Dai Tumbarinos ai Mamuthones fino alla Sartiglia: la mappa dei carnevali storici in Sardegna

Si dice che ci sia un carnevale per ogni luogo dell’Isola. Le tradizioni in Sardegna hanno radici antichissime e raccontano in modo profondo i territori, i legami di appartenenza all’interno delle comunità, luoghi, cibo e vino che si radicano all’interno di storie di lunga durata. Manifestazioni arcaiche che raccontano del rapporto con la terra e con il mondo animale, rituali di fertilità, fecondità e di buon auspicio. Dalle maschere più selvagge della tradizione barbaricina alle corse equestri, una piccola mappa per orientarsi tra i carnevali storici dell’Isola.

Mamuthones e Issohadores di Mamoiada

Il carnevale sardo più conosciuto a livello internazionale è quello di Mamoiada, in Barbagia, con una sfilata “infernale” scandita dai suoni dei campanacci. I Mamuthones hanno i volti scuri, uno degli aspetti della maschera tradizionale del carnevale barbaricino che incute più timore, con una maschera nera di ontano si chiama “visera”. Abiti di pelle di pecora nera che richiamano il profondo legame con le tradizioni agropastorali, l’abbigliamento in velluto, un cappello chiamato “bonette” e poi un fazzoletto chiamato “su muncadore”. Sulle spalle portano un gruppo di campanacci dal peso di 20, 25 chilogrammi, che durante il cammino rituale e i salti della sfilata generano quel rumore quasi infernale che viene attribuito in modo quasi iconico al carnevale di Mamoiada. Poi sul petto i Mamuthones hanno anche delle campanelle in bronzo legate a delle cinghie di cuoio.  Gli Issohadores indossano invece una parte del costume tradizionale del paese: corpetto rosso, camicia bianca, calzoni bianchi di stoffa, calze nere di orbace. In testa hanno una “berritta” e un fazzoletto colorato cinge loro il viso. Lo scialletto intorno alla vita e sul petto una sonagliera in cuoio con delle piccole campanelle: sa soha, che usano per acchiappare chi assiste alla loro esibizione. 

Sos Tumbarinos, Gavoi

Il suono dei tamburi scandisce il ritmo del giovedì grasso a Gavoi, in Barbargia, insieme al sapore delle fave con il lardo. Lo strumento tradizionale è costruito con pelli di capre e pecore e ha una chiara origine agropastorale: per la sua costruzione si usano i setacci per la farina, forme in legno per il pecorino, secchi usati per la mungitura o per cagliare il formaggio, contenitori per conservare il grano. Le origini sono molto antiche e probabilmente risalgono ai riti in onore di Dioniso. Al centro di tutto c’è la musica di centinaia di tamburi, accompagnati anche dai suoni del piffero, del triangolo e di Su tumborro, uno strumento a corda. Si chiude il martedì grasso quando la festa finisce con il rogo di Zizzarone, il fantoccio del re del carnevale.

Tumbarinos a Gavoi (Nu).

Boes, Merdules e Filonzana di Ottana

Le maschere del carnevale di Ottana mettono in scena il rapporto dell’uomo con la terra, il culto della feritilità. Medules hanno un nome di origine nuragica: si pensa derivi da mere (padrone) e ule (bue). I boes hanno una maschera taurina e anche la figura del toro rimanda all’epoca nuragica: antica divinità di quella civiltà, simbolo di forza vitale e di ribellione dell’animale al suo padrone; crea scompiglio tra la folla scagliandosi contro il merdule che cerca di riportare l’ordine con un bastone (“su mazuccu”) o una frusta (“sa soca”). C’è anche una figura femminile: sa filonzana, una donna che fila la lana.

Boes e Merdules a Ottana (Nu).

