Venerdì 30 maggio alle ore 19, presso il Cornetto Acustico in via San Giovanni 219 a Cagliari, si terrà l’inaugurazione della mostra personale di Roberto Follesa intitolata “L’ignoto della presenza”. L’esposizione, che sarà visitabile fino al 14 giugno, propone un percorso attraverso opere realizzate con tecnica ad olio su tela.
Il titolo della mostra richiama le riflessioni sulla percezione e sulla rappresentazione dell’io e dell’altro, temi centrali nel lavoro dell’artista donorese. Le sue opere si confrontano con l’idea di una visione figurale che si scontra con la crisi della figura tradizionale, esplorando l’elemento dell’ignoto e della mancanza, e rivelando un processo di sfigurazione e trasformazione dell’immagine. Un percorso che invita lo spettatore a riflettere sulla complessità dell’identità e sulla presenza invisibile che si cela dietro la rappresentazione. L’evento si inserisce in un contesto di approfondimento artistico e culturale, offrendo un’occasione per confrontarsi con un linguaggio visivo che si muove tra il visibile e l’invisibile.
Testo di presentazione di Sebastiano Giacobello
In Deleuze, la riflessione sulla visione dipinta nella pittura contemporanea si concentra sulla «percezione di una necessità non rappresentativa della rappresentazione» (Fadini). Ciò significa dare la stura a una crisi della figura e all’emergere, nello spazio pittorico, di una trasformazione de-rappresentativa contrapposta alla figurazione tradizionale, al normativo della rappresentazione stessa. Deleuze, riprendendo un termine introdotto da Lyotard, preferisce parlare, in opposizione a ‘figurativo’, di ‘figurale‘: l’immagine dipinta, così, non è raffigurata e delimitata dai confini della normazione ‘territoriale’, dalle griglie di una storia già data. Ma affinché la difficile deterritorializzazione possa smarcarsi dal già dato, è necessario fare i conti con il proprio io, o almeno, con quello che si pensa essere il proprio io che, comunque, è una raffigurazione dell’ ‘altro’. Questa sorta di dualità oppositiva, io e l’altro da me – che poi trova il suo lieto fine nella presupposta riconciliata e armonica unicità (harmonia mundi) -, è un procedimento costruttivo tipico della cultura occidentale. Una ricerca spasmodicamente narcisistica dell’ ‘unicità’, tanto da estromettere l’altro con pervasività ‘egoicamente’ totalizzante. Di fatto, e pensando a Lacan, questa è la ‘scena’ in cui potrebbe trovarsi colui che guarda se stesso, che teme la ‘raffigurazione’ del vedersi vedersi. Una situazione che si presenta come spaesante per quell’io soggetto che ora si vede nel guardare.
Ma guarda che cosa?
Guarda l’altro diremmo, che, questa volta, potrebbe rivelarsi in tutta la propria molteplicità misterica. Il suo potenziale, a forte impatto inquietante, potrebbe inceppare il percorso di auto identificazione cui procede l’io. Infatti, se l’altro ne prendesse il posto e incominciasse a guardarlo da soggetto come oggetto, che ne sarebbe della pretesa autonomia dell’io così tanto ‘logoicamente’ ‘cantata’ da una filosofia fortemente logocentrica? L’altro è rivelatore di ciò che al precedente io soggetto appariva come ‘familiare’ e, al tempo stesso, nell’intimità della propria ‘dimora’, ravvicinato e prossimo, tanto da essere nascosto e, dunque, sottratto allo sguardo. Il nostro vedere proteso verso l’esterno non permette di guardarci, anzi, il ‘guardare’ sembra più sostare in una zona d’ombra che protegga dall’esser guardato, quasi a voler ridurre lo spazio visivo per non essere abbagliati, per non venire alla luce, per ‘oscurare’ la visione dell’assenza di alcun fondamento dell’io e della sua unicità. L’altro emerge dall’intima oscurità segreta come ‘estraneo’ e il luogo del proprio sé si configura, ora, in non luogo, in ‘mancanza’. Non assenza, dunque, ma mancanza: l’assenza è un cogliere la distanza incolmabile con quello che pensavo di me, io soggetto, il tendere a ripristinare l’ordine con la ‘presenza’ del mio luogo e nel mio luogo. La ‘mancanza’, invece, è qualcosa di irreversibile rispetto all’assenza e alla possibilità di ripristinare un presunto ordine con la presenza. In ultima analisi si dà come imperscrutabile, come indescrivibile, come indicibile, come imprevedibile, come l’ignoto della presenza che, nella visione dipinta, traspare invisibile seppur vicina e nascosta dall’evidenza. Essa non si dà rappresentando la rappresentazione, ma in modo ‘figurale’, come processo di sfigurazione della figura.