advertising”.

Ma parlare di rigenerazione urbana attraverso la street art non può essere un alibi, secondo Tellas: “A rigenerare il quartiere devono essere architettura e urbanistica. E la politica. Cambi il modo di vivere le persone se crei un parco per bambini o se aggiusti le case malmesse. Cambia poco un muro dipinto se poi chi vive dietro quel muro ha l’acqua che gli cade in testa dal soffitto”. Riguardo invece l’hype della street art degli ultimi dieci anni, Fabio preferisce allargare il campo: “Non mi sento uno street artist. Seguo più l’arte contemporanea che il muralismo. Oggi se ne parla come di ambiti separati ma non lo sono. Sembra quasi esserci una autoghettizzazione che non mi interessa. Non vedo perché l’arte pubblica non debba essere annoverata tra l’arte contemporanea. I muri sono solo medium diversi. Anche Matisse, Picasso e Mirò hanno dipinto sui muri, e mica erano considerati street artist”. (La foto di apertura è di Antonio Pintus)

Andrea Tramonte

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