È scomparso oggi, all’età di 91 anni, l’architetto ligure Alberto Ponis che ormai da decenni aveva scelto la Sardegna, e in particolare Palau, come sua casa. Dagli anni Sessanta aveva progettato oltre duecento case tra Punta Sardegna, Porto Rafael e Costa Paradiso, con una sensibilità all’avanguardia in tema di rapporto con la natura e tutela dell’ambiente. Riproponiamo un articolo uscito nel ventisettesimo numero di Sardinia Post Magazine, luglio/agosto 2021.
di Andrea Tramonte
foto di Giulia Cannas
Le sue case sembrano quasi mimetizzate nel paesaggio e dialogano con la macchia mediterranea e le rocce di granito della costa gallurese. Guardano un mare così chiaro da sembrare irreale, si nutrono di una luce che può essere accecante. Non è possibile pensare all’architettura di Alberto Ponis se si prescinde dai colori dell’Isola e dal suo ambiente naturale: le case che ha progettato si trovano vicino a speroni rocciosi, strapiombi, pendii, avvallamenti e sono immerse negli alberi e tra le rocce. Percorrerne i sentieri sembra un invito a una danza nel granito. Seguono la conformazione del territorio perché in quel territorio vogliono incidere il meno possibile: rispettosamente, con discrezione. Prendiamo Casa Scalesciani, uno dei suoi progetti più celebri in Costa Paradiso. È un’architettura collocata in un contesto quasi impossibile, di fronte a un precipizio su una scogliera di quaranta metri. La casa è interamente circondata dalle rocce su un percorso tortuoso lastricato di pietre. Il senso di vertigine è palpabile, nel suo dialogo col mare in uno spazio vuoto quasi “riempito” dalle onde mosse dal maestrale. Fa pensare alla Villa Malaparte a Capri (progettata da Adalberto Libbera) o alla Casa sulla cascata in Pennsylvania disegnata nel 1939 da Frank Lloyd Wright. Un capolavoro che racconta più di altri l’idea di architettura di Ponis, la sua radicalità nel muoversi all’interno del paesaggio. Nel suo nutrirsi di esso, in un dialogo fondamentale e necessario.
L’architetto genovese, oggi 88enne, ci accoglie nella sua casa al porto di Palau insieme alla moglie Annarita. «Sei il primo giornalista italiano che viene a trovarci», dice lei con un po’ di rammarico. In effetti è paradossale: gli studenti arrivano da tutto il mondo per analizzare la sua architettura – l’Accademia di Mendrisio ha organizzato due corsi sui suoi progetti con una settimana in Gallura a conclusione del semestre, la facoltà di Oslo ha mandato decine di futuri architetti nell’Isola – e proprio in questo periodo è allestita una importante retrospettiva dedicata al suo lavoro a Pechino, in Cina. Le sue case, e l’interesse che riscuotono, diventano così ambasciatrici della Sardegna a livello internazionale. I fari nell’Isola si sono accesi solo di recente grazie alla mostra organizzata alla Fondazione di Sardegna a cura dell’architetta Paola Mura, e al premio alla carriera che gli ha conferito Inarch nel 2020. Ma qui rimane ancora poco noto, nonostante il suo lavoro abbia profondamente inciso nelle coste – senza colate di cemento o pugni nell’occhio estetici, al contrario – dando un contributo decisivo alla creazione di una architettura contemporanea che dialoga in modo forte con la tradizione dell’Isola. Come dimostra la sua riscoperta dello stazzo gallurese, un tipico esempio di architettura vernacolare, un insediamento rurale che storicamente è stato il fulcro della vita agricola e pastorale in Gallura. E che l’architetto genovese ha fatto suo, reinterpretandolo in alcuni celebri progetti: come lo Stazzo Pulcheddu alle porte di Palau.
