Nuovo appuntamento con la rubrica Sardinia excellence. Storie, persone che rendono unica l’Isola a cura di Antonio Paolini una delle firme più autorevoli del giornalismo enogastronomico.
Cagliaritano, esule per scelta, top seller con “La donna nel pozzo” ambientato nel Sarrabus: “Ora posso scrivere dell’isola che amo”
“Aveva ragione Camilleri: l’amore è una lente deformante. Il cui oggetto non è mai visto in modo reale, ma di volta in volta, e secondo casi, in modo enfatizzato o ipercritico. Per capire il tuo rapporto con ciò che ami, sia una persona o un luogo, soprattutto un luogo, e magari quello – speciale – dove sei nato, devi prenderne le distanze. Devi guardarlo con uno sguardo esule. Se hai il mare dentro, devi metterlo fuori. Tra te e la tua isola. Solo così potrai costruire con le tue origini, le tue radici, un rapporto più oggettivo, profondo e acuminato. E solo allora potrai davvero tornare. E tornare, se scrivi, è scriverne. Io ci ho messo più di 10 anni. Fino a quando non ho scritto l’“Isola delle Anime”. Dopo però non ho più smesso”.
No, non ha smesso più Piergiorgio Pulixi, romanziere, punta di diamante del “noir” nazionale – ma iridato di sfumature tutte sue, nuance personalissime, consapevolissime e ricercate – e ormai abbonato ai primi posti di ogni classifica e a un tot di premi. Anche l’ultimo uscito, “La donna nel pozzo”, che coinvolge e tira dentro il mondo dell’editoria e i suoi retroscena e che sta volando alto e veloce come una monorotaia giapponese, ha fulcro e ragione profonda d’essere in Sardegna. E si ispira anzi (in un raffinato rimando letterario di specchi per cui un scrittore come lui scava, come di fatto lui fa col libro, in un “cold case” di ragazzine e donne crudelmente uccise) a fatti di cronaca, nera ovviamente, sardi e reali.
“Sono andato via che avevo 23 anni. Via da Cagliari, dove sono nato e avevo iniziato, dopo un passaggio a Selargius, a lavorare”. A lavorare dove? Ma, diamine!, in una libreria: la Miele Amaro, che espone oggi i suoi titoli.
“Sono andato in Inghilterra e sono rimasto cinque anni, poi in Francia, quindi a Milano. Posti nuovi, ritmi e scenari diversi, quel che serviva per capire”.
Capire tra l’altro che la passione sempre avuta per i libri, per la letteratura, era vocazione pura e vera. Che però per funzionare e tradursi in scrittura aveva bisogno di disciplina, metodo e mestiere. “Mestiere è la parola giusta, di cui non aver pudore né paura. Chi parla di ispirazione tout court per me è fuori bersaglio. Io il mestiere sono andato a impararlo a Padova, da Massimo Carlotto. Uno che come gli artisti del Rinascimento ha aperto la sua bottega, in forma di collettivo, per insegnare e trasmettere con generosità quel che sapeva. Al contrario di quel che è regola nell’Italia odierna, dove chi ha tiene per sé e non condivide. Ho avuto la fortuna di conoscerlo, entrare, studiare in immersione totale la letteratura poliziesca americana ed europea, imparare a lavorare in gruppo e sul campo. Come abbiamo fatto con la prima cosa che ho scritta (in collettivo, appunto): il romanzo-inchiesta “Perdas de Fogu” centrato sul poligono militare più grande d’Europa. Lì ho capito come si lavora. Ricerca, documentazione, stesura. E poi impianto fiction. Altro che apparizione della musa accanto al tavolino…”.
Pulixi ha lavorato col team Carlotto a vari romanzi. Fino alla svolta. O, a preferenza, al decollo. “Il 2012 è stato l’anno del debutto in solitaria con ‘Una brutta storia’”. Il primo di una serie, subito impattante, con in scena il commissario Bruno Mazzeo. E il primo in cui Pulixi sperimenta la formula del mix tra chiarori e angoli bui, lampi di sole e cicatrici mai del tutto chiuse che poi, pur con nuance sempre diverse e un palese “in progress” nella tracciatura delle figure e dei caratteri, accomunerà in qualche modo (con l’eccezione del libraio di Cagliari Marzio Montecristo e del suo “circolo Pickwick” di giallisti investigatori) tutti i suoi protagonisti. Dalle poliziotte della Mobile ancora cagliaritana, squadra casi irrisolti, Rais e Croce, all’altro commissario, Vito Strega, o al duo di co-starring che affianca Ermes Calvino, prim’attore della storia ultima, la più fresca d’uscita (e lui è uno che i suoi casini stavolta non se li porta dentro, ma ne ha a pacchetti in famiglia).