Sos Thurpos a Orotelli

Il rapporto uomo-animale capovolto in maniera grottesca è il nucleo del carnevale di Orotelli, dominato dalle maschere di Thurpos che compiono gesti propiziatori legati alla fertilità e mettono in scena situazioni legate alla tradizione contadina. L’agricoltore deve governare i testardi Thurops Boes, i seminatori spargono la crusca, il fabbro e su Thurpu che accende il fuoco con un acciarino, una pietra focaia e un cornetto di bue pieno di midollo di ferula secca. Durante la sfilata si avventano sul pubblico che così partecipa al gioco. Hanno il viso coperto di fuliggine, abiti di velluto, gambali di cuoio, pastrano di orbace e campanacci sulla schiena.

I Thurpos a Orotelli (Nu).

La Sartiglia di Oristano

Tra le giostre equestri più famose d’Europa, la Sartiglia di Oristano si svolge ogni anno nel corso dell’ultima domenica e dell’ultimo martedì di carnevale, coinvolgendo l’intera città. La festa è di origine medievale con una sintesi di sacro e profano. Protagonista è Su Componidori, scelto dai Gremi dei Contadini e dei Falegnami, da cui dipenderà la sorte del raccolto dell’anno. Più stelle infilzerà con la sua spada, più fecondo sarà il raccolto. Dalla vestizione solenne – con i pantaloni in pelle bianca, camicia, cappello a clindro, velo in pizzo e maschera – alla corsa, Su Componidori non potrà più toccare terra fino alla fine della giostra. Quando la corsa dei cavalieri è terminata inizia Sa Remada, la corsa all’indietro sdraiato sul dorso del cavallo.


Sa carrela ‘e nanti a Santu Lussurgiu

Sa Carrela ‘e nanti, la corsa dei cavalli “a pareza” (a pariglia) di Santu Lussurgiu, è una delle manifestazioni equestri più antiche dell’intera Isola, emblema d’identità e tradizioni legate alla cultura equestre e alla maestria degli artigiani. La manifestazione si svolge nell’attuale via Roma (storicamente chiamata appunto Sa carrela ‘e nanti, la strada davanti), su un percorso sterrato di circa 350 metri, caratterizzato da ripide discese e salite, da curve e strettoie. La via è divisa in zone e ogni anno l’asfalto viene rimosso per poi essere riposizionato dopo la corsa. La prima zona, S’iscappadorzu, è il punto in cui ha inizio la corsa e in cui si presentano i cavalieri, i quali a gruppi di due (una volta anche tre e quattro) con il braccio di uno sul braccio dell’altro (volendo simboleggiare l’unità), si lanciano nella loro corsa fino a Santu Ienzu, punto di arrivo e fine del paese, per poi tornare da Sa carrela ‘e segusu (la strada di dietro) e ripercorrere nuovamente la via, fino a mezz’ora prima del tramonto.

Lu Carrasciali a Tempio Pausania

Il mitico re Giorgio del carnevale della città gallurese riporta all’epoca pre-romana: lo spirito della terra che fruttifica e a cui offrire sacrifici e che viene a sua volta sacrificato per fecondare la terra. Anche in questo caso parliamo quindi di un carnevale dalle origini antichissime. Carri allegorici, balli e migliaia di persone in piazza, con alcuni momenti topici: il matrimonio tra “sua maestà” Re Giorgio e la popolana Mannena e poi la sfilata conclusiva, quando il re sarà processato e mandato al rogo.

Carnevale a Tempio (Ss).

Karrasegare a Bosa

Uno dei carnevali più divertenti e spontanei della tradizione sarda: dal martedì grasso con la sfilata di Gioldzi (il Re Giorgio, con un fantoccio vestito di stracci e una botte per pancia) e le maschere di s’attittidu: le Attittadoras vestite completamente di nero piangono la morte del re con un lamento funebre che si sente in tutto il paese. Poi arrivano le maschere in bianco, le anime del Carnevale che sta per finire e che girano al buio indossando un lenzuolo.

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