Esiste la felicità umana? Questo il tema che ha animato l’incontro tra Serge Latouche, raffinato economista francese e Maurizio Zaccaro, David di Donatello come miglior regista esordiente. Il loro è un incontro avvenuto qualche anno fa a Locarno e da cui è scaturita negli anni una complicità che li ha portati sul set del film che ha dato il titolo all’incontro festivaliero: “La felicità umana”.
Sul tema, entrambi sembrerebbero condividere la stessa tesi. “Nell’età moderna, nell’era della coca-colalizzazione, in questo Occidente iper-tecnologico e affannato, la felicità non esiste. E’ un’idea moderna, nata in Europa nel XVIII secolo, prima non se ne parlava, tutt’al più si cercava la beatitudine, ma l’ansia dell’uomo lo ha portato alla ricerca di qualcosa di più terreno, un buon vivere più materiale, razionale, sociale, e la felicità è svanita”.
Per Zaccaro, che sul set, oltre a Latouche, ha chiamato a testimoniare anche un maestro come Ermanno Olmi, l’idea di fare un film sulla felicità risale agli anni del liceo e a un libro scritto da Bertrand Russell dal titolo La conquista della felicità. “In quel libro lessi una frase che ha sedimentato per anni: ‘per essere felici occorre riuscire a staccarsi dal guardare sempre noi stessi’. Era proprio così. Quando ne parlai a Olmi, però, storse il naso, per lui la felicità è solo un inganno, come guardare il sole allo Zenith”.
Se la felicità dunque non può essere umana, forse esiste almeno una promessa di felicità. Latouche scompagina ancora le carte e cita Jose Mujica, l’ex presidente uruguaiano che pratica e predica la felicità: “Mi chiamavano il presidente povero. Ma il povero è colui che ha bisogno di tanto per vivere; io ho vissuto lunghi anni in cui sarei stato felice anche solo con un materasso”.
Ma allora, perché non siamo felici? Cosa ci rende insicuri, fragili, paurosi? Per Lautouche è il suicidio culturale a cui assistiamo che ci ferisce, l’omologazione planetaria, la ricchezza, l’abbondanza, il superfluo. “Abbiamo sostituto la felicità col Prodotto interno lordo, pensiamo che più si è ricchi e più si è contenti. Ma oggi sappiamo che non è così, che non esiste un indice della felicità. In Bhutan, piccolo stato himalayano dell’Asia, sono molto più felici che in Danimarca, perché quando esce il sole cantano, ballano e fanno l’amore. Noi siamo troppo occupati dai nostri cellulari e dai nostri televisori per farlo, siamo infettati da un’ansia di prestazione il cui risultato è una condanna alla frustrazione”.
Donatella Percivale