Tutto nasce in fondo dall’esigenza di non disturbare i vicini di casa di notte. “Mi capitava di suonare la chitarra prima di andare a dormire, a volume basso – racconta Paolo Angeli, musicista e compositore di Palau -. E per non fare troppo rumore lo facevo in modo non muscolare, con poche note. Uscivano fuori degli acquerelli notturni, intimi, riflessivi. Distanti dal mio modo solito di fare musica”. In quel periodo Angeli ascoltava spesso i Radiohead – oltre a registrazioni di cori a concordu, musica improvvisata e flamenco – e alcuni brani della band di Thom Yorke si adattavano molto bene a questo modo nuovo di tirar fuori suoni dal suo strumento, la chitarra sarda preparata. “22:22 free Radiohead”, il nuovo album in uscita l’11 gennaio, nasce esattamente da qui: dai condizionamenti di un orario, da una passione e un’attitudine. 22:22 è l’ora a cui generalmente staccava l’impianto e smetteva di suonare, Free Radiohead invece è una dichiarazione programmatica: nel disco ci sono alcuni brani della band inglese ma c’è soprattutto una loro interpretazione libera e radicale, a volte una semplice citazione, altre una vera e propria trasfigurazione. Un frammento di melodia di pochi secondi può diventare, nelle sue mani, un lungo pezzo minimalista sulle orme di Steve Reich, o rarefarsi su tappeti sonori quasi “materici” o, al contrario, crescere fino a raggiungere un impatto classicamente (avant) rock. Le canzoni dei Radiohead affogano dentro un unico flusso sonoro che rappresenta un viaggio: da Barcellona alla costa gallurese ad altre sponde del Mediterraneo, portando con sé, durante la navigazione, scampoli di post rock, psichedelia, tradizione gitana, orchestrazioni violente, folk, musiche eterodosse e le sue radici sarde rivisitate. Tutto il bagaglio di Angeli, insomma, il suo vissuto: la sua musicalità dominata da curiosità, cultura e istinto.
“Il lavoro ha preso col passare del tempo una piega legata al mio percorso – racconta da Barcellona prima della partenza per l’Isola, dove suonerà sabato 22 dicembre al Teatro La Vetreria di Pirri alle 21:30 (organizza Here I Stay) -. Sono partito dalla musica dei Radiohead ma a un certo punto ho sentito che il discorso iniziava a starmi stretto”. Il problema di Paolo Angeli, se così si può definire, è la forma canzone e il rimanere all’interno di un discorso di musica strutturata: proprio non riesce a starci. “Ho deciso di rompere questa gabbia, di aprire questa chiusura formale e di trattare tutto il materiale come un unico brano”. Le tracce dei Radiohead diventano quindi pezzi – a volte molto riconoscibili, altre meno – all’interno di una lunga suite suddivisa in movimenti. “Gran parte del materiale, direi l’80 per cento, è mio. Mi sono preso un rischio duplice: di scontentare i fan dei Radiohead che si chiederanno “ma i Radiohead dove sono?”; e gli ascoltatori legati all’avanguardia, che magari diranno “ma questo sta facendo cover”. In realtà non è così”. Il lavoro ha avuto il benestare del management dei Radiohead e della Warner Records: l’autorizzazione a utilizzare i brani è arrivata senza richiesta di compenso. “E siamo arrivati molto vicini a un contatto più creativo, che speriamo possa svilupparsi in futuro”, dice sibillino Angeli.
Il 2018 è stato un anno molto importante nella carriera musicale di Angeli, classe 1970. Un lungo tour mondiale lo ha tenuto lontano dai suoi centri – Barcellona, dove vive, e Palau, dove è nato e dove spesso torna – e lo ha condotto in Canada, Hong Kong, Giappone, Corea del Sud, Cina, Cile, Brasile, Argentina, Perù, e prima ancora Stati Uniti, con un live nel prestigiosissimo Carnegie Hall di New York. “Lì è stato incredibile”, racconta Paolo rievocando gli inizi del tour. “Non era scontato fare sold out in una sala così prestigiosa e ricevere due standing ovation per due ore di musica che non ha catalogazione. Musicalmente mi sono sempre mosso sui bordi. Ora che questo mondo procede in modo sempre più viscerale verso la restaurazione dei confini, anche la musica è coinvolta da questo processo. E gli sforzi per abbattere muri musicali fatti negli anni rischiano di vanificarsi con chi cerca pretesti per ristabilire dei margini”.
