Il 2021 in musica, la playlist di Sardinia Post

Non male questo 2021 per la musica in Sardegna. Nonostante le ovvie difficoltà messe a disposizione dalla pandemia la macchina creativa dei nostri musicisti non si è fermata e alcune opere resteranno negli annali delle cose più belle mai prodotte. Questa playlist è solo un assaggio di quello che è circolato in questi mesi.

Come sempre è una selezione del tutto personale, assolutamente opinabile, di parte e faziosa. Ognuno si potrà fare la propria lista dei desideri così come la migliore formazione da mettere in campo quando gioca la nazionale di calcio. Ma è questo il bello delle playlist: non servono a nulla ma sono divertenti. A fine anno ci sta!

Paolo Angeli. Jar’a (PA)

C’è sempre qualcosa di magico e di inaspettato nei lavori di Paolo Angeli. Quel continuo navigare intorno al suo strumento, alla tradizione, a un’isola che spesso è prigioniera dei propri confini e dei propri miti. In questo nuovo lavoro il viaggio è un transfert che riporta all’interno del proprio essere e scava nel profondo dei ricordi e delle emozioni. È un viaggio al centro del mondo, al centro di un’isola, quasi una riappacificazione con i propri fantasmi. Ed è emotivamente forte capire quanto basti guardarsi intorno per scoprire quanto le distanze sono semplici convenzioni.

Simon Balestrazzi, Paolo Sanna. Disrupted Songs (Dissipatio)

Queste canzoni destrutturate sono la logica conseguenza di un lungo e faticoso periplo intorno alle dinamiche della creazione sonora. Convergono in queste tracce moltitudini di esperienze, di fratture culturali, di storie avvincenti e talvolta dirompenti. Ma soprattutto in questo lavoro converge e trova quiete la grande diaspora tra la materia e la liquida ubiquità della ricerca elettronica. Un lavoro che supera i generi e ci rimanda a un nuovo mondo: più accogliente, disponibile e consapevole. Sembra poco e invece potrebbe essere la soluzione a quella solitudine che ci pervade nel profondo delle nostre esistenze.

Enzo Favata. The Crossing (Niafunken)

Dopo anni di sperimentazioni intorno alla sacra materia della tradizione sarda Enzo Favata si riprende il suo spazio di jazzista contemporaneo e – con un parterre di ottimi musicisti – suona con il piacere di farlo senza l’assillo di dover dimostrare qualcosa. Spazio dunque al recupero di quelle canzoni che ci hanno accompagnato nei lontani anni della nostra formazione, spazio a sonorità decisamente groovy, ritmo che fa saltare il piedino, piacere puro nell’esecuzione e nell’ascolto. Un plauso speciale va comunque nell’aver riproposto Roots una meravigliosa composizione dei Nucleus risalente al 1973: un capolavoro troppo poco ascoltato.

Fireworks Banquet. Nothing Really Important (Undas)

La filosofia del Do It Yourself è stata il cardine delle nuove scie del rock scaturite dall’esplosione del punk nei tardi anni Settanta. Un’attitudine che ha portato i musicisti a uscire dalle maglie dell’industria discografica, di contare sui propri mezzi, di non avere impedimenti nel percorso artistico magari rinunciando a produzioni più strutturate ma concentrandosi sull’essenza pura del messaggio originale. Su questa scia si muovono anche i Fireworks Banquets fieri di essere periferici, laterali, indipendenti e padroni del proprio destino. Forse è anche per questo che la loro musica esprime una sensazione di elettrica indipendenza e di sano rock’n’roll a conduzione familiare, a chilometro zero, etico e sostenibile. Perfetto nel suo scardinare un sistema di valori che va in tutt’altra direzione.

Paolo Fresu, Daniele Di Bonaventura, Pierpaolo Vacca. Tango Macondo (Tŭk Music)

I dischi di Fresu raramente deludono, hanno sempre il tocco del maestro e possono contare su un’esperienza ormai consolidata e uno staff tecnico di eccellenza. Questo nuovo lavoro è il frutto di sinergie e collaborazioni di varia natura e contiene diversi livelli di lettura e fruizione. C’è la letteratura che filtra dalle parole di Salvatore Niffoi, di García Márquez, dal quel Sudamerica che tanto ci piace e coinvolge. C’è l’esperienza teatrale che ha tradotto in segni tangibili queste parole attraverso le voci della scena e le coreografie create per l’occasione. E poi c’è la musica che questi tre signori hanno edificato per sostenere queste emozioni. Musica raffinata, sinergica e accogliente che contiene tanta Sardegna (reale o immaginaria che sia) e tante altre cose. Tutte da scoprire.

