“Da Treviso al Sulcis, il ritorno a casa”. Heart studio, il design ‘fatto a mano’

Nei loro lavori grafici compaiono spesso pattern e geometrie che reinterpretano la tradizione decorativa sarda, in primis quella del tessile. Oppure colori e forme che richiamano la natura e i monti che li circondano quotidianamente. “I tramonti dietro Montessu, i profili un po’ arrotondati, sinuosi delle campagne intorno a Santadi”, raccontano Bruno Savona e Martina Silli, graphic designer e illustratori sardi fondatori e titolari dell’Heart Studio. Il loro rapporto col paesaggio del Sulcis e coi simboli dell’artigianato sardo è fortissimo, quasi viscerale: al punto che hanno deciso di tornare nell’Isola dopo aver lavorato a lungo in Veneto, dove dieci anni fa hanno fondato uno studio di progettazione grafica. Una scelta determinata un po’ dalla necessità di condurre una vita più “lenta” rispetto ai ritmi di una città produttiva, ricca e dinamica come Treviso, un po’ per la nostalgia del mare e del paesaggio sulcitano. Ma anche per una ragione etica e politica. “Tantissima gente va via dall’Isola e in particolare dal Sulcis, che è una provincia poverissima. Ci siamo detti: in tutti questi anni abbiamo imparato a fare certe cose, a lavorare in un certo modo. Proviamo a portare in Sardegna quello che sappiamo fare e cerchiamo di dare un nostro contributo, per quanto piccolo possa essere”.

Bruno e Martina sono una coppia nel lavoro e nella vita. Lui è nato 41 anni fa a Cagliari ma si è trasferito a Portoscuso quando era bambino. Lei ha 37 anni ed è cresciuta tra Iglesias, Narcao e Carbonia. Si sono conosciuti quando erano appena adolescenti ma poi si sono persi di vista, fino a quando non si sono ritrovati una decina d’anni dopo. “Lo studio nasce dal nostro incontro romantico e dalla voglia di creare qualcosa insieme”, raccontano. Lei è illustratrice, lui grafico. Dopo la scuola lui è partito a Milano, dove ha lavorato come metalmeccanico e contemporaneamente faceva lo stagista per studi di grafica, occupandosi principalmente di web design. Lei invece disegna fin da bambina: “Mia madre aveva notato che non facevo altro che disegnare e mi fece frequentare una scuola privata d’arte, dove andavo tre volte alla settimana accanto al normale percorso scolastico”. Bruno dopo tre anni a Milano si sposta a Roma e poi in Veneto, dove poi lo raggiunge Martina.

La coppia ha iniziato a lavorare negli ambienti musicali legati all’hardcore punk, occupandosi di poster, stampe serigrafiche, packaging e artwork di dischi di band internazionali, t-shirt, fanzine e così via. Hanno imparato a fare serigrafie insieme, da autodidatti, con un approccio all’insegna dell’artigianalità e del do it yourself. Era un periodo molto intenso, durante il quale musica, illustrazione e grafica andavano di pari passo con delle scelte etiche ed estetiche molto precise, molto nette. “L’obiettivo era ottenere il massimo dal minimo, con budget ridotti all’osso. Puntare sulla semplicità, sul messaggio e sulla sua forza”, spiegano. “Pian piano ci siamo un po’ distaccati da quel mondo. Quando si cresce cambiano le priorità. Volevamo fare altre cose e sperimentare diverse cose”.

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Il periodo trevigiano è stato lungo, caotico, intensissimo. “Arrivava tanto lavoro da tutte le parti, piccoli progetti per grandissimi nomi o grandi progetti per piccoli nomi. Aziende di prosecco come pure marchi di moda: Belstaff, ad esempio, o Lobster per cui abbiamo disegnato diverse collezioni di streetwear. O ancora aziende produttrici di treppiedi come Manfrotto e Gitzo. Quel periodo è stato un ciclone, una cosa dietro l’altro. E forse – ragiona Bruno rievocando quei momenti – tutte quelle attività cercavano di farci dimenticare quel senso di frustrazione che derivava dallo stare lontani da casa. Abbiamo iniziato a vivere secondo i ritmi di quei luoghi. Vivere per lavorare, in pratica: era una necessità quasi fisica, per cui se non hai la giornata piena 24 ore su 24 sembra che non stai facendo nulla”.

L’idea di un ritorno a casa si fa strada quando iniziano a inserire nei loro lavori richiami sempre più espliciti alle decorazioni dell’artigianato sardo. Per Bruno e Martina non è solo una questione estetica. “Abbiamo iniziato a studiare, ad approfondire il significato di quei segni che si trovano su tappeti, coperte e manufatti tessili in generale, a ricostruirne la storia”, spiega Martina. In questo modo hanno creato una sorta di ponte tra il Veneto e l’Isola. “Disegno molti animali, specie della fauna sarda. Ho una certa fissazione per il cervo, che rappresenta i nostri boschi ed è anche il simbolo di Santadi. E ho provato a racchiudere tutte queste cose insieme”.

Tutte le locandine dei workshop di serigrafia che i due ragazzi organizzano periodicamente – uno è stato ospitato al Museo Nivola a Orani – richiamano quello stile. Che è qualcosa di più di un restyling. “Mischiamo le varie forme e le assembliamo. Oppure cerchiamo di creare nuove simbologie: ad esempio abbiamo rivisitato in chiave geometrica la piantina del pozzo di Santa Cristina, un luogo che ci ha sempre affascinati molto a livello mistico. In generale ci indirizziamo verso le forme più arcaiche della tradizione ornamentale. Triangoli, rombi, la linea continua a zig zag, le linee alternate… Simbologie antichissime, comuni a tante popolazioni del mondo anche lontane da un punto di vista geografico. Come se non il nostro subconscio fosse nato all’origine con queste simbologie, quegli archetipi di cui parla Jung nelle sue teorie”.

Heart Studio in Sardegna lavora in tre direzioni. Innanzitutto la comunicazione visiva, proseguendo il discorso iniziato dieci anni fa in Veneto. Poi l’aspetto didattico dei workshop sulla serigrafia, con l’obiettivo di trasmettere ad altre persone quello che hanno imparato nel corso degli anni. Infine la produzione di oggetti di artigianato, che pian piano assumerà un peso sempre maggiore nel loro lavoro. Qualche tempo fa hanno realizzato i prototipi di una lampada da parete fatta a mano al telaio, con un disegno ispirato ad alcune piante dell’Isola, come la cicuta e la carota selvatica. Adesso invece stanno lavorando alla produzione di una serie di foulard, prodotti a mano e stampati in serigrafia. “Un oggetto che ci è sempre piaciuto e che storicamente è stato usato molto nell’Isola”, raccontano. “Abbiamo fatto molta ricerca, sui colori e sui tessuti. Abbiamo unito l’aspetto estetico, legato alle simbologie e alle geometrie sarde, all’esperienza nel campo della serigrafia”. I foulard sono fatti a mano: “Prendiamo le stoffe, le tagliamo, e poi le stampiamo a mano. Infine si confeziona: orlo, etichette, tutto artigianale e do it yourself. Senza usare materiali troppo costosi, in modo che i manufatti siano accessibili a tutti, democratici”.

Andrea Tramonte

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