‘Funtaneris. Sulle strade dell’acqua’: Gasole racconta l’Isola in un docufilm

Funtaneris. Sulle strade dell’acqua’ di Massimo Gasole, proiettato nei giorni scorsi a Cagliari con successo, nasce da un progetto sviluppato negli anni dal dipartimento di Ingegneria civile ambientale e architettura dell’Università di Cagliari (con la collaborazione delle Università di Sassari, della Tuscia, con il Politecnico di Torino e l’associazione Storia di città). Infatti, sulla base delle ricerche coordinate dal professor Marco Cadinu, che del film di Gasole è lo sceneggiatore e il ‘narratore’, la ricerca ha fatto emergere un patrimonio costituito da circa cinquecento fontane storiche, lavatoi, acquedotti e opere d’arte legate all’acqua. Veri e propri monumenti diffusi nel territorio sardo, che disegnano un’inedita geografia dell’acqua e delle sue secolari tradizioni.

La interessante e complessa ricerca, negli anni scorsi espressa in convegni, mostre fotografiche e saggi, aveva, secondo Cadinu e i suoi collaboratori, la necessità di arrivare a un pubblico più ampio, capace di incuriosirsi e appassionarsi a un prezioso patrimonio poco conosciuto. A questo punto, è arrivata la scelta di girare un lungometraggio sul tema. Come fare, però, a realizzare un documentario, che avesse ben chiaro l’obiettivo didattico-divulgativo, ma non diventasse un banale filmino per scolaresche o una scimmiottatura degli show alla Alberto Angela? Bisognava ricercare una strada nello stesso tempo originale, piacevole, ma con una sicura base scientifica. Il regista Massimo Gasole insieme a Marco Cadinu e a una ridotta troupe ricca di talento (l’architetto Stefano Mais, il direttore della fotografia Stefano Ferrando, il tecnico di ripresa Alberto Masala), hanno prodotto un piccolo ‘miracolo’.

Nonostante il budget minimo, hanno girato uno dei documentari sardi più belli e originali degli ultimi anni. ‘Funtaneris’ risulta una sorta di ‘on the road’, un viaggio in macchina attraverso una Sardegna sorprendente nei paesaggi e nei luoghi di pietra e di acqua. Così, vediamo, sin dalle prime scene, Cadinu guidare e raccontare la sua idea di conservazione dell’architettura del piccolo, ma anche la bellezza dei luoghi, l’antica affezione della comunità verso la risorsa acqua, mentre le riprese dal drone,  ci mostrano panorami penetrati da torrenti, pozzi, applicazioni idrauliche, archeologia dell’industria agro-pastorale. In questo viaggio si incontrano i fruitori delle fontane: quasi sempre si tratta di anziani che raccontano come, attorno a lavatoi e abbeveratoi, ci si riunisse, si discutesse, a volte, nascessero persino storie d’amore. Non sono interviste piatte e passive: gli uomini e le donne che decidono di parlare alla troupe lo fanno per amore della propria cultura, del ricordo delle madri, dei padri, dei nonni, dei concittadini diventati ombre, ma capaci di rivivere vicino a quei piccoli monumenti, simboli concreti della comunità a cui ancora si appartiene.

Durante le interviste, vengono, in alcuni casi, mostrate foto d’epoca, che riportano al tempo in cui l’acqua era un bene prezioso, ma sottintendeva anche fatica e sacrificio. In questo senso si evocano le donne di Nuragus, le quali percorrevano tre chilometri a piedi con le loro anfore in testa per andare a prendere l’acqua pura e fresca della fonte di Nurallao. Oppure, davanti al bellissimo lavatoio di Villacidro (un luogo fondamentale nel ‘Paese d’ombre‘ di Giuseppe Dessì, di cui nel film viene letto un brano) è facile immaginarsi le donne, arrivate di buon mattino, mentre si sceglievano il posto migliore per lavare i panni, cantare o mormorare i pettegolezzi del paese. Come afferma Cadinu, mentre chiacchiera con una villacidrese, la quale evoca aneddoti del passato, forse in quel lavatoio dovrebbe scorrere, di nuovo, l’acqua e magari diventare un luogo di incontro oppure di gioco per i più piccoli.

Si può poi rimanere stupiti di fronte alla fontana Grixoni di Ozieri, e nei suoi ‘sotteranei’ ammirare la struttura idraulica medioevale, e, come vien detto nel film, è “come incontrare un dinosauro ancora vivo”. La risorsa acqua, dunque, può trasformarsi pure in cultura popolare. Si pensi, a questo proposito, all’attribuzione di capacità medicamentose di alcune sorgenti e fontane. Acque che curavano gli occhi, gli arti, persino la rogna, per quanto alla ‘fontana della rogna’ di Sassari, nel 1600, cambiarono il nome in ‘fontana delle Conce’, perché, ormai, quella caratteristica farmacologica era considerata mera superstizione. In Sardegna sono presenti anche le fontane moderne, o meglio, quelle pensate e realizzate da artisti del novecento, come quella di Maria Lai e Costantino Nivola a Ulassai o, a Orani, proprio nel museo Nivola, il bellissimo lavatoio, che si vede nel film ripreso dal drone. Durante il viaggio sulle strade dell’acqua, può capitare di trovare altri gioielli artistici, dal Nuraghe di Sant’Antine alla Chiesa di San Pietro di Sorres. Un elemento, infine, capace di rendere ancor più accattivante il documentario è l’uso della musica. Per raccontare con efficacia questo percorso tra i luoghi sardi, non è necessario commentare con sonorità folcloristiche: la scelta del jazz, del blues, della musica berbera contemporanea riempe le immagini di un afflato d’avventura, di melanconia e, nello stesso tempo, di solarità, contemporaneità e classicità.
Funtaneris’, prodotta da Illador Films e dalla associazione Storia della città, è stato realizzato con il contributo della Fondazione Sardegna, Università di Cagliari-Dicaar, Sardegna Film Commission, Abbanoa, Criteria, Teravista, Fondazione Giuseppe Dessì.

Elisabetta Randaccio

 

Nella galleria fotografica alcune immagini del docufilm

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