Simona Atzori, volare con le ali dell’anima. Come Peter Pan

“Le sue braccia sono rimaste in cielo, ma nessuno ha fatto tragedie”. Ci aveva proprio azzeccato Candido Cannavò, non è vero Simona? La risata arriva dritta dritta, fragrante come le sue parole. “E’ vero, nessuno in casa in mia ha fatto le tragedie. I miei mi hanno accolto così, e io sono cresciuta felice”. Simona Atzori, 38 anni, ha un cognome che più sardo non si può. Eppure è milanesissima, anzi una “lumbard doc” nata all’ospedale Fatebenefratelli e residente in quel di Varese. Il sardo, però, lo capisce benissimo. “Mia madre era di Suelli, e quando conosceva qualcuno diceva sempre: ‘Mi chiamo Tonina, e ho la fortuna di essere nata in Sardegna’. Ne era davvero orgogliosa. Anche mio padre è di Serramanna, ma insieme hanno scelto di vivere prima a Milano e poi in Canada”. Senza il mare? “Il mare mi è rimasto dentro”.

Il mare di Simona sono i giochi in acqua nelle spiagge di Porto Corallo, e l’emozione delle lunghe sciate dentro i tramonti della Maddalena. Perché, sai anche sciare sull’acqua? “Vuoi dire: anche se non ho le braccia? Certo. Ho imparato a fare un sacco di cose anche senza avere le braccia: accarezzo, guido, mangio. A volte capita che miei piedi abbiano delle crisi d’identità. Ma è il limite degli altri il più difficile da superare, quando le persone mi guardano e pensano ‘poverina, lei non lo può fare…’. Ho lavorato molto per andare oltre certe compassioni. E se ci sono riuscita lo devo soprattutto a Tonina, mia madre. ‘Vivi la tua vita con serenità’, mi diceva. E io l’ho fatto. La sua felicità di tutti i giorni mi ha contagiato”.

Simona da molti anni balla e dipinge. E lo fa da dio. Al festival di Sanremo ha lasciato di stucco la platea, Roberto Bolle l’ha scelta per esibirsi in occasione di due Gran galà e Luca Barbareschi, durante uno show in prima serata tv, era lui ad essere in totale imbarazzo. Ma come fai? “Vivo di grandi passioni e ci metto il cuore. Mi sono impegnata al massimo, mi sono buttata, ho anche azzardato e ho imparato che è la paura che ci fa tornare indietro. Nel mio cuore c’è grinta e dolcezza. Funziona”.

A Serdiana, da don Ettore Cannavera, questo pomeriggio Simona presenta il libro che ha scritto sulla storia. E domenica 2 giugno, per la giornata dedicata alla disabilità, danzerà coi ballerini della Scala, per una serata di beneficenza al teatro Massimo già sold out da mesi. A pochi chilometri da Cagliari, un gruppo di genitori e operatori, da anni è al lavoro per arrivare a costruire la casa di Peter Pan, per i bimbi affetti da autismo. E Simona, quella casa, vuole vederla diventare un castello.

Il titolo che hai scelto per il tuo libro è una domanda: “Cosa ti manca per essere felice?”. “Oggi direi che mi manca mia madre, ma è stata lei ad insegnarmi che la felicità sta nel percorso, nelle cose più semplici, e non nei traguardi. Quindi, la risposta, è che non mi manca nulla”. Ma i momenti di rabbia, fatica, sconforto, non dirmi che non ci sono mai stati… “Mi rattristo e mi arrabbio, come tutti. Poi penso che la vita mi ha fatto il dono più bello, quello di vivere”.

A Cagliari vive Salvatore Usala, il più grande lottatore di Sardegna. Il suo corpo è immobilizzato dalla Sla ma il suo cuore corre più veloce di un leone. E’ una forza che vi accomuna. “E’ la forza della vita. Un’energia che hai dentro, anche se il corpo è monco o si spegne lento come un cerino. Salvatore ha deciso di vivere e gridare. Lui non si sente speciale, lottare è l’unico modo che ha per esprimersi e poter vivere. Il nostro corpo è solo un involucro e la vita che hai dentro non passa certo dalle braccia”.

Donatella Percivale

(Galleria fotografica di Alessia Santambrogio)

 

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