IL LIBRO. Callieri applica “Il teorema dell’incompletezza” alla Storia recente

In matematica ci sono degli enunciati di cui non è possibile determinare la verità o la falsità. Di fatto sono come dei paradossi veri e propri che uno studioso di logica, Kurt Gödel, ha sintetizzato in due teoremi, definiti appunto “dell’incompletezza”. Valerio Callieri li ha utilizzati come perno del suo romanzo – “Il teorema dell’incompletezza”, premio Calvino 2015 come miglior esordio ma uscito due mesi fa per Feltrinelli. Ne ha fatto non solo il titolo vero e proprio, ma anche il senso ultimo di una narrazione che si poggia sul concetto di verità. Verità che, pur non essendo mai certa né dimostrabile, bisogna ritenere comunque assodata. Nonostante questo comporti aprire un’indagine sui fantasmi della nostra Storia più recente, quella più scomoda; di cui portiamo ancora dietro cicatrici ancora non completamente rimarginate: il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, lo stragismo, la strategia della tensione, gli attentati, il G8 di Genova.

Il tutto è visto attraverso gli occhi e lo sguardo, anche se spesso obnubilato dagli stupefacenti, di un ragazzo appena trentenne di cui non conosciamo il nome, ma che ci accompagna sin dalle primissime righe all’interno del libro. Suo padre è stato ucciso con un colpo di pistola Beretta in una calda giornata di luglio a Roma, quartiere Centocelle, e lui non riesce a capirne le ragioni; così la sua personale elaborazione del lutto si mescola con la necessità di comprendere come siano andate realmente le cose. Non è un eroe, perché in fondo la sua necessità di ricordare è pari al desiderio di non voler sapere. Una condizione in bilico diametralmente opposta a quella del fratello Tito, poliziotto tutto d’un pezzo senza nessun compromesso che rivendica ogni azione, anche la più scomoda, come i pestaggi “da macelleria messicana” che ha compiuto nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova, nel 2001. “Sono due personaggi agli opposti – così spiega Callieri durante la presentazione del libro avvenuta a Sassari al centro culturale “L’ultimo spettacolo” – . Il protagonista si trova a portare su di sé la storia italiana degli ultimi cinquant’anni. Lo fa suo malgrado, perché non ha certo lo status di un eroe, anzi, è ironico e pieno di dubbi, eppure viene trascinato in una tragedia che ha i contorni dell’Orestea o di un Edipo Re. Fa un vero e proprio viaggio di formazione, una sorta percorso emotivo, attraverso gli eventi più misteriosi del nostro Paese grazie al padre che gli appare come un fantasma, un po’ come succede ad Amleto nell’omonimo dramma di Shakespeare. Tito, invece, è risoluto, senza dubbi e cerca vendetta ed è pronto ad agire senza la minima pietà”.

I personaggi si trovano così a confrontarsi con un trauma fondativo che non lascia scampo: c’è chi riuscirà a superarlo, chi al contrario ne verrà travolto; il bello della letteratura e del fare lo scrittore è che permette di poter avere entrambi i punti di vista e di “indossare le scarpe di posizioni diverse”. “Non si tratta di un saggio – continua Valerio Callieri – perché a me interessava attraversare tutto questo lungo periodo, cercando di vedere le motivazioni di tutti gli attori in gioco, anche se questo significava dover abitare opinioni che non accettiamo e non condividiamo per niente. C’erano delle ragioni forti che hanno portato a fare determinate scelte, alcune molto esecrabili. Io le ho comunque analizzate perché volevo far rivivere questi drammi; per questo mentre scrivo posso essere sia Sirio (uno dei personaggi secondari, ndr), vittima della violenza del G8, sia Tito che quella violenza la ha attuata”.

Per portare avanti questo lavoro ci sono voluti sei anni di “ricerca storica rabbiosa” passando dalla Roma degli anni 50-80 alla Torino delle fabbriche, attraverso ricerche, letture, interviste a chi ha vissuto in prima persona quei decenni turbolenti. Callieri si è imposto in sostanza un metodo, mettendo a frutto i trucchi del mestiere che ha imparato frequentando la scuola Holden di Torino dopo la laurea in sociologia delle comunicazioni massa e lavori di ogni tipo. “Mi ha dato un’attitudine – rimarca, servita poi per portare avanti un’idea precisa di storia – che non volevo cadesse nella retorica e nel vittimismo, in cui le ragioni di fondo fossero principalmente etiche”. Perché per fare un cammino all’interno del cuore oscuro della nostra nazione implica per forza di cose riannodare i fili spezzati di vicende dolorose, la cui catarsi, diversamente dall’archetipo della tragedia greca citata da più volte da Callieri, è ancora in divenire. In questo senso perciò “Il teorema dell’incompletezza” è un nuovo tassello verso questa liberazione, in cui la volontà del protagonista di “voltare la faccia dagli schiaffi del passato” e il parallelo e continuo interrogarsi sulla verità, è di fatto anche la descrizione metaforica dell’Italia che cerca di svicolarsi da opposte retoriche per fare finalmente i conti con il suo ieri più recente.

Francesco Bellu

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