L’Isola tra balentes, stereotipi e poesia: col film di Zucca risate sui ‘tic’ dei sardi

Si può imparare a essere un vero sardo? Gioca anche su questa domanda – naturalmente paradossale – il nuovo film del regista oristanese Paolo Zucca, L’uomo che comprò la luna. Il protagonista del film, interpretato da Jacopo Cullin, è un soldato biondo tinto dall’accento milanese che, nonostante le apparenze, nasconde un passato ‘da sardo’. Kevin Pirelli in realtà si chiama Gavino Zoccheddu ed è andato via dall’Isola diversi anni fa, quando ha deciso di cambiare nome in seguito a una vicenda di cronaca legata al nonno, un vecchio anarchico del Montiferru. Il complesso dell’origine lo porta a prendere le distanze radicalmente da tutto quello che riguarda la Sardegna. Eppure nell’Isola dovrà tornare per una missione speciale per conto di due agenti segreti italiani, interpretati da Francesco Pannofino e Stefano Fresi. Un sardo – a quanto pare – è diventato proprietario della luna e per l’America questo fatto è inaccettabile. Kevin deve infiltrarsi in Sardegna e scoprire di chi si tratta, in modo da consentire all’esercito americano di intervenire. Il ragazzo però “non distingue una pecora da una capra” e viene inviato a imparare i fondamentali da un maestro di sardità inflessibile e rigorosissimo: il Badore interpretato da Benito Urgu.

LEGGI ANCHE L’INTERVISTA A PAOLO ZUCCA

Il nuovo film di Zucca – scritto insieme a Geppi Cucciari e Barbara Alberti – è stato presentato oggi alla stampa al Cinema Teatro Nanni Loy alla presenza del regista, del produttore Amedeo Pagani, degli attori Cullin, Urgu e Pannofino e del direttore della Film Commission, Nevina Satta. La pellicola, prodotta da La Luna, Indigo Film con Rai Cinema e il sostegno della Sardegna Film Commission Sardegna, esce in anteprima nelle sale sarde il 4 aprile e dà un seguito a L’arbitro, l’esordio cinematografico del regista oristanese uscito nel 2013. I due film si reggono insieme a vicenda e sono legati da un unico filo conduttore: in particolare quello sguardo chirurgico e dissacrante su luoghi comuni e sugli stereotipi dei sardi, raccontati da Zucca attraverso un’opera di esasperazione grottesca o al contrario con asciutta esattezza, anche fino ai loro risvolti più tragici e alle loro estreme conseguenze. Il film è una commedia surreale che mette in scena, quasi in modo antologico, tic comportamentali e linguistici, semplici posture del corpo, silenzi, sguardi, litigiosità, riuscendo a ottenere un effetto comico notevole.

Continua a leggere dopo la gallery (foto di scena di Francesca Ardau)

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La prima parte si regge sull’interazione tra Kevin/Gavino e Badore e sull’apprendistato necessario sulla sardità. “Da dove cominciamo?”, chiede Kevin a Badore. E Badore gli risponde che “si comincia a fare silenzio”. E rimangono zitti per un po’, nell’imbarazzo di Kevin. Poi giocano a morra, mangiano il casu marzu e bevono vino rosso, anche se Kevin preferirebbe una coca zero. Il suo personaggio, interpretato in modo molto convincente da Cullin, gioca con la figura del “sardo rinnegato”, che va via dall’Isola e prende le distanze dalla sua terra d’origine, assumendo tratti e modi di fare della nuova città o del nuovo paese che lo ospita. Ma il motivo del suo rifiuto è meno superficiale di quanto si possa immaginare. La figura di Badore si staglia nella prima parte del film. Nello sguardo di Benito Urgu, capace di sfumature sorprendenti e di una malinconia profonda che nasconde un segreto tragico e una vicenda umana carica di dolore. Alla fine Kevin riesce a trasformarsi in un vero balente e – vestito di velluto coi cambales ai piedi – sbarca a Cagliari. Dove, muovendosi con la ‘corsa da latitante’ che gli ha insegnato Badore, scopre che non ci sono pastori barbuti e canne al vento come gli avevano detto, e “non c’è nemmeno una vecchietta col fazzoletto nero”.

“Il film racconta la crescita di un eroe sui generis e del suo viaggio picaresco verso la scoperta e la riappropriazione di una cultura, di una storia e di un sistema di valori altri”, spiega il regista. “Si pone come una commedia d’autore, che vuole divertire e intrattenere, ma che non ha timore di toccare le corde del dramma, né di virare verso le atmosfere liriche e fantastiche che appartengono a pieno titolo alla dimensione della favola”. Non a caso Zucca è estremamente abile nel giocare coi generi – ad esempio il western della scena nel bar del centro del paese dell’Oristanese – e usare registri diversissimi tra loro: dal grottesco al tragico al poetico, riuscendo a stare bene in equilibrio attraverso il dosaggio sapiente dei vari elementi. Il riso può avere delle venature amare, e la poesia a un certo punto diventa la cifra preponderante della pellicola, specie quando scopriamo chi ha comprato la luna e perché. La Sardegna è protagonista del film anche nel paesaggio. Dallo stagno salato di San Vero Milis alle stradine deserte di San Salvatore passando per i monti dell’Oristanese. Fino a S’Archittu e al suo paesaggio – naturalmente – lunare.

Andrea Tramonte

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