Il ‘Maialetto’ felliniano che racconta la Nurra. Il nuovo corto di Pani

All’ultima edizione del Sardinia Film Festival, svoltosi a Sassari dal 27 giugno al 2 luglio, ha vinto due premi importanti: quello assegnato dalla giuria tecnica per la “Vetrina Sarda” e quello del pubblico della Ficc (Federazione Italiana dei Circoli del Cinema). Insomma, il regista Marco Antonio Pani con il suo cortometraggio “Maialetto della Nurra” ha avuto il riconoscimento della critica e del pubblico. Bisogna, poi, dire come la proiezione del suo film breve sia stata tra le più partecipate dagli spettatori presenti al “Quadrilatero”, sede del “Sardinia”, sempre affollato nelle varie serate. Il pubblico ha riso e applaudito a scena aperta, come solo poche volte accade. In effetti, il “Maialetto della Nurra”, che unisce una forma accurata, come sempre succede nei film di Pani, a una storia surreale, ironica e con una punta di malinconia, è un’opera di qualità, da presentare anche in Festival internazionali perché il suo afflato empatico arriva a tutti. Scopriamo allora uno dei nostri registi sardi di maggiore talento chiedendogli di riassumere, per prima cosa, il suo percorso artistico.

“La mia carriera potrei definirla appassionata e responsabile, molto difficile e sofferta, nonché complicata all’inverosimile dalla quotidiana esigenza e difficoltà di far quadrare i conti. Non ho girato tanti film, ma credo che la maggior parte di essi, per quanto corti, siano originali, sinceri, soprattutto concepiti e realizzati, sempre, con l’intento di fare qualcosa di utile anche per gli altri. Non sono per la copiosità della produzione, né mi affascina la lunghezza dei film. Preferisco la libertà e la qualità, quella intrinseca, di sostanza, emotiva, estetica e narrativa, prima che quella tecnica.”

Oltre a realizzare film, ultimamente ti sei dedicato all’associazione “Moviementu” con grande impegno. Come valuti questa esperienza?

Quella di ‘Moviementu’ è stata negli ultimi quattro anni, ma ancora oggi, per molti versi, un’esperienza entusiasmante. Certamente molto impegnativa e difficile. Esporsi in prima persona, sia se lo faccia un singolo oppure un gruppo, è sempre una cosa rischiosa. Ci si dedica tanto e si spende molto tempo distraendolo dal proprio lavoro creativo ed “alimentare”, e, inoltre, ci si presta alla critica, a volte, anche feroce. Però, quando si sente la necessitá di cambiare alcune situazioni, non c’è alternativa all’impegno. Credo che chi ha partecipato alle iniziative di ‘Moviementu’, abbia mutato il modo di vedere il cinema, prima di tutto negli stessi operatori sardi del settore, poi anche nel pubblico e nella politica. In questo momento, in Sardegna, stiamo attraversando, per quanto riguarda il cinema, una nuova fase, che segue il processo di democratizzazione dell’immagine. Tantissimi corregionali hanno studiato e fatto esperienza all’estero e ‘in continente’ negli ultimi quindici anni. Molte idee, autori nuovi, tecnici, attori, che hanno costituito la possibilità di una nuova tappa del cinema in Sardegna. ‘Moviementu’ è stato in qualche modo interprete e facilitatore di quel cambiamento. Grazie all’attività dell’associazione, si è creata una rete di conoscenza tra autori vecchi e giovani, tecnici, attori, maestranze e una comprensione reciproca dei ruoli e del lavoro l’uno dell’altro, che prima non esisteva, se non in ambiti molto ristretti. Sono nate, così, svariate collaborazioni. Grazie alle battaglie dell’associazione si sono ottenuti tanti risultati. Uno per tutti: si è passati dal 2013, anno in cui la legge cinema veniva finanziata con una cifra intorno ai 200.000 euro ai 3 milioni dell’anno scorso, fino ai più di 4 milioni di quest’anno. Un investimento che darà linfa non solo alla produzione, ma alla didattica del cinema, all’Università, ai festival e rassegne, alla distribuzione. Speriamo che il trend si stabilizzi e non ci sia più bisogno, in futuro, di lottare per far capire l’importanza del sostegno al cinema.