Giovanni Gaias with Giuseppe Spanu. Think Outside The Box (Tŭk Air)

Sempre la Tŭk, questa volta nella sezione Air, con una produzione che guarda alle nuove correnti della musica contemporanea. Un EP che vede coinvolte due giovani promesse provenienti proprio da Berchidda. Un guizzo di orgoglio oltre che un forte senso di appartenenza con una proposta decisamente oltremare. Lo spettro di riferimento è la new black music e quell’universo multietnico e multiforme che ormai è lingua comune. Così va il mondo e così va interpretato, senza avere il timore di sporcarsi le mani o di perdere una purezza che è solo illusione indotta. Pensare fuori dagli schemi significa avere il coraggio di aprirsi a quanto arriva da fuori e farlo con onestà e partecipazione.

Iosonouncane. Ira (Trovarobato)

Un album che rimarrà tra le vette più alte della musica contemporanea non solo a livello nazionale. Opera monstre che raccoglie infinite possibilità di lettura e di interpretazione. Strati e strati di suoni, ritmi, lamenti, sovrapposizione di immagini, cut up sensoriale che farebbe impallidire anche il Burroughs più estremo. Il rischio è proprio quello di aver creato un sistema comunicativo tanto complesso e difficile da gestire da poter scoraggiare gli animi più fragili per la mancanza di riferimenti linguistici e istruzioni per l’uso. Il consiglio è di lasciarsi andare e prendere questi messaggi con assoluta incoscienza. Lasciare ogni speranza e rimettere i nostri dubbi a questa nuova lingua. Ne usciremo migliori? Ne usciremo diversi.

Maggot Madness. Still Alive (Moka)

La Moka Records ha deciso di inoltrarsi sulle strade meno battute della musica isolana. Ha lasciato le piacevoli strade asfaltate del mainstream per inoltrarsi in sterrati dissestati, fuori mano e senza segnaletica alcuna. Usa le antiquate cassette e concede spazio a follie e diversità di natura incerta. Nel suo insano catalogo l’ultimo ricovero è stato concesso a Maggot Madness che fin dalla sua ragione sociale esprime una discreta cifra di disagio psichedelico. Lui è Simone Mura e da diverso tempo si dedica a produzioni di confine per arrivare finalmente alla sua opera prima, uno scanzonato synth pop che sembra più che altro il risveglio violento dopo una notte infestata di fantasmi. Sono gli spettri della new wave che si aggirano nella sua mente, qualcosa che i suoi cromosomi hanno ereditato da lontani parenti. Ritmi che fanno sussultare, melodie avvincenti, tastierine che strappano un sorriso. La bellezza di questa storia è che tutto funziona, che abbatte le ruggini del tempo e scivola con delicata incoscienza.

Memory of Sho. Life at Seaside (Mos)

Ricordate i Diverting Duo? Quel bel progetto di musica sospesa tra sogno e realtà? Dream Pop di fulgida bellezza con qualche album all’attivo e un approccio discreto e suadente, sfocato e misterioso. Sono sempre loro questa volta in gita premio in qualche improbabile colonia estiva fuori stagione. La proposta è molto vicina alla casa madre, forse più spensierata e primaverile ma sempre carica di ragione e sentimento. Anche in questo caso il supporto e la musicassetta (ma esiste pure la versione in Cd per i più esigenti) ed è tutto rigorosamente fatto a mano, come i centrini della zia e le ciambelle della nonna. Ma questo non fa venir meno lo sfasamento percettivo di queste musiche, sempre leggermente fuori fuoco, una proposta obliqua e immersa in una coltre di strana foschia. Ma se così non fosse non staremo qui a parlarne.

Mauro Mulas. Chiaroscuro (MP Records)

Per i musicisti incidere un disco è qualcosa che rimanda all’istinto di riproduzione e di conservazione della specie. Significa lasciare un segno tangibile del proprio lavoro, qualcosa per cui venir ricordati. Nel bene e nel male. Qualcuno lo fa con incoscienza e puro istinto come un vino novello disponibile a inizio stagione, altri ci ragionano a lungo, ci meditano e solo al momento giusto si fanno sentire. Mauro Mulas appartiene a questa seconda categoria e il suo d’esordio arriva dopo una lunga teoria di esperienze, concerti, ensemble di mutevole composizione, incisioni con altri musicisti: la solita trafila del musicista militante. Chiaroscuro è il sunto di un lungo percorso artistico e umano, la naturale evoluzione di una carriera lunga e complessa. La formazione è il classico piano trio assemblato con Perpaolo Frailis alla batteria e Alessandro Atzori al contrabbasso: quanto di più semplice e lineare si possa immaginare nel jazz. Ma il risultato finale non delude, il suono è limpido, sicuro, preciso e ragionato e le composizioni sono di pregevole fattura. Come un rosso barricato che solo il tempo riesce a rendere perfetto.

