“Ravot”, il primo album di Alek Hidell: ‘C’è una vecchia storia di Buggerru’

di Andrea Tramonte

Nell’estate del 1942 un siluro andò a schiantarsi sulla banchina del porto di un piccolo paese della costa Sud Occidentale dell’Isola, uccidendo due bambini che in quel momento si trovavano lì a giocare tra le onde. Ravot era nei paraggi e vide tutto. Sentì il frastuono assordante causato dall’esplosione e fu testimone della morte dei bimbi, praticamente suoi coetanei. Quel momento lo segnò per tutta la vita. Negli anni a seguire ritroviamo Ravot cresciuto, ormai uomo: rumori e colori di quel momento rimasero impressi nelle sue orecchie e nei suoi occhi, marchiando una esistenza in bilico tra fuga dalla realtà, frammenti di pace e tormento. Il paese è Buggerru, il luogo dove Dario Licciardi – musicista cagliaritano 34enne – ha trascorso l’infanzia e tutte le estati della sua vita da quando è nato. Il suo disco, Ravot (uscito per Trovarobato e Panico), nasce qui: dal paesaggio intorno al paese e dalle storie che ha ascoltato fin da bambino. “Ma è un racconto fatto in modo tale da rendere Buggerru irriconoscibile”, precisa Dario. “Il mio album parte da una vicenda nota in paese ma la elaboro in modo non narrativo, con un lavoro di astrazione molto forte che va di pari passo con l’astrazione del mio approccio musicale”.

Il suo progetto si chiama Alek Hidell e nasce tra Torino e Milano dopo lo scioglimento degli Everybody Tesla, un progetto di live looping dove la ricerca e la passione per il suono di Dario interagivano con il gusto pop del producer Alessio Atzori, riuscendo a essere insieme orecchiabili e sperimentali. “Nel primo periodo stavo in una soffitta a Torino che era camera da letto e studio. Era tutta cablata e microfonata. Dopo il lavoro trascorrevo il giorno a suonare e registrare. C’era anche un via vai di amici musicisti che davano una mano, come Nicola Lotta – cori, batteria, tastiere giocattolo filtrate, fraseggi di chitarra e basso – e Alessio. Tutte parti che ho conservato nel disco”. Nel corso degli anni la sua personalissima idea di suono prende forma e diventa sempre più coerente: un approccio retro-futurista dove campionamenti e beat si intrecciano al recupero di sonorità di library music italiana anni Settanta, prog rock, colonne sonore, hip hop astratto, disco e il Lucio Battisti di Anima Latina. “Un suono insieme noise e melodico – racconta Dario, che nel curriculum vanta anche una collaborazione con Iosonouncane nel suo disco capolavoro, Die -. Ho suonato con vecchi synth sconosciuti, echi a nastro, e poi ancora basso, chitarra, percussioni, fiati, ho campionato un sacco di suoni che poi ho trattato e integrato nei miei pezzi”.

Il risultato è notevole: c’è la danza lenta e marziale di Yolk, coi suoi cambi di registro che conducono al finale maestoso e trionfale; la afro-disco-balearic di Dinghy, tra svisate di chitarra, grida vodoo e synth caldi; le tinte nostalgiche di Spoons, con alcuni momenti melodici bellissimi; fino a Torpedo, la vetta del disco, una jam di otto minuti che sta da qualche parte tra psichedelia, Flying Lotus, drum’n’bass e Morricone. Il concept è legato alla storia di Ravot e si sviluppa a partire dalla copertina, una vecchia foto del porto di Buggerru scattata dal padre alla fine degli anni Settanta durante la festa di Santa Barbara, coi fuochi d’artificio catturati nel punto esatto in cui il siluro colpì la spiaggia durante la guerra. “La cover possiede quel tipo di astrazione che ha anche il disco. Con una esplosione gioiosa che nasconde una vicenda tragica – dice Dario -. Del resto non si tratta di un disco di morte, ma un lavoro dove si cerca di cogliere il bello in tutto”. I videoclip delle tracce invece si baseranno su materiale d’archivio di famiglia, una serie di filmini in super 8 che Dario ha riversato in digitale e poi rielaborato. Il progetto si svilupperà con un approccio multidisciplinare attraverso un lavoro di fotografia, video, grafica e storytelling – insieme al fotografo Francesco Caredda e al graphic designer Marco Meloni – ed è stato anticipato dall’uscita di quattro singoli in digitale. Tra questi c’è l’hip hop astratto e ipnotico di Wom e la disco à la Todd Terje di Delta (poi non inclusa nel disco), uno dei momenti più ballabili e divertenti di tutta la sua produzione. I riferimenti all’Isola sono forti ma non immediati: intimi, quasi nascosti con riservatezza e pudore. “In Torpedo, ad esempio, cerco di richiamare l’idea del movimento delle onde attraverso il suono dei synth. Poi ci sono tracce audio di vecchissime registrazioni raccolte col mangianastri. Ci sono tante cose personali che forse non ha senso stare a spiegare, però sì: c’è molta Buggerru, con l’influenza delle sue storie e del suo paesaggio, stretto tra due montagne e con il mare davanti”. (Foto di apertura: Francesco Caredda)

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