L’arte di Filippo Arras, un viaggio tra pericoli e vantaggi dell’intelligenza artificiale

di Alessandra Piredda

“Non mi occupo di intelligenza artificiale per lavoro ma ci tengo a sensibilizzare gli animi attraverso l’arte” dichiara Filippo Arras a Sardiniapost mentre descrive la mostra “Bias” inaugurata il 28 febbraio e fruibile fino al 30 marzo al Rainbpw City Bar di via Torino 13 a Cagliari. Lo scopo è quello di coinvolgere e far interagire il pubblico, sensibilizzando i visitatori verso una tematica sempre più attuale: l’uso massivo dell’intelligenza artificiale. “È necessario porsi delle domande continua Arras- se non vogliamo subire decisioni che potrebbero ledere i nostri diritti e la nostra libertà”.

Mentre lo storico israeliano Yuval Noah Harari nel suo saggio ‘Homo Deus’ descrive un probabile prossimo futuro in cui l’uomo cercherà di sconfiggere la morte con il transumanesimo e le sue ricette, il sociologo Zygmunt Bauman parla nei suoi saggi della società attuale come una versione obesa di Internet, dove “tutti si gettano nella mischia ma nessuno sembra essere consapevole delle conseguenze”. L’arte di Arras prova a dare una risposta al mondo attuale con le proprie opere d’arte.

Quali sono i pericoli di queste nuove tecnologie?

Sono sempre stato affascinato da queste risorse. Mi piace molto la tecnologia e uso l’intelligenza artificiale da diversi anni ormai (anche se lavoro nella pubblica amministrazione). Conosco la materia e sono consapevole dei pericoli, specie se non si ha cognizione del mezzo. L’intelligenza artificiale è in grado di sviluppare dei ragionamenti partendo da linee guida fornite dall’uomo (prompt). Il pericolo è quello di una eventuale distorsione però, se chi le programma non accoglie la diversità, limitando la macchina a seguire un percorso che ammette solo quello che è legato allo stereotipo di ‘normale’.

Cosa si intende per normalità?

È proprio questo il punto: la normalità è un concetto astratto che però la macchina definisce secondo schemi precisi ovvero i ‘bias’cognitivi della maggioranza di coloro che hanno finanziato e sviluppato le AI generative, cioè maschi bianchi cisgender. Il resto è considerato ‘anomalo’. La storia ci insegna che la parità di diritti è necessaria per l’armonia e una serena convivenza e che non se ne parla mai abbastanza. Perciò ho deciso di stimolare un ragionamento attraverso le immagini, elaborate con l’uso della AI, e generate con le forzature (jailbreak) per ovviare al sistema dell’AI ho imposto, lavorando proprio sul prompt, la presenza di ciò che l’AI scarta a favore di un pensiero dominante .

Cosa significa questo per lei? In America l’AI è già in uso in molti ambiti.

Per quanto si stia lavorando per rendere più inclusiva l’AI, allo stato attuale i bias nell’intelligenza artificiale possono portare a decisioni ingiuste o discriminatorie nei vari settori in cui trovano già un’applicazione. Pensiamo alla realtà degli USA, l’AI abbondantemente utilizzata nel reclutamento del personale, per la concessione di prestiti o l’applicazione della legge tout court. È chiaro che ciò andrà sempre più a scapito di minoranze. Questo impatterà fortemente su chi ha diversità fisiche, etniche, religiose o appartenenze di genere. Tutta la varietà LGBTQ+ subirà una vera e propria ghettizzazione se non si farà qualcosa prima. Spero che i miei supereroi imperfetti, protagonisti della mostra insieme agli elfi con sindrome di Down siano un modo per riflettere sull’uso di algoritmi come il lombrosiano Compas, usato in contesti giuridici in vari stati d’America. Il rischio è che il pregiudizio diventi il vero e proprio giudice. Lascio che l’arte sia un viatico per avviare un dibattito vero, per me necessario per evitare i danni del transumanesimo, dove l’umano è considerato alla stregua delle macchine.

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