Roundella. Mind the Loop of Mind (S’Ard)

Per loro potremo coniare la sigla Bsm (Black Sardinian Music) da considerare come succursale della più discussa e blasonata Bam (Black American Music). In effetti l’approccio è molto simile così come è affine la filosofia di fondo e il modo di trattare la materia. Il bacino a cui si attinge è il jazz nella sua versione più metropolitana e sanguigna, quella miscela originale fatta di umori antichi e frenesie contemporanee in proporzioni variabili. Amano citare il soul più verace, la grande forza ritmica del R&B, il blues come collante e la strada come scenario da cui attingere a piene mani tra rap, hip hop, elettronica e così via. Per questo nuovo lavoro riappare anche la grande euforia dello space jazz così come l’aveva teorizzato Sun Ra e altri sognatori delle stelle con la voce di Francesca Corrias perfetta a rendere questo trip ancora più psicotropo.

Saffronkeira e Siavash Amini. The Faded Orbit (Denovali)

Anche il nuovo album di Saffronkeira pascola nelle siderali praterie dell’immensità del cosmo. Suggestioni da trip interplanetare che in qualche modo rimandano alla gloriosa stagione dei corrieri cosmici tedeschi. Mi sembra proprio quella la dimensione scelta da Eugenio Caria seppure con gli inevitabili scostamenti dovuti alle nuove tecnologie e rappresentazioni. Manca il senso di sorpresa e di innocente stupore che abbiamo vissuto nei lontani Seventies ma ritroviamo la furia escapista, il senso di lieve disagio e una benefica voglia di sperimentare e andare oltre. E la collaborazione con Siavash Amini apre ulteriori prospettive per varcare le porte del cosmo e fornire nuove mappe ai figli delle stelle.

Safir Nou. Liminal (Seahorse)

Safir Nou è una creatura fantastica creata da Antonio Firinu, un esperimento di musica totale il cui scopo potrebbe essere quello di far convergere in un solo recinto anime disperse e in cerca di pace. Una sorta di esperanto musicale ospitale e inclusivo dove c’è spazio per le differenze sempre con il dovuto rispetto per ogni singola esperienza. Progetto utopico e visionario, ambizioso e complesso. Ci vuole tanto coraggio di questi tempi nel proporre un album doppio con composizioni strumentali senza nessun appeal commerciale. Ma è il coraggio di chi è cosciente dei propri mezzi, di chi ha tante cose da raccontare e lo fa senza sconti e offerte speciali. Liminal è la prova che l’arte non ha bisogno di lusinghe e facili scorciatoie. Ha bisogno di idee, di passione, di confronto e scontro. Qui le idee ci sono in abbondanza, ci sono i musicisti giusti al posto giusto e quel tocco di magia e poesia che tanto affascina. Ed è bello perdersi in un vortice di emozioni che ci riporta alle delicate armonie della Penguin Cafe Orchestra e persino a certe transumanze spirituali proposte in tempi lontani da Popol Vuh e Ash Ra Tempel.

Giacomo Salis. Naghol (Grisaille)

La ricerca e la sperimentazione in musica rimanda a un ostinato e primordiale impulso a scrutare le cose nel proprio intimo al di là della superficie e della loro significanza. Andare oltre, attraversare la storia e le leggi della natura, svelare i trucchi della percezione, mettere a nudo le idee e chi le ha create. Giacomo Salis ha deciso di partecipare a questo turbine di emozioni che gli artisti da sempre rincorrono. Creare quello che non è stato ancora creato, scavare nell’anima delle cose, tra le pieghe della materia, aprire il giocattolo per vedere come funziona. In questo pellegrinaggio emotivo Salis affronta la materia come l’asceta affronta la vita o i navigatori del Cinquecento affrontavano il mare aperto. Si sa da dove si parte ma non si sa dove si arriva e quando e cosa troveremo oltre il confine del conosciuto. Ma Salis, nella sua solitudine, sa di poter contare su quello che altri hanno fatto prima di lui e sa che qualcun altro potrà continuare questa storia. Tra i tanti cita il nome e l’opera di Emilio Vedova e allora si capisce che la direzione è quella giusta.

Salmo. Flop (Sony)

Che dire su Salmo che non sia già stato detto? Poco o nulla. Possiamo solo aggiungere caos al caos e alimentare un mito che in questo contesto trova il suo habitat ideale. In realtà, al netto dei gossip, delle trovate mediatiche e delle provocazioni, si potrebbe anche parlare di musica. Perché Salmo – e spesso questo si dimentica o passa in secondo piano – è un musicista e questo Flop è la conferma che sotto il vestito c’è spessore e mestiere. Flop è la sottile arte del fallimento in un rovesciamento disturbante di logiche e regolamenti ed è un salutare contenitore di impulsi e influenze anche inaspettate come il recupero di una attitudine più rock (ma molto trasversale). Un album che racconta in modo lucido i miti del presente e riflette sulle miserie del genere umano con spietata violenza (e con stile).

Claudio Loi

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