La Sardegna saluta Carlo Lizzani

Nel suo libro autobiografico “Il mio lungo viaggio nel secolo breve” (Einaudi, 2007), Carlo Lizzani raccontava con divertimento la sua ultima permanenza a Cagliari. Con gli amici della Cineteca e della Ficc (Federazione dei circoli del cinema) lo aveva invitato per alcune proiezioni, appuntamento a cui lui aveva accettato con la solita generosità, senza voler nessun rimborso o cachet.

Aveva sempre il piacere del confronto con il pubblico, Lizzani: discuteva con voce serena, mai alterata da rancori o rabbia. In quell’occasione ci raccontò un aneddoto dei tempi di “Barbagia” (1968), il film che aveva tratto dal libro-inchiesta di Giuseppe Fiori, della cui lettura si era innamorato. La pellicola, girata in Sardegna, non è tra i suoi film più riusciti, presenta un cast un po’ “maldestro” con Terence Hill a disegnare un bandito sardo simil Mesina e Don Backy a far le veci di Atienza.

Però, visto con la freddezza del senno di poi, non è certamente un’opera di scarso valore. Tutt’altro. Insomma, Lizzani ci ricordò di un avventuroso incontro (riportato, in seguito, due anni dopo anche nella sua autobiografia) con Graziano Mesina che, da latitante aveva voluto un contatto con lui per pretendere una sorta di “diritto d’autore” da “Barbagia”.

Lasciamo ai lettori i dettagli di quell’avventura paradossale e vi riportiamo cosa scrisse Lizzani del suo ultimo soggiorno sardo: “Trent’anni dopo, è l’aprile del 2005…da poche settimane Mesina ha avuto la grazia da Ciampi. Io mi trovo a Cagliari per una retrospettiva dei miei film organizzata dalla Cineteca Sarda. Quando gli amici della cineteca, giunto il discorso su “Barbagia”, vengono a sapere di quel mio incontro con Mesina, m’incoraggiano a replicare l’evento… e infatti dopo poche ore siamo si nuovo a cena insieme. Ce l’ha ancora con De Laurentis, il produttore del film…”.

L’incontro a Cagliari non si esaurì con quella cena molto piacevole, ricca di risate e aneddoti. Lizzani, con il suo fisico troppo asciutto e la sua età già avanzata, si spese con generosità sia dopo la proiezione di un suo mitico spaghetti western, “Requiescat” (1967), dove partecipava come attore, molto efficacemente, Pier Paolo Pasolini (mi disse: “Lo pagai con una macchina sportiva di seconda mano: era un fan delle auto da corsa..”), sia con un pubblico giovane e appassionato in un piccolo circolo del cinema di Cagliari, che aveva scelto per celebrare la Resistenza il suo bell’esordio, “Achtung banditi!” (1951).

Questo era Carlo Lizzani, maestro del cinema italiano, uomo sensibile, coltissimo, disposto a lottare per quell’arte considerata fondamentale per la crescita di un popolo civile. Per il grande schermo ha diretto tanti film, di diverso genere, sempre improntati a una coerenza estetica, che vedeva il sociale e il popolare come parametro di messa in scena; è stato attore, accurato critico e storico della settima arte (molto bella la sua “Storia del cinema italiano”), operatore culturale, animatore e presidente internazionale della Ficc-Federazione dei Circoli del Cinema, riuscendo ad avviare persino negli Stati Uniti d’America, dove questo tipo di tradizione è modesta, un circuito di proiezione e discussione di film di qualità.

Questo era Carlo Lizzani, volato ieri dalla sua finestra, lasciandosi dietro i dolori personali e quotidiani, a 91 anni, lasciandoci senza la sua saggezza, la sua arte, la sua gentilezza.

Elisabetta Randaccio

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