Ponis racconta e si muove nel suo studio tra libri, riviste di architettura e carte. A un certo punto prende un volume e lo apre. «Questa è un testo di Louis Kahn con una dedica personale. Potrebbero rubarmi qualsiasi cosa da questa casa e non ci sarebbe problema: ma questo libro no, ci tengo tantissimo». Poi mostra una radice appesa al muro. Uno strano cimelio che si staglia tra i suoi dipinti – «sono un pittore prestato all’architettura», dice di sé – e le planimetrie dei progetti. «Era nata nelle fessure millimetriche di un masso di granito che poi si è spaccato. L’ho raccolto e conservato», dice, rivelando ancor di più un rapporto quasi viscerale con l’ambiente naturale in cui ha operato. Ponis arriva in Sardegna nel 1963 dopo un periodo a Londra. All’epoca il turismo nell’Isola non ancora era sviluppato come oggi. Quando l’architetto porta avanti i suoi primi progetti nella zona di Palau il principe Karim Aga Khan ha iniziato la costruzione della Costa Smeralda da appena un anno. Il suo primo lavoro è la casa delle vacanze di alcuni turisti che volevano una abitazione a Punta Sardegna.
(Continua a leggere dopo la foto)
«Quell’anno sono arrivato in marzo in un’Isola praticamente deserta – racconta lui -, al seguito di un gruppo di alcuni entusiasti ed aristocratici inglesi alla ricerca di nuove spiagge da scoprire. Palau aveva poche case e le sue strade non erano asfaltate. A circa un miglio dalla costa c’era l’isola de La Maddalena, e l’unica attività che generava un rumore notevole era l’andirivieni del minuscolo traghetto che collegava l’isola con Palau». I turisti iniziano a popolare quel tratto di costa e Punta Sardegna diventa – nel giro di pochi anni – una meta privilegiata: per lui è l’occasione per sperimentare e mettere a punto in maniera decisiva la sua idea di architettura. Ponis è noto per le sue case per le vacanze e abbiamo avuto il privilegio di entrare in alcune di esse a Porto Rafael, a Punta Sardegna. Una è Casa Bak – di proprietà di un notissimo giornalista – i cui tetti spioventi di tegole color terra spuntano tra gli agglomerati rocciosi in cui gli edifici sembrano quasi incastonati. In genere le architetture di Ponis vengono raccontate attraverso degli scatti dall’alto, proprio per mostrare il loro rapporto organico col paesaggio. Ma è passeggiando all’interno che ci si rende conto di quanto questa relazione sia simbiotica.
Le due abitazioni si trovano su un sito in forte pendenza pieno di massi enormi. Depandance e case sono incastonate così alla perfezione tra le rocce che ne seguono l’andamento e ci si muove tra i loro bordi: un modo per creare una cesura rispetto al mondo esterno e creare una chiave d’accesso a uno spazio quasi arcaico pur nella sua fortissima modernità. A un certo punto ci si imbatte in alcune scale che sono praticamente “invase” da una roccia possente: Ponis l’ha lasciata così com’era, senza tagliarla, così le scale si limitano a seguirne la forma e si assottigliano al punto da risultare strettissime e di difficile passaggio. Il luogo sembra introspettivo, protetto: ma si apre all’esterno grazie a un panorama mozzafiato che guarda il mare e l’isola de La Maddalena. Gli odori della macchia sono penetranti. Tutto intorno è silenzio. Così l’architettura diventa – e certamente lo è per Ponis – uno strumento di conoscenza del paesaggio. Ce ne accorgiamo camminando nel percorso progettato per lo Yacht club di Punta Sardegna, che è lungo, tortuoso, corre parallelo alla linea della costa, segue rocce e licheni al punto da sembrare lì da sempre. Sono gli “ostacoli” del paesaggio a esaltare il suo lavoro. «Se per il pittore è la tela bianca il punto di partenza, per lui è la terra – scrive Sebastiano Brandolini, massimo conoscitore dell’opera di Ponis -, nei cui confronti egli possiede una naturale predisposizione e sensibilità, di matrice sia pittorica che scultorea. Pittorica perché egli immagina sempre come le sue case si configurerebbero nel momento in cui fossero ritratte; e a seconda di come vorrebbe ritrarle (scorci, ombre, pendenze) così le progetta. Scultore perché solo entrando in sintonia con la nuda plasticità del terreno egli partecipa alle sue forme». Nel corso dei decenni Ponis ha progettato circa duecento case. A differenza degli architetti che hanno lavorato nel Nord costruendo le case estive senza vivere in Sardegna, lui nell’Isola ha costruito casa marcando una differenza fondamentale dagli altri. Segno di un innamoramento vero nei confronti di una terra che ha iniziato a conoscere e studiare in profondità. È anche per questo che le sue case – in definitiva – appaiono così “naturali”. Parte di un paesaggio gallurese che hanno contribuito a trasformare e valorizzare.