‘Maialetto della Nurra’ è un cortometraggio, come la maggior parte dei tuoi lavori, a dimostrazione della forza estetica di questo genere. Suppongo, dunque, non sia stata una scelta obbligata, ma formale…

Il cortometraggio ti obbliga a raggiungere il bersaglio in fretta, devi far ridere, piangere o pensare, o tutte e tre le cose, in brevissimo tempo. Questo ti costringe ad essere essenziale, sia nella scelta del linguaggio sia nei dialoghi. Nulla può essere lasciato al caso. Ma, in apparente contraddizione con quanto ho appena detto, allo stesso tempo, ogni cosa può essere re-inventata sul momento. In genere, chi realizza cortometraggi gode di una libertà creativa, spesso, negata o limitata agli autori di lungometraggi da problemi di budget e da alcune scelte, magari discutibili, dei produttori, quando non dalla cecità culturale delle scelte ministeriali in merito ai criteri con cui i progetti vengono finanziati o meno. Amo moltissimo il cortometraggio e non lo reputo un genere propedeutico al lungometraggio, ma “altro” rispetto ad esso. Come la poesia rispetto alla prosa, anche se ci sono, fortunatamente, lungometraggi che sono lunghi poemi e, purtroppo, troppi corti che sono solo inutili barzellette.

Come nasce l’idea del ‘Maialetto’, che, comunque, riprende, per certi versi, tematiche e ambienti di “Capo e Croce”?

‘Maialetto della Nurra’ nasce dalla somma di diverse suggestioni e circostanze. Tempo fa, mi sono trovato a riflettere sulla banalità dell’uso generalizzato dei droni nei filmati realizzati a scopo di promozione turistica. Non mi piaceva la leggerezza con cui vedevo usare il punto di vista ‘aereo’ così particolare, in tanti film e documentari.
Poi l’Isre ha chiesto a me e ad altri quattro autori di raccontare, in brevissimi lavori, un diverso territorio della Sardegna. Per me, in parte originario della Nurra e già con esperienze cinematografiche in quel territorio, è stato naturale propormi come suo interprete. Leggere la notizia, qualche giorno dopo, di due pastori i quali, per liberarsi di alcune piante di marijuana di fronte alla visita dei carabinieri, le gettarono ai loro maiali, mi ha fatto venire in mente come, magari, un maialetto ‘stonato’ avrebbe potuto farsi un ‘viaggio’ fra le nuvole e, così, mostrarci, attraverso i suoi occhi stralunati, i paesaggi sognati della Nurra. Mi interessava anche il fatto di poter raccontare, attraverso la piccola epopea del mio maialetto, la gente della Nurra. In questo modo, è nata l’idea delle interviste, per le quali i protagonisti del corto avevano a disposizione un brevissimo canovaccio, mentre la maggior parte di ciò che narravano veniva direttamente dalla loro fantasia. In questo senso, il film è anche un documentario e in ciò somiglia a ‘Capo e Croce’, ancor più che per le semplici ambientazioni. Infine, per non farmi mancare niente, ho pensato che ‘Maialetto della Nurra’ potesse anche rendere un piccolo omaggio a Fellini, ad ‘8 e mezzo’ e alla fantasia assoluta, realistica, romantica e poetica di tanto cinema italiano del passato. In questo modo, i maialetti della Nurra guardano il film di Fellini in un ipad e il sogno di Mastroianni diventa il risveglio amaro del povero animale destinato allo spiedo.

Come si sono svolte le efficaci riprese col drone?

Ho diretto personalmente il girato in cui erano presenti i due attori protagonisti, in quanto l’efficacia del momento in cui si scopre che ‘il maialetto vola’, è legata ad una precisa coreografia di movimento degli attori, di innalzamento graduale del punto di vista e di panoramica della macchina da presa. Lo stesso dicasi per le scene in cui l’animale viene tirato giù da Giovanni Masia, trasfigurato nella replica della scena del sogno di <8 e mezzo>. Per quanto riguarda le altre riprese, gli operatori hanno lavorato in mia assenza, ma dopo che ho avuto con loro delle intense riunioni, decidendo insieme, una per una, le location e spiegandogli il tipo di volo, l’altezza, l’angolo e il movimento di macchina che avrebbero dovuto effettuare. Per me era sempre della massima importanza come tutto sembrasse semplice, leggero, mai artificiale. Bruno Cattari e Roberto Perisi, di <Superfly Sardinia> sono stati decisamente bravissimi.

A quali progetti filmici hai sicuramente già pensato?

“Sto lavorando all’ennesima versione de ‘Il Barbiere della Marina’, uno dei più famosi film ancora non fatti in Sardegna e la pressione si fa sentire. Spero che, prima o poi, si creino davvero le condizioni per realizzarlo. Il tempo, però, corre e, quindi, è necessario cogliere il cambiamento per adattare la storia e renderla sempre empatica per lo spettatore. Sono le difficoltà del lungometraggio. C’è, inoltre, un altro progetto, una storia di bambini ambientata negli anni settanta in un paese di frontiera fra cultura agricola e sviluppo industriale. E, infine, due idee per un film ‘smart’, ovvero produzioni leggere, libere, itineranti. Una delle due si intitolerà probabilmente ‘Nemus e Calippo, odissea di un marinaio pastore di capre inabile al nuoto’.

Elisabetta Randaccio

 

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