Fresu, viaggio dalla psicoanalisi all’arte: “La memoria per affrontare il presente”

Antonello Fresu, psichiatra e psicanalista, si è occupato di arte per diversi anni in veste di curatore e dal 2004, con lo pseudonimo Nero Project, ha iniziato ad allestire le proprie opere multimediali, fotografie e installazioni, nell’ambito di numerose rassegne, tra cui Pav, il Progetto Arti Visive di Time in Jazz. Nel 2012 realizza la sua prima mostra personale, “Offrimi il cuore”: un progetto che abbraccia diverse discipline quali l’arte visiva, la musica, il video e la performance. Presentato all’Auditorium Parco della Musica di Roma, è stato successivamente portato a Ginevra e Losanna in Svizzera; a Bruxelles, Gent e Anversa in Belgio; a Milano, Bologna e poi ancora nella capitale, all’interno del progetto Open City del MAXXI romano.

A questa esperienza seguono tre importanti progetti individuali che delineano la ricerca artistica di Fresu: da un lato l’artista percorre i confini dell’identità e della memoria, personale come sociale, ed il loro possibile disperdersi; dall’altro, più sottilmente, si rivolge a problematiche riguardanti il ruolo dell’individuo nell’epoca della massa, esercitando uno stimolo alla partecipazione collettiva in cui l’opera non ha margini definiti, su cui, appunto, è il pubblico a decidere. Del 2014 è la grande mostra “Novecento“: una riflessione sulle guerre che hanno segnato il secolo breve. In quest’occasione Fresu ha esposto materiale inerente al periodo bellico (fotografie e documenti storici) attraverso la tecnica del pop-up che, per il suo immediato rimando all’infanzia, provoca nello spettatore una sensazione di disilluso ritorno alla realtà.

Nel 2016 ha avviato invece il progetto “Ri-trascrizioni”: una serie di installazioni/performances in cui il pubblico è invitato a trascrivere a mano, fedelmente ed integralmente, diversi paragrafi di un libro stampato. (Tra i testi selezionati: “Se questo è un uomo” di Levi, “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello, “Le Lettere dal carcere” di Gramsci). Questo lavoro si connota di una doppia attitudine: la centralità del processo di realizzazione rispetto al prodotto finito e il desiderio di creare microcosmi di convivenza quali esperimenti pratici di utopia. Attraverso quest’operazione viene messo in atto un esercizio sull’identità storica, individuale e collettiva, che suggerisce una riflessione sul senso del ricordare, comunicare, partecipare. Sulle “Ri-trascrizioni” il critico d’arte Ivo Serafino Fenu ha scritto “È un’esaltazione del tempo lento e una somma di tante individualità che produce qualcosa di superiore ai singoli interventi”.

Si è invece recentemente conclusa “Der Körper”, l’ultima mostra personale di Antonello Fresu che presenta, attraverso opere di grande formato, l’interno del corpo di Hitler in contrapposizione alla sua immagine pubblica. I filmati, manifesti e documenti della propaganda nazista, delle architetture ideali di regime, di edifici e parate, come anche le improbabili architetture del dna dell’eugenetica nazista, si alternano alle immagini, crude e scarne, del corpo del furer, la cui cartella clinica completa è stata recentemente ritrovata. Centrale la serie di imponenti riproduzioni, alte 3 metri e retroilluminate, delle radiografie originali del cranio di Hitler osservabili mentre nell’aria riecheggia l’autentico suono del battito cardiaco ricostruito, oggi, sulla base di tracciati elettrcardiografici.

Anamnesi, radiografie e referti clinici presentano la persona, le sue patologie e la sua umanità, in una deflagrazione dell’uomo nel tempo ma anche nello spazio. Nella società contemporanea, che ha il senso del male ma non più il linguaggio religioso o filosofico per parlarne con intelligenza, il lavoro di Fresu offre spunti di riflessione, fornendoci metafore adeguate. Al fine di approfondire la conoscenza della sua opera gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Percorrendo la sua ricerca si nota un approccio scientifico nello sviluppo dei suoi progetti, come anche una particolare attenzione alla memoria, oggetto di indagine psicanalitica. Ritiene che lo studio della clinica abbia in qualche modo formato il suo immaginario artistico?

In realtà la mia ricerca non è mai stata sottesa da un interesse o una motivazione di tipo scientifico, sebbene progetti come “Offrimi il cuore” e “Ri-trascrizioni” possano aver suscitato curiosità nell’ambito delle neuroscienze o, come nel caso di “Der Körper”, nell’ambito della medicina. Mi capita abbastanza spesso di inserire dati o contenuti scientifici nei miei lavori, ma questo avviene con una finalità di tipo poetico, esattamente come farei con qualunque altro tipo di contenuti. Differente è invece il discorso per quanto riguarda la memoria. Se infatti è compito della psicoanalisi andare oltre i dati della consapevolezza della coscienza, al fine di cogliere significati e contenuti più profondi utilizzabili per affrontare il presente, credo che il compito dell’artista sia un po’ lo stesso: andare oltre gli scontati e rassicuranti convincimenti collettivi alla ricerca di “letture” più profonde, sia dell’uomo che della società. E questo è particolarmente importante in un’epoca come la nostra che tende sempre di più a negare la memoria.

Nel suo rapporto con il colore riesce a prescindere dal corrispondente valore simbolico e psicologico?

Il colore nei miei lavori non è mai pigmento pittorico, ma nasce dalle sedimentazioni polverose dei frammenti di tempo, nei quali mi imbatto, e dalla corrosione delle superfici metalliche che diventano spazio di frammenti di storie.

Il dibattito culturale sul rapporto tra arte e scienza si è piu volte interrogato sulla possibilità che la tecnologia possa alimentare la creatività di un artista. Secondo lei, a proposito delle nuove tecnologie e della loro applicazione all’arte, è giusto parlare di rinascimento digitale?

Credo che lo sviluppo delle scienze e della tecnologia possa alimentare la creatività artistica solo nella misura in cui – producendo cambiamenti e trasformazioni, spesso inimmaginabili, nella relazione tra l’uomo e la sua realtà – renda necessaria una decodifica di queste mutazioni. Una lettura, quella dell’arte contemporanea, certamente meno precisa rispetto alle scienze storiche e filosofiche, ma molto più efficace ed incisiva nel cogliere i movimenti e le dinamiche più profonde, sia dell’uomo che della società.
Mi sembra, invece, che l’applicazione in ambito artistico delle nuove tecnologie, porti certamente ad un naturale aggiornamento sia dei mezzi che delle modalità espressive, senza interferire con quelli che sono, comunque, i contenuti profondi dell’arte: la vita, la morte, l’amore, la memoria, la ricerca del senso…

Trova radici del suo attuale percorso nella sua infanzia? 

Credo che qualunque attività artistica si alimenti dalle proprie radici, dalla propria storia, dalla variegata esperienza del proprio microcosmo. Tali radici, invisibili ma presenti, sono sicuramente alla base di tutti i miei lavori. Solo queste radici possono trasformare una semplice esperienza personale in linguaggio universale.

Gaia Dallera Ferrario
https://www.instagram.com/gaiafe/

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