Nicola, l’ultimo artigiano che fa per i pastori scarpe da signori

Nuovo appuntamento con la rubrica Sardinia excellenceStorie, persone che rendono unica l’Isola a cura di Antonio Paolini una delle firme più autorevoli del giornalismo enogastronomico.

Trent’anni, perito elettronico “pentito”, ha scelto arte  e bottega, lavora solo su misura ed è il re dei cosingios  

Ha cominciato, un po’ per caso e un po’ per gioco, che era davvero ancora ragazzo, da poco diplomato peraltro – il che, come avrebbe detto un ex politico e ministro molisano “non ci azzecca proprio” – da perito elettronico. E ha cominciato, guarda un po’, perché amava (e ama di tutto cuore ancora) i cavalli, e andarci su e in giro. Fatto sta che da cavallo a finimenti è un passo corto. Ma da lì a decidere di farseli da solo, e farli bene, ci vuole mano e, di sicuro, una certa vocazione. Nicola Mighela, “Nicoleddu” per gli amici, trent’anni appena compiuti, da Villagrande Strisaili, nel Nuorese, tremila anime, case, chiesa e sede comunale a un filo dal percorso del Trenino Verde e al confine con il Parco Naturale di Santa Barbara, ha scoperto di avere in buona dose entrambe quando un altro cavaliere, suo conoscente, si è invaghito di quei finimenti appena fatti, diciamo così, per uso personale,  gli ha chiesto di fargliene uguali e, ovviamente, glieli ha pagati.

“A quel primo ordine, chiamiamolo così, però poi non ne sono seguiti altri. Io intanto avevo fatto altri finimenti, ma me li sono dovuti tenere. E ho capito che forse, visto che fare quelle cose e lavorare il cuoio mi era piaciuto un sacco, dovevo allargare gli orizzonti”. Detto fatto, Nicola va a “studiare” in trasferta dopo aver trovato – con un passaparola andato felicemente a dama – un artigiano di provata esperienza che accetta di tenerlo a bottega. Ovvero seduto accanto a lui che lavora, a osservare e vedere… come si fa. La famosa vocazione lì ha fatto il resto. Nicola ha imparato. Bene e presto. Poi si è preso i suoi rischi. Ha comprato (un passo per volta) le macchine e gli attrezzi necessari. Ha aperto a sua volta bottega. E si è messo a fare. Cosa? Ma scarpe, naturalmente. Che quelle, più dei finimenti (“Qui in zona mia cavalli e cavallari sono pochi; in altre zone sarde ce n’è di più, ma qui scarseggiano”, puntualizza lui) invece hanno un altro pubblico. Che presto si accorge di questo artigiano fresco e abilissimo, deciso a lavorare, come i veri grandi, solo su misura. “Non si può fare diversamente per me. Ogni piede è un piede, io chiedo indicazioni esatte, e so come fare, anche a chi è lontano e mi ordina le scarpe. Magari il cliente si accontenta anche di una cosa meno precisa, ma io no. La calzata deve essere perfetta, per me. Sennò preferisco non fare”, spiega lui. 

In più, Mighela ci mette su, oltre la bravura evidente, la specializzazione. In giro da lui ci sono pochi cavalli, ma ancora un tot di pecore. E relativi pastori. Che portano da sempre scarponcini speciali, accollati e alti quanto serve e basta, e con una peculiarità essenziale che vi spiegheremo (Nicola e chi scrive) tra un attimo. Quelle originali, dei pastori di una volta, erano fatte alla meglio, con materiali poveri e spesso di recupero. Quelle targate Mighela sono scarpe per pastori, ma fatte come quelle dei signori. Cuoio rasato di prima scelta (di tagli diversi secondo opportunità e scelta estetica), fattura rifinita e interamente manuale, e (ecco la peculiarità) suola perfettamente liscia. Perché? “Perché il terreno che cammina il pastore è fatto, con rispetto parlando, di erba, terra e cacca. E sai quanta te ne porti dietro con una suola tipo trekking, a carro armato? Un mezzo quintale…”, chiosa Nicola. Che oggi vende su ordinazione e con soddisfazione le sue scarpe da pastore/signore (una giornata secca e intensa, undici-dodici ore di lavoro per farne un paio) in tutta la Sardegna e un po’ anche fuori. E riceve in laboratorio visite di chi vuol vedere “dal vivo” la rarità di questo giovanotto che da perito in diodi e relais è divenuto perito un arte sarda tradizionale a rischio, come altre, di morte per mancanza di interpreti.

Mighela ha via via ulteriormente allargato la proposta. Ma con misura. Fa, per esempio, su richiesta anche splendidi stivaletti, appena un po’ più costosi del prodotto classico (che, tanto per ribadire come è fatta la Sardegna, cerchio apparentemente unico e chiuso tracciato dal mare, ma dentro mosaico, anzi caleidoscopio di localismi, da lui si chiamano cosinzos de bette, un metro più in là cosingius e a 20 km in linea d’aria, misteriosamente, scarpe de orroppu). Sia come sia, direbbe il grande Peppino De Filippo se fosse ancora tra noi, chiamatele come volete, ma se vi piacciono (e hanno tutto per piacere) “accattatevelle”… Compratevele.  

Antonio Paolini

Antonio Paolini è una delle firme più autorevoli del giornalismo enogastronomico. È coordinatore Guide food Gambero Rosso. Ha co-fondato e scrive per la testata web Vinodabere.it. Ha lavorato a lungo al Messaggero (Esteri, Economia, wine & food columnist), ed è stato curatore dei Vini dell’Espresso e nel comitato esecutivo della Guida ai Ristoranti d’Italia. Ha scritto tra gli altri per L’Espresso, Spirito Divino, Monsieur, La Cucina Italiana, I Fiori del Male, e pubblicato decine di Guide. Nel 2008 gli è stato attribuito il Premio Veronelli. Attualmente collaboratore del gruppo Sae.

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