L’ulteriore interesse verso Angeli che si è innescato prima e dopo la data alla Carnegie Hall riguarda anche i suoi legami culturali con l’Isola, il suo essere musicista che – pur muovendosi in territori legati all’improvvisazione, all’avanguardia e alla contaminazione – ha dato un impulso fondamentale al rinnovamento e alla rilettura della tradizione sarda. “Alla Carnegie si erano documentati e hanno mostrato una conoscenza della nostra musica che spesso noi sardi non abbiamo. La nostra cultura è entrata in uno dei templi della musica internazionale, ma lo ha fatto in modo contemporaneo. C’era la radice, ma il discorso non si esauriva lì, non si riduceva a folklore. Quello che mi rende orgoglioso è che la bellezza meravigliosa della nostra cultura sia stata portata avanti da una cultura post punk nata nell’ambiente delle occupazioni bolognesi. Sono arrivato a suonare lì non da allineato, ma da storto”. Peraltro con uno strumento che non è certamente canonico: un ibrido tra chitarra baritono, violoncello e batteria, dotato di martelletti, pedaliere, eliche. Uno strumento-orchestra a diciotto corde che non ha mai una fisionomia definitiva e viene continuamente aggiornato e modificato a seconda della direzione che prende la ricerca. “La chitarra veniva vista con un certo sospetto, in effetti”, ride Angeli. “La reazione in un negozio a New York alla vista del mio strumento è stata qualcosa del tipo: “E questa cosa è?””.
Il 2019 si aprirà con Free Radiohead e relativo tour, ma sono previste anche numerose date intercontinentali e almeno altri due dischi. Uno insieme alla violinista e compositrice ceca Iva Bittova, l’altro invece insieme a Iosonouncane, musicista, compositore e produttore di Buggerru con cui ha condiviso una serie di date in giro per l’Italia suonando insieme il repertorio di entrambi. Un live intenso durante il quale il flusso era scandito dall’alternarsi di brani di Iosonouncane e di Angeli intramezzati da improvvisazione pura. Cantautorato, elettronica e prog insieme a materiali “rumoristi”, free form e pure scampoli di musiche della settimana santa sarda: poteva essere un azzardo, è riuscito benissimo. E il risultato sarà “fotografato” all’interno di un album live – che uscirà a primavera inoltrata – composto da registrazioni raccolte in tutta Italia. Per poi tornare in tour insieme in estate e autunno. “Poi c’è il lavoro di riscrittura orchestrale della musica sarda – racconta – ed è quello che mi sta più a cuore. Suonerò con tanti musicisti, della tradizione e lontani dalla tradizione, sardi e incontrati in giro per il mondo”. Questo lavoro rappresenterà una rilettura delle radici, una nuova idea di musica sarda: non una riproduzione filologica ma una espansione delle possibilità della musica isolana. “Aldo Cabizza per esempio è stato uno dei più grandi esponenti del cantu a chiterra ed è stato un grande innovatore”, racconta Angeli spiegando meglio la sua idea. “Aveva fatto storcere il naso ai puristi quando aveva introdotto la fisarmonica. Quando sono andato a intervistarlo per il mio libro sul Canto in re, mi disse che l’imitazione non dava valore. Era rimasto scioccato dal mio modo di utilizzare la chitarra sarda, ma anziché respingermi era rimasto affascinato e mi aveva invitato a suonare alla serata in onore di suo padre Nicolino, grande chitarrista. Gli chiesi di farmi accompagnare da un cantadore ma lui si rifiutò. Voleva che portassi sul palco il mio modo di suonare. Aveva più di 80 anni ed era in brodo di giuggiole perché era riuscito a far sentire a un pubblico tradizionale qualcosa di avanguardia. È stato un momento importantissimo per me. Insegna una cosa fondamentale – conclude Paolo – che deve valere anche per la musica sarda: bisogna continuare a innovare, mai fermarsi a copiare quello che c’è già”.
Andrea Tramonte
(Le foto sono di Nanni Angeli)