Matteo Mucaria, col suo organetto dà voce alla Sardegna profonda

Nuovo appuntamento con la rubrica Sardinia excellence. Storie, persone che rendono unica l’Isola a cura di Antonio Paolini una delle firme più autorevoli del giornalismo enogastronomico.

Si è imbattuto nella musica grazie alla sua famiglia adottiva, oggi suona, fa tournée e insegna nella Scuola dove ha imparato.

di Antonio Paolini

“Libertà l’ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato, per un fruscio di ragazze a un ballo, per un compagno ubriaco”. Jones, uno dei “dormienti” sulla collina di Spoon River ricamati in poesia e resi iconici da Edgar Lee Masters, e poi tradotti e rilanciati in musica e versi paralleli dal genio di Fabrizio de André, era un suonatore di organetto. Matteo Mucaria, oristanese per nascita, trapiantato a Lotzorai, lo è diventato per le traversie (a volte nere, ma a volte anche dorate) che ti presenta la vita anche quando sei troppo piccolo e innocente per accorgertene. Esempio: una procedura di adozione che ti trasferisce alla tenerissima età di mesi due in una famiglia che, immediatamente e completamente, per fortuna diventa la tua, e dove un nonno generoso finanzia l’acquisto di uno strumento musicale e uno zio dilettante, volenteroso e appassionato, coglie la palla al balzo e si mette a suonare la fisarmonica.

È così che, trovandosene una praticamente in casa, anche Matteo – che per la musica ha evidentemente una vocazione, ne ascolta già ragazzino tanta e di tutti i generi, ma in particolare quella tradizionale, quella dei balli sardi, che sono uno dei rituali un filo magici e ancestrali, ma anzitutto strumenti di coesione sociale per chi vive sull’isola – comincia a metter mano su mantice e tasti. Ma dopo un po’, cambia rotta. Non si allontana molto. Ma punta diritto alle radici. A 17 anni, come Jones, sceglie l’organetto. Studia alla Scuola Civica di Musica (dove oggi insegna, in un giro di valzer esistenziale che sembra anch’esso scritto su uno spartito) “non partendo da  zero – ricorda lui – ma quasi, perché può non sembrare a chi non sa e non ha provato, ma organetto è tutto un altro modo di suonare”. 

Un modo in cui Matteo diventa comunque presto bravissimo. Ma che non è ancora il suo mestiere. Per vivere fa altro. Lavora in ospedale, dove resta due anni. Poi segue le leggi della richiesta di mercato. Servono figure come la sua in Germania, dove – come si sa, ed è uno dei motivi della zoppìa sempre più palese della nostra sanità pubblica, che è argomento caldissimo di questi tempi –  pagano decisamente meglio. Ma il destino ci mette ancora una vola la zampa. Ed è una zampetta amica. Che lo spedisce a Bamberg, sede Konzert Halle e di una apprezzata Orchestra Sinfonica residente. Ancora musica, dunque, diversa ma preziosa per arricchire ulteriormente un orizzonte che già include (di rigore) Piazzolla e i tangheiros, valzer e mazurka, ma anche tanto altro, dal jazz allo stile “scottish”.

Torna a casa, Matteo Mucaria, nel 2019. Deciso stavolta a dire basta al resto e vivere di quello che ama di più, e gli riesce peraltro benissimo. Ma ecco che un anno dopo… la musica non finisce, perché non finisce mai. Ma finisce chiusa in casa. C’è il Covid. E non si balla e non si suona più da nessuna parte. “Ma anche quella, nella enorme disgrazia comune, conteneva un pizzico di fortuna. Avevi tanto tempo, come tutti. Ho studiato tanto. E iniziato a comporre. Alternando l’organetto alla campagna (“Per fortuna come tutti o quasi qui ne avevamo un pezzetto, ed è stata un bell’aiuto anche lei”). Di campagna Matteo ancora ne mastica, perché anche a quella e ai suoi momenti e tesori si è affezionato. Ma l’organetto è diventato la sua vita. Insegna alla Scuola Civica di Lanusei, dà lezioni (richiestissime) gira in tournée con gruppi diversi. Suona tantissimo in Sardegna ovviamente (“l’estate è praticamente tutta piena, senza un giorno di sosta”), ma anche fuori. E ricorda con particolare divertimento le esibizioni (divenute ormai anch’esse tappa quasi fissa) per un Carnevale in Abruzzo, a Francavilla al Mare. O quelle, particolarmente emozionanti per lui, all’Isola delle Storie, il festival letterario di Gavoi, a raccontare anche lui con la sua musica una storia profonda tessuta di danza, launeddas e, ovviamente, organetto.

Tra i punti di riferimento, oltre al già citato Piazzolla, indica Richard Galliano, mito francese della fisarmonica jazz & tango, ma soprattutto e più di tutti il maestro sardissimo (di Irgoli) Totòre Chessa: “Tutti quelli che suinan il nostro strumento gli debbono qualcosa. Io per primo, e molto”. E anche Irgoli: che proprio grazie a Chessa è diventata patria e sede di un festival dedicato al’organetto diatonico. Ma se per caso i frangenti della vita avessero spinto Mucaria in un’altra direzione, lontano da fisarmoniche, parenti (anche lontani) e affini? “Avrei suonato lo stesso. Credo fermamente che sarebbe andata così. Ma magari un’altra cosa. Fiati, magari. Il sax ad esempio mi appassiona. E alla fine non è mica detto che…”.  

Antonio Paolini è una delle firme più autorevoli del giornalismo enogastronomico. È coordinatore Guide food Gambero Rosso. Ha co-fondato e scrive per la testata web Vinodabere.it. Ha lavorato a lungo al Messaggero (Esteri, Economia, wine & food columnist), ed è stato curatore dei Vini dell’Espresso e nel comitato esecutivo della Guida ai Ristoranti d’Italia. Ha scritto tra gli altri per L’Espresso, Spirito Divino, Monsieur, La Cucina Italiana, I Fiori del Male, e pubblicato decine di Guide. Nel 2008 gli è stato attribuito il Premio Veronelli. Attualmente collaboratore del gruppo Sae.

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