L’idea dei suoi prodotti si basa sull’utilizzo di materiale il più naturale possibile, su un approccio artigianale (“pre-industriale”, dice lui) ma dal design contemporaneo, sul rapporto tra saper fare manuale e nuove tecnologie, “sul mettere a sistema uomo e macchine”. Prendiamo Gegis, il primo progetto di design di Matteo Buccoli. Si tratta di un tavolo in legno massello di frassino o di rovere con un doppio piano che serve a “salvare lo spazio” e a nascondere oggetti di uso quotidiano. Il materiale è nobile e il tavolo è privo di giunti industriali. “Mi piace l’idea che l’oggetto possa invecchiare, si possa graffiare, che il legno possa imbarcarsi con delle piccole pieghe. L’imperfezione – dice – diventa un segno di bellezza e di identità. I tavoli sono tutti diversi dagli altri e ogni modello di Gegis ha una sua storia da raccontare”. Il rapporto di Buccoli col design è animato dalla curiosità – dalla necessità quasi fisica – di seguire ogni fase della lavorazione e di scoprire come funziona un oggetto, come nasce e si sviluppa. Dalla voglia di sperimentare sul materiale e dal rapporto strettissimo che instaura con gli artigiani con cui collabora di volta in volta. “Ho sempre preferito lavorare in laboratorio e non in studio”, dice. Al punto che il laboratorio se l’è fatto anche in casa a San Sperate ed è lì che ha iniziato a sperimentare quotidianamente con la ceramica, creando una nuova serie di oggetti – dai piatti alle ciotole – in cui i progetti possono nascere da semplici errori, “come imprevisti che ti stupiscono e ti portano a creare forme nuove”.
Matteo Buccoli è un architetto e designer cagliaritano, classe ’84, che da qualche anno ha avviato uno studio dove si dedica principalmente a progetti di interni e a creare le sue collezioni di design. Dopo la laurea in ingegneria, si è iscritto in architettura a Cagliari e – una volta conclusi gli studi – ha lavorato in uno studio a Berlino per qualche anno. “Quando sono tornato in Sardegna ho iniziato a seguire alcuni progetti interessanti. Uno, in particolare, era quello di un appartamento dove mi è stata data carta bianca per disegnare tutto. In parallelo mi hanno chiesto di trovare anche un tavolo adatto alla cucina. Visto che non ce n’era uno che mi soddisfacesse, ho deciso di progettarlo io”. Il suo lavoro di designer nasce all’inizio proprio per risolvere alcuni dei problemi legati ai progetti di interior: se mancava una lampada adatta o una particolare sedia, la produceva direttamente lui. Poi i due percorsi – pur continuando a convergere nei suoi lavori di interior – hanno assunto anche una dimensione autonoma.
Continua a leggere dopo la gallery
[metaslider id=”872775″]Buccoli ha iniziato a girare l’Isola per cercare degli artigiani in grado di dare forma ai suoi progetti, giocando tra le imperfezioni inevitabili del fatto a mano con la precisione delle macchine. Uno dei progetti in cui ha sviluppato meglio questa interazione è quello delle lampade Trexenta, in cui la lucentezza del metallo si confronta con la naturalità del legno. È un oggetto dal design minimale con un elemento tornito a mano in legno massello e uno metallico definito con una macchina a controllo numerico, lavorato ulteriormente a mano nel finale. “Cercavo un tornio e sono andato da un falegname – racconta Matteo -. Lì ne ho visto uno che però era inutilizzato da 30 anni. Il figlio dell’artigiano, nato nel 1993, mi ha spiegato di non averlo mai utilizzato: doveva imparare da zero. Sono tornato dopo una settimana e il pezzo era pronto, perfetto. Poi l’ho fatto lavorare da Luigi Pitzalis, l’unico ramaio in Sardegna. Il pezzo in metallo lo ha realizzato un coltellaio. Tre artigiani diversi per una sola lampada”.
Per uno dei suoi ultimi progetti, Tallery, Matteo ha fatto una lunga analisi sui taglieri sardi e poi una ricerca estetica su alcuni elementi decorativi tradizionali. Il materiale è quello classico, il faggio. “La forma è una goccia, abbastanza anomala. In genere le decorazioni sono assenti nei miei prodotti ma qui ho voluto dare al progetto una impronta fortemente sarda”. Per realizzare le decorazioni si sono presentati alcuni problemi tecnici: “Non trovavo artigiani in grado di fare quell’incisione. Allora ho pensato a una macchina laser. Se inizialmente ero scettico sulla decorazione, l’essere uscito fuori dalla logica tradizionale per l’incisione mi è piaciuto parecchio. Ogni tagliere è diverso dagli altri: ho messo gli ideogrammi sardi a sistema in un pacchetto grafico e le composizioni sono nate in modo spontaneo. 100 decorazioni per cento taglieri in un solo giorno”.
L’ultima passione di Matteo è quella della ceramica e va di fari passi con la voglia di confrontarsi in prima persona con la produzione degli oggetti e la lavorazione della materia. “A casa ho tutte le attrezzature – spiega -: macchinario a controllo numerico insieme a macchine di falegnameria base, tornio e forno. I progetti li produco tutti in casa”. Per le ceramiche lavora insieme all’architetto Silvia Sotgiu, partner nel lavoro e compagna di vita: lei produce la forma principale, lui si occupa della decorazione e del colore. Tra i progetti, c’è quella di una scivedda per la lavorazione della fregula, incisa a controllo numerico con dei cerchi che seguono il movimento della mano. Poi ciotole, brocche, piatti componibili, pentole, in alcuni casi con riferimenti al periodo nuragico che – secondo Buccoli – è “più contemporaneo del contemporaneo”. “Una ceramica sai come entra nel forno e non sai come esce, delle volte”, dice. Anche per questo da errori e imprevisti possono nascere forme nuove su cui lavorare. “Ho anche iniziato a creare delle forme architettoniche scolpendole direttamente nella ceramica. Prima con dei posacenere, ora anche con oggetti più grandi”. Tra i suoi progetti c’è quello di lavorare a contatto col mondo della ristorazione e progettare dei piatti in collaborazione con gli chef. “Vorrei lavorare con uno che mi dica: ho in mente di fare questo piatto come posso mettere bene in evidenza quello che voglio servire? Insomma, indagare il rapporto tra architettura, prodotto e cibo”.
Nel suo lavoro il rapporto con la Sardegna è forte anche se Buccoli cerca di discostarsi il più possibile dalla tradizione. “A volte la sentiamo come un peso e ci sentiamo quasi in dovere di fare qualcosa di “sardo”. Cerco di superare la tradizione ma poi è chiaro che conservo nel mio lavoro molti riferimenti culturali ed estetici all’Isola. Le palette di colori che uso – per esempio – affondano le radici nelle nostre coste e nei nostri monti”.
Andrea Tramonte