Oltre ‘Mi sono mangiato l’Atalanta’, come parlano i giovani sardi: uno studio spiega il successo del gergo

Andrea Deidda

di Andrea Deidda

A Bergamo a febbraio, quando il Cagliari ha espugnato lo Gewiss Stadium, hanno scoperto che l’Atalanta non è soltanto una squadra di calcio ma anche una grande abbuffata. Se ne rese conto il Corriere che dopo la sconfitta dei nerazzurri online pubblicò una delle tre videolezioni de “il cagliaritano per tutti” acclamata ‘serie’ diffusa su Youtube da Emilio Marco Piano, autore dei testi e Simeone Latini, attore e doppiatore, in cui vengono dati alcuni consigli per parlare brillantemente il casteddaio senza mai essere stati a Cagliari. Le lezioni passano in rassegna diversi termini di uso comune soprattutto nelle giovani generazioni e non mancano espressioni colorite e parolacce che mischiano in maniera divertente lingua sarda e italiana.

La questione del gergo, soprattutto di quello parlato dai giovani, è ben più complessa di una risata e infatti è oggetto di studi da parte dei linguisti. Del linguaggio giovanile parlato dai sardi, tra il 2013 ed il 2014 si occupò anche l’Università di Cagliari con un progetto di ricerca condotto da Gianluca Colella e Edoardo Blasco Ferrer. Uno studio poi ricompreso nel volume ‘Parlare le lingue romanze’ pubblicato dall’Università L’Orientale di Napoli.

Videolezione – Il Cagliaritano per tutti 1/3

La premessa del lavoro dei due studiosi è che nell’Isola esiste “un sardo dei giovani” dovuto alla compresenza della lingua italiana e di quella sarda. “Questo genera due varietà differenti ciascuna delle quali con dinamiche proprie. Per esempio, il vocabolo ciospo ‘brutta’ è diffuso solo nella varietà italiana, mentre il sinonimo cozza (o meglio cotza), è usato in maniera esclusiva nella varietà sarda che non usa ciospo“. Nello studio da un lato viene indagato l’italiano regionale dove nel parlato viene sottolineata la presenza costante del dialetto e la combinazione di più lingue, dall’altro emerge la presenza di espressioni “che sembra si siano create per via endogena, come per esempio svisare ‘guardare’, ‘sbiriciare’ o di spaccare il gaggiometro o grezzometro ‘superare il limite di rozzezza e volgarità’ . O ancora smolliamoci, ca custu est unu logu fuckoff ovvero ‘andiamo via, perché questo è un posto fuck off’.

La ricerca è stata condotta tramite questionari nelle scuole, tra gli studenti universitari e con registrazioni audio effettuate durante conversazioni informali. Ed ecco emergere un repertorio linguistico che già un secolo fa il linguista Leopold Wagner notò e di cui scrisse in un articolo del 1928. Alcune parole hanno avuto ampia diffusione come nel caso di loffiu che che si presta a più significati come ‘brutto’, ‘subdolo’, ‘losco’, ‘fiacco’ ma è anche un concorrente di leggiu. “Altre forme gergali italiane registrate da Wagner, come pilla ‘denaro’, prosu ‘deretano’ e ghignu ‘sesso maschile’ (di origine settentrionale) o il verbo sminci ‘sbirciare’ (probabilmente di origine centro-meridionale), italianizzatosi in ‘sminciare’ sono ancora vive nell’uso e sono percepite, a torto, come parole tipicamente sarde.

Videolezione – Il Cagliaritano per tutti 2/3

Parlando di studenti non mancano gli esempi dal mondo della scuola: craccau letteralmente significa ‘schiacciato’ ma soprattutto nel suo adattamento craccato vale come ‘bocciato’ ed è una forma esclusiva del campidanese, mentre nel Logudoro compare bullau ‘bollato’. C’è poi la sfera più boccaccesca: “Il rapporto tra sardo e italiano nel linguaggio giovanile è osmotico: elementi locali vengono più o meno italianizzati mentre elementi italiani vengono sardizzati. Le seguenti coppie possono presentarsi anche in uno stesso dialogo: feo/feu ‘brutto’, troncu de udda / tronco de udda, letteralmente ‘pezzo di f.’, accallonau/accallonato ‘rimbambito’ (da calloni ‘coglione’)”.

E ancora: “Più interessante è invece il passaggio inverso come in si cannai ‘farsi una canna’. Si notano meccanismi simili a quelli che avvengono in altre aree della Penisola. A Cagliari i giovani usano caddozzo (caddotzu) ‘persona sporca’ e soprattutto la forma accrescitiva con l’uso di -one, caddozzone, con la stessa accezione dello zozzone del giovanilese di Roma che sta a indicare il chiosco ambulante (nella foto in alto) che vende panini imbottiti”.

Videolezione – Il Cagliaritano per tutti 3/3

Ci sono altri sardismi che si evolvono e cambiano di significato: “Per esempio scallonisi da is callonis (anche lasca da là is callonis, con là da labai ‘attento a’, che è l’equivalente dell’esclamazione ‘che palle’; trassare ‘truccare’, anche in senso metaforico trassare la macchina e ‘sistemare’ trassare il computer; grisare (da grisai letteralmente ‘schifare’, ‘evitare’) in ‘ho grisato la scuola’, o cravare (clavai ‘conficcare’) che è accostato a gergalismi di nuova generazione riferiti al mondo dei social network: «ti cravo [metto] un mi piace, solo per toglierti la curiositá, su facebook», «ti cravo [‘invio’] un video potentissimo»; roglio, registrato nel campidanese (dal sardo arrogliu ‘raduno di persone’, ma anche ‘assedio’), si presenta in numerosi contesti e vale ‘confusione’, ‘caos’, ‘complicazione’. In breve, è l’equivalente del familiare ‘casino’.

Tra gli altri termini raccolti su 120 registrazioni lunghe (20-40 minuti) e su 40 trascrizioni di dialoghi ci sono i termini lolloni, accallonau, alluvionau, babasucu, burdella, cotzina per indicare una persona non troppo intelligente. E si notano le differenze tra nord e sud Sardegna. Un ultimo aspetto riguarda la formazione di nuove espressioni che non hanno corrispondenza in sardo: eus limonau (‘limonare’ per il corrente fastiggiai ‘pomiciare’, matzi de tempus ‘tanto tempo’ (mazzi, ‘grande quantità’), cioppato ‘fatto di alcol’ al posto di imbriagu, cotu. Infine si spesai ‘squagliarsela’ al posto si fui, unu shotinu ‘bicchierino di superalcolico’, stai easy!, si fai unu shek o si fumai unu joint/porro che significa ‘fumare uno spinello’.

Andrea Deidda

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