Festival del cinema di Tavolara, arriva l’edizione numero 24. Navone: “Ecco com’è cambiato l’evento”

Ventiquattro anni e non sentirli. Il festival del cinema di Tavolara è il cinema, almeno nel piccolo microcosmo della Settima Arte in Sardegna. Una storia nata con la pellicola e il proiettore e sbarcata al digitale. Tutto cambia, tranne lo scenario dell’isola di Tavolara. Tutto cambia, tranne lui: ideatore e motore molto mobile di una organizzazione che ha messo dentro nomi illustri del cinema italiano. Marco Navone, insegnante di Lettere, insieme al fratello Augusto, pochi amici e la passione per il cinema, era partito da qui per creare quello che è diventato un brand e che apre le porte al futuro.

Navone, siamo alla vigilia della 24esima edizione del Festival del cinema di Tavolara. Siete sempre uguali?

“Tante cose sono cambiate in questo Festival del cinema italiano. Certamente l’anno scorso è stata una tappa importante con l’apertura al web, alla televisione e ai documentari. Quest’anno per la prima volta avremo due anteprime internazionali. La formula è quella vincente, ma nel tempo abbiamo cambiato location e da Tavolara abbiamo aperto il Festival ad altre realtà. Ma certo tutto cambia. Cambiamo noi, che purtroppo invecchiamo. Ma cambia il mondo del cinema. Quest’anno per la prima volta abbandoneremo lo storico proiettore, i film saranno solo in formato digitale. La pellicola è ormai un ricordo del passato. Cambiano le tecniche, cambia il linguaggio. Cambia tutto”.

C’è già una nuova generazione pronta a prendere il testimone?

“Io ho sempre messo la mia esperienza a disposizione delle giovani generazioni. Ci sono delle ragazze molto preparate e pronte ad andare avanti: una di queste è Claudia Panzica, che ha fatto il Centro Sperimentale. Ma la mia idea è anche quella di creare l’Associazione Cinema Tavolara, un luogo nel quale possano entrare le istituzioni, le personalità che finora mi hanno affiancato come Piera Detassis e Neri Marcorè, attori, registi. Una struttura snella nella quale anche il Comune e la Regione comincino ad assumersi qualche responsabilità oltre le dichiarazioni di intenti per consentire al Festival del cinema di Tavolara di andare avanti”.

Ci sarà lei alla presidenza?

“No. Io non voglio mantenere cariche. Seguirò come sempre il Festival, come faccio da 24 anni. Ma spero che sia appunto qualche giovane a prendere il mio posto”.

Intanto c’è una rassegna da portare avanti. Anche quest’anno titoli importanti: “Il Capitale Umano” di Virzì, trionfatore agli ultimi David di Donatello; ma anche il documentario evento proiettato poche settimane fa su Sky, “Quando c’era Berlinguer” di Walter Veltroni. Lei ha parlato però di due anteprime internazionali.

“Sì, abbiamo portato a Tavolara “Kon-Tiki”, storia di un esploratore norvegese e due anteprime da serie tv americane. Una sarà una sorpresa assoluta, l’altra (domenica 20 luglio a Tavolara, ndr) sarà “The normal hearth” che tratta il tema dell’Aids e sarà uno dei telefilm di punta del palinsesto invernale di Sky”.

Da due anni proprio Sky è diventato partner del festival. La televisione sottrae sempre più spazio al cinema o è solo il bisogno di sponsor che consentano di poter sostenere manifestazioni come queste?

“Il futuro, ma direi anche il presente, è della televisione. Per una serie di motivi. Anche se penso che la sala sia ancora l’unico vero luogo deputato per il cinema. La differenza è quella tra il grande romanzo e il romanzo d’appendice. Il cinema nasce per la sala e la sala buia è l’ideale supporto per quel prodotto cinematografico. La verità è che in tutte le arti applicate, non solo nel cinema, non si inventa più nulla. Tutto è già stato creato. Certo migliora la tecnologia, ma deve essere omogeneizzata sempre con una certa creatività”.

In 24 anni come è cambiata Tavolara? In meglio e in peggio.

“In peggio nel fatto che siamo più vecchi e con meno spirito di avventura rispetto a quando abbiamo iniziato. Ancora una volta ci manca il supporto delle istituzioni. In meglio nel fatto che nel tempo siamo riusciti a consolidare questa formula: ormai da Tavolara siamo arrivati a cinque location, con l’inalterato, anzi aumentato, affetto del pubblico; un rapporto virtuoso con i partner privati che ci supportano davanti a una Sardegna che sappiamo non avere leggi premianti per il cinema. Piera Detassis e Neri Marcorè sono diventati due punti di riferimento, ma io continuo ad auspicare un maggior interesse delle istituzioni nell’ottica della promozione del territorio. Noi siamo molto amati, l’anno scorso con la sottoscrizione pubblica in meno di un mese abbiamo raccolto 20 mila euro. Manca l’orgoglio, manca la programmazione. In Sardegna non c’è un bando di legge per il cinema, l’assessorato al Turismo ci deve ancora 50 mila euro, quest’anno non abbiamo ancora ricevuto un soldo”.

Si discute tanto dei finanziamenti. Pare che in Sardegna la parte del leone la faccia il jazz. La musica vale più del cinema?

“Non è questo il discorso. Il problema è che i finanziamenti si concentrano per poche iniziative e tutte d’estate. Ci sarebbero tante attività culturali da valorizzare, con le quali è possibile seminare tutto l’anno e creare un vero tessuto culturale. Ma per un motivo o per l’altro non lo si fa”.

Torniamo a Tavolara. C’è un film al quale in questi 24 anni è rimasto più affezionato?

“Credo che “Il grande Blek” di Giuseppe Piccioni sia quello al quale sono più legato. Lo portai a Tavolara dopo che vidi un’intervista di Antonello Grimaldi, che era l’aiuto regista (e che nel tempo è diventato uno dei più assidui frequentatori di Tavolara,ndr) e ci incontrammo. Sarà per la striscia di fumetti che ricorda l’infanzia,per quello specchio di una nuova generazione che simboleggiava il nuovo corso del cinema italiano, ma quel film mi è rimasto dentro”.

Escludendo per ovvi motivi Marcorè e la Detassis, qual è il personaggio che è arrivato in questi anni a Tavolara al quale è rimasto più legato?

“Sono due. Jasmine Trinca e Valerio Mastrandrea. Due grandi attori e due persone meravigliose”.

Giandomenico Mele

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