di Alessandra Piredda
Un mix di cromosomi sardi e napoletani e un nome d’arte che strizza l’occhio agli artisti marsigliesi di cui è un grande fan: Jim de Banlieue (all’anagrafe Luca Femmina), crea le sue rime tra i palazzoni di Sant’Elia e gli scorci di Marina Piccola. Nato e cresciuto a Secondigliano, quartiere di Napoli, Jim ha 32 anni e da quindici vive a Cagliari. La storia del cantante sardo-partenopeo è quella di tanti ragazzi che scelgono di cambiare il proprio destino attraverso la musica. Cantare i dolori, le speranze e le esperienze di una vita nel ‘quartiere’ è una forma di riscatto sociale e un monito per i ragazzi, perchè non si perdano per strada. ’Rione Banlieue’ è Cagliari, è Napoli, ed è anche è il suo nuovo Ep uscito il 22 ottobre su tutte le piattaforme musicali. È un progetto solista del cantante, contiene sei tracce, tutte in napoletano.
Come Ghali anche tu nelle tue canzoni racconti la vita dentro il quartiere. Lui descrive Baggio e tu Sant’Elia: un contesto popolare non sempre facile. Credi ti abbia dato una marcia in più?
Sicuramente, anche se sono nato e cresciuto a Napoli, e ho passato la mia infanzia in un contesto parecchio sfidante come Secondigliano. La grande città ti insegna a vivere perché è una realtà piena di pericoli. Vedi e vivi cose che ti fanno crescere in fretta. Ho una famiglia con valori solidi e oggi riconosco che se non fosse stato così forse mi sarei perso. Quando giocavo con i miei amici non era difficile trovarsi nel bel mezzo di una sparatoria. Ci nascondevamo tra le auto finché non cessava il fuoco. Lì cresci con il mito di ‘Scarface’. Poi sono arrivato a Cagliari, una città che mi ha dato tanto. Ho i miei fan, faccio musica e posso crescere mio figlio Santiago Antonio con più serenità.
Quando è nata la passione per il rap?
Ero piccolo, e ascoltavo Eminem. Oggi ascolto la musica rap francese, e il mio nome d’arte è in qualche modo un omaggio agli artisti che seguo e che mi ispirano. Ma la passione per la musica è iniziata per gioco da ragazzino con le battle di freestyle in piazzetta. Poi ho iniziato a registrare i primi pezzi.
Sei membro del collettivo Fratelli Banlieue (con Saint Elia) anche se il tuo nuovo Ep è un progetto da solista tutto in napoletano.
Ho deciso di intraprendere questo progetto da solista perché avevo voglia di mettermi in discussione, con nuove collaborazioni, per esempio con il chitarrista Ramc (nome d’arte di Ram Prasad Secchi). Elia la pensa come me, siamo liberi di esprimerci con la musica. Nessuno ha vincoli. La musica è un momento di estrema libertà per entrambi. Cerco di sperimentare nuove sonorità. La mia musica è il frutto di influenze e contaminazioni Hip hop e R&B. Siamo una coppia aperta (ride). ‘Rione Banlieue’ è per tutta la mia gente, per i rioni che mi hanno cresciuto come un figlio, il mio mondo fatto di palazzoni, di amianto, di gente che si suda ogni cosa che fa. Poi piacciono le rime in napoletano. È una lingua che parla di me, come il sardo. Cerco di essere autentico nelle mie canzoni, partendo dal linguaggio. Essere un rapper per me significa questo. Canto i miei valori. Mia madre, mio padre (mancato da poco), mio figlio Santiago Antonio e Cagliari, città in cui ho deciso di stabilirmi.
Cosa vuol dire per un rapper fare musica a Cagliari?
Fare musica in Sardegna è complicato, perché non esistono grandi major. Nessuno investe su di te e uno che fa il mio mestiere è anche produttore di se stesso. Conosco la realtà di Milano e mi sono preso anche qualche soddisfazione musicalmente parlando. L’isolamento e la mancanza di etichette discografiche rendono difficile il mio mestiere. Dobbiamo finanziarci ogni progetto. Posso dirmi fortunato perché mi trovo a lavorare con persone come ‘Evil Room’. Per me non è solo il mio producer, ma un punto di riferimento.
Nella partita Cagliari-Napoli chi vince?
Vincono entrambe perché non è possibile scegliere tra padre e madre: entrambe sono un pezzo di cuore per me. Mi piace il calcio e lo sport, ma non sono un fanatico. Rispetto e faccio il tifo per entrambe. Non fa per me la violenza. Nelle mie canzoni canto un riscatto sociale che parte dalla consapevolezza dei valori che mi hanno insegnato.
Quali sono i progetti per il futuro?
Ne ho tanti davvero, ho nuovi pezzi a cui sto lavorando. Ma il mio obbiettivo è quello di sfondare, per regalare ai meno fortunati un piccolo sogno. Come ha fatto Ghali che io stimo profondamente come artista e come uomo. Essere fortunati significa anche saper condividere il proprio successo con chi ti sta intorno. Vorrei poter donare un sorriso a chi è meno fortunato di me, perché credo nella condivisione. La musica per me rappresenta anche questo, un luogo ideale di fortissima connessione con il mondo.