di Alessandra Piredda
“La musica a Seui è un piccolo miracolo che ho cercato di raccontare perché credo sia un esempio virtuoso che serve anche a combattere lo spopolamento”. Andrea Deidda, giornalista e filmmaker cagliaritano, specializzato in comunicazione digitale, ha deciso di parlare della piccola realtà del paese attraverso il film documentario Seu Innoi, per cercare di approfondire ancora meglio tante tematiche, in una comunità sempre più vecchia dove i giovani emigrano e si registrano sempre meno nascite.
Questa non è la prima volta che parli di Seui. Cosa ti ha spinto a tornare nuovamente in un piccolo paese del sud Sardegna?
“Mi sono avvicinato a Seui nel 2019, con il cortometraggio Bar Seui e in quella occasione ho parlato della storia di mio nonno, originario del paese. Era un racconto di emigrazione, mentre nel documentario Seu Innoi (2024) ho preferito parlare di chi resta e agisce contro lo spopolamento di questi territori sempre più a rischio. Ho un grande senso di appartenenza per questi luoghi e volevo dare il mio contributo. Ho potuto constatare che in un paese sono poche le occasioni per riunirsi. Ma la banda musicale del paese è un ‘istituzione, l’orgoglio dei suoi abitanti. Mi è sembrato doveroso parlare di un’eredità che è riuscita a conquistare il cuore di tanti giovani. Nei piccoli centri le occasioni per riunirsi e vedersi sono poche rispetto alla città e la musica è un modo per stare insieme. Il progetto della street band(di cui parlo nel documentario) SeuinStreet lo dimostra. Il gruppo, composto da circa quaranta musicisti affiatati vanta ormai diverse esperienze varie nella penisola e in Europa.
È una formazione composta di soli giovani?
È un gruppo composto sopratutto da giovani ragazze e ragazzi. Chi tra loro si è appassionato ha poi ha intrapreso la carriera di musicista iscrivendosi al conservatorio. Vedere i giovani che si dedicano alla musica e di questa ne fanno uno scopo di vita è molto bello. É vero che chi parte per studiare spesso non ritorna a Seui. Ma chi resta lo fa con grande consapevolezza. Vivere in un piccolo centro ha dei limiti. Però anche la città impone delle rinunce: è difficile vedere bimbi che giocano per strada. Mentre in queste piccole realtà di provincia queste cose succedono ancora per fortuna.
Gli abitanti di Seui come hanno accolto la tua volontà di girare questo documentario?
Ho avuto modo di farmi conoscere con il precedente lavoro quindi mi ero già guadagnato la fiducia della popolazione. Il mio documentario rappresenta la vita di tante persone. Ho trovato molta disponibilità perché gli abitanti del paese hanno capito che è un modo per omaggiare una comunità unita e partecipe. Seui vanta un’antica tradizione di musicisti che compongono la storica banda (centenaria). La coesione e il senso di appartenenza sono valori fondanti di questa tradizione.
Quanto tempo ha impiegato per girare Seu Innoi ? Sta già lavorando a qualcosa di nuovo?
Ho impiegato un anno di lavoro anche se da tempo avevo in mente questo progetto. Ho girato le scene dei riti dei fuochi due anni prima infatti, mentre per le interviste ho impiegato sei mesi circa. Sto già lavorando a qualcosa di nuovo ma non posso svelare nulla per ora. Sono felice che Seu Innoi sia a breve proiettato (fuori concorso) al Babel Film Festival (atto a promuovere le lingue minoritarie) che si terrà a Cagliari dall’8 al 13 giugno.