Francesca Bellu e il suo PaneOro: così il cibo più “quotidiano” diventa gioiello

Nuovo appuntamento con la rubrica Sardinia excellenceStorie, persone che rendono unica l’Isola a cura di Antonio Paolini una delle firme più autorevoli del giornalismo enogastronomico.

Pezzi fini e preziosi costruiti attorno a un impasto brevettato e finiti nei musei. E il prossimo progetto è costruire col vino

Dalla magìa antica di un forno di paese, Luras, dal profumo magico della più semplice delle colazioni del mattino, dal più normale (e nobile) degli alimenti alle mostre al Mit Museum del Marais, a Parigi, o al Museo del Costume di Nuoro.

Francesca Bellu, sarda di Luras, intuizione senza confini ma con radici profonde (com’è sempre quella di chi crea un pezzo d’arte, un congegno nuovo, un nuovo elemento di stile) ha fatto a suo modo proprio, trasformandolo con amore, il portato evangelico che nella sua isola natia si traduce poi in mille forme sacrali, celebrative, decorative, in bilico tra gusto, rito e magia. Ha preso il pane, che è “quotidiano” per antonomasia, e lo ha trasformato in gioiello.

PaneOro si chiama la sua linea di monili stupendi e complessi, delicati accostamenti di stoffe, gemme, pietre, merletti centrati però su una materia prima, una “sostanza” (che ha brevettato) fatta a partire da acqua e farina, l’impasto cioè destinato al bacio del lievito e a divenire normalmente pagnotta. Ma, in questa enclave unica che è la Sardegna, Civraxiu a Sanluri, Candelariu o Pertusitta a Capodanno, Cozzula se destinato a un giorno di nozze, Coccoi se fatto di semola, e in più Pintaus se fatto per una festa e in mille modi decorato (e in mille altri modi ancora, secondo ricorrenza, zona, tradizione, denominato).

Unico e vario proprio come i gioielli di Francesca. Diversissimi uno dall’altro, accomunati da questa sostanza morbida e plasmabile su cui si innesta l’architettura di ogni singolo pezzo. Ognuno dei quali ha poi un nome che, dalla contemporaneità futuribile dell’idea dell’artefice, riporta dritto all’humus profondo della sardità.

Non a caso di chiamavano Bolu, Beeabu, Adelasia, Re Enzo i quattro pezzi esposti al Mit parigino un anno fa. Richiami espliciti a miti della sua terra. Perché Bellu è convinta che proprio dall’elemento etnico e artigiano che marca ogni popolazione dalla cultura ben definita derivino insieme la ricchezza della terra d’origine e quella dell’ispirazione del creativo. Ed è per questo che a chi le chiede chi indossa, poi, i suoi gioielli risponde che a portarli sono le “Janas”, le fate in versione isolana che abitavano (o abitano ancora, secondo gli irriducibili) le “domus” di cui è fitta l’isola. Perché i gioielli di Francesca non sono in vendita.

“Appartengono a tutte le donne – dice l’autrice – perché le donne, come il pane, danno la vita>. E dunque sono destinati solo a vivere in esposizioni ed eventi dedicati. Come quello che aprì la serie, a Porto Cervo. O il defilé ‘medievale’ fatto a Vico Pisano per raccogliere fondi per agricoltori sardi di cui erano stati bruciati capannoni e attrezzature”.

Ovviamente non di solo pane – proprio come l’uomo – vivono le creazioni targate Bellu. La storica memoria della filigrana (anch’essa pezzo del forziere generoso dei “saper fare” sardi) entra a sua volta nel composé stilistico dei lavori. Così come la vicinanza spirituale e le assonanze nel costruire trame evocative e complesse col lavoro di un’artista, Maria Lai, anche lei di Ulassai, scomparsa nel 2013, singolare autrice di opere a base tessile, missione dichiarata “cucire il mondo” con l’intreccio simbolico e mirato dei suoi fili.

Bellu ha iniziato il suo percorso da ragazzina. Costruiva gioiellini col pane, facendo giochi “seri”, oltre vent’anni fa. I primi pezzi veri risalgono a 15 anni or sono. Il brevetto che li protegge ha compiuto i dieci anni.

“Il primo gioiello “firmato” raccontava, pudicamente ma con puntualità, la mia storia personale di donna”. E il nome, “Non è Francesca”, datogli a cose fatte da un tot, evoca il concetto del rapporto tra fruitore, autore e opera d’arte acutamente configurato da Magritte con la sua celebre “non pipa”.

Francesca, peraltro, non ha mai accettato di farsi filmare mentre lavora, e in genere non ama quelle che chiama “le passerelle inutili”. Una stilista fuori scala, che vive lontana dai riflettori. Misteriosa, nella definizione dello stesso Museo nuorese che ha esposto le sue opere. “Più che una fuoriscala – ironizza amabilmente lei – sono da sottoscala. La penombra mi va benissimo, importare è afferrare quando serve il raggio di luce necessario a fare”.

Così, intanto, ha deciso di non fermarsi – per così dire – alla prima, e pur fondamentale, portata. O comunque, sta quanto meno pensando all’abbinamento. Visto che il prossimo step creativo racconta di volerlo giocare col vino. Meglio, con i residui della sua lavorazione.

“Anche questo nuovo ‘work in progress’ è una ricerca di sintesi tra i prodotti fondamentali della terra e l’intervento dell’uomo. E anche un paracadute no sprechi”. L’idea e il progetto sono nati nella piccola vigna di Luras dove il marito Andrea alleva principalmente Nebbiolo e fa un po’ di vino per famiglia e amici. Ed è scaturita dal profumo – sorta di “madeleine” gallurese, evocazione di ricordi infantili ma anche apertura ad una visione futuribile – delle vinacce appena sgrondate. Anziché farne concime (o mandarle in distillazione, avendo poi sempre un residuo da gestire) Bellu ha pensato e brevettato un sistema per farne pannelli da bioedilizia o adatti a costruire mobili, o addirittura una sorta di bio-parquet, un elemento per pavimentazione “che non prevede – dice sorridendo – stragi di alberi”. Questo, al contrario del PaneOro, vuol essere un progetto commerciale. Il nome scelto è Edilvitys. E per metterlo in orbita manca ora solo l’azienda di settore che intenda farlo suo per aprire, con Francesca come stylist, la prima linea di produzione.

Antonio Paolini

Antonio Paolini è una delle firme più autorevoli del giornalismo enogastronomico. È coordinatore Guide food Gambero Rosso. Ha co-fondato e scrive per la testata web Vinodabere.it. Ha lavorato a lungo al Messaggero (Esteri, Economia, wine & food columnist), ed è stato curatore dei Vini dell’Espresso e nel comitato esecutivo della Guida ai Ristoranti d’Italia. Ha scritto tra gli altri per L’Espresso, Spirito Divino, Monsieur, La Cucina Italiana, I Fiori del Male, e pubblicato decine di Guide. Nel 2008 gli è stato attribuito il Premio Veronelli. Attualmente collaboratore del gruppo Sae.

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share