Anche alla luce di come lo stesso Pulixi imposta le sue trame, insomma, è corretto dire che se nel giallo classico chi investiga è tutto “bianco” e chi è investigato e colpevole è tutto “nero” (e sul bianco poi l’autore dipinge nuance di colore per costruire tic, maniere e riconoscibilità del personaggio) nel noir invece tutto è fatto di pezzi diversi d’ombra, di diversa intensità e con scelte diverse tese a reggerne il peso, ma che investono sempre anche chi dovrebbe rappresentare il bene.
“Diciamo, per semplificare ancora, che il giallo classico, dove la domanda è “chi è stato?”, dentro il suo gioco enigmistico (il lettore sfidato a scoprire il colpevole prima di voltare l’ultima pagina) è catartico, consolatorio, rinsalda la fiducia nella ragione contro il caos. Il bene vincerà in ogni caso. Nella realtà molto spesso accade il contrario. E il giallo, pur con i suoi morti ammazzati e scenari a volte crudi, finisce sempre con una carezza. Il noir non chiede, o non in modo totalizzante, “chi” (il chi a volte anzi è già palese o addirittura secondario) ma “perché”. Perché è successo, perché l’ha fatto? Dunque mette in gioco radici storiche, culturali, economiche determinanti in quel determinato momento e per quella, o quelle, persone. Vive di introspezione, non di automatismi. Il crimine è un grimaldello per aprire e raccontare uno spaccato: trasformazioni antropologiche, momenti di crisi di società o sistemi, anche passaggi storici importanti”.
La Sardegna, risolta – meglio, affrontata ed esorcizzata con l’autoesilio – la famosa distopia d’amore, è per Pulixi scenario ormai fisso. Ma dove si annida il “nero” in Sardegna? Nelle bocche dei siti archeologici che, come quelle del pozzo dell’ultimo titolo, si aprono nella terra verso abissi misteriosi, o altrove?
“Molti luoghi qui sono impregnati di mistero, di magia. Ma con una visione più disincantata potremmo dire che le ombre risiedono dentro ognuno di noi nativi di questa terra. E sono figlie dell’eterno contrasto tra lo slancio verso il futuro e la radicalità con cui restiamo legati a tradizioni, radici appunto e, sì, gelosia per la nostra terra. Vorremo spingerci oltre il mare, ma rimaniamo più o meno consciamente avvitati. Bufalino ha definito questa sindrome “Isolitudine”. Che non riguarda solo la Sardegna, ma ogni isola. Futuro, passato: e la persona in mezzo. In difficoltà. A cercare di controllare quello che può. E quel che – fatalmente – non riesce vissuto come una minaccia. Un conflitto interiore che talvolta tracima. Si fa sociale. E può diventare violento. La Sardegna poi non è una semplice isola. È un arcipelago. Dentro il quale ogni minimo paese è un’isola. Viaggi nel mondo, e fuori trovi sarde e sardi che si trattano da fratelli e sorelle, con una solidarietà che dentro invece è inesistente, con ognuno ancorato alla propria microdimensione”.
Non resta certo ancorato, invece, agli stilemi radicali del genere che pure riconosce suo Piegiorgio Pulixi. Anzi, spiega e rilancia: “Mentre il nostro universo espressivo, e soprattutto le serie che ne sono oggi la punta più impattante, incalzati da una realtà più oscura di ogni romanzo spingono verso l’“overdose”, in particolare col “true crime” e i podcast fitti di casi veri che oltrepassano ogni immaginazione, io credo sia il momento per la letteratura noir di giocare di equilibri e ammorbidirsi. Io sono e sono stato un autore noir. Ma in quest’ultima fase proprio quel che accade nel mondo mi induce a pensare che unire giallo e noir possa essere davvero utile. Perché aiuta a rispondere a esigenze oggi più vive che mai. A cogliere un momento che in questo senso è più che propizio. E a centrare un optimum che richiede però una dose adeguata di delicatezza e di eleganza”. Dixit. E a noi non resta dunque che leggere…
Antonio Paolini
Antonio Paolini è una delle firme più autorevoli del giornalismo enogastronomico. È coordinatore Guide food Gambero Rosso. Ha co-fondato e scrive per la testata web Vinodabere.it. Ha lavorato a lungo al Messaggero (Esteri, Economia, wine & food columnist), ed è stato curatore dei Vini dell’Espresso e nel comitato esecutivo della Guida ai Ristoranti d’Italia. Ha scritto tra gli altri per L’Espresso, Spirito Divino, Monsieur, La Cucina Italiana, I Fiori del Male, e pubblicato decine di Guide. Nel 2008 gli è stato attribuito il Premio Veronelli. Attualmente collaboratore del gruppo Sae.