Tre anni (di solitudine) senza l’artista. Sciola, il mito che risuona nelle pietre

Ricorrono oggi, 13 maggio, i tre anni dalla scomparsa di Pinuccio Sciola, l’artista che ha portato la Sardegna nel mondo. Scultore di fama internazionale, si è formato artisticamente entrando in contatto con personalità del calibro Oskar Kokoschka, Herbert Marcuse, Emilio Vedova, Giacomo Manzù, Henry Moore. Sciola ha arricchito il proprio bagaglio di numerose esperienze europee ma, nonostante i molti viaggi e soggiorni, ha preferito rimanere radicato a San Sperate, quindici chilometri da Cagliari, poiché, come afferma il filosofo-pittore Gillo Dorfles, “solo qui poteva trovare quell’incontro di natura e cultura, di fantasia e tradizione: quell’unico ‘imprinting’ determinato dal territorio, dall’atmosfera, dalla memoria ancestrale, che gli permettesse di trovare sempre nuovi impulsi per la realizzazione dei suoi lavori”.

Sono le pietre sonore, sculture simili a grandi menhir in grado di produrre una caratteristica e propria vibrazione sonora, a consacrarlo come una delle figure più interessanti del panorama artistico nazionale ed internazionale a cavallo tra il XX e il XXI secolo. Da un punto di vista estetico è possibile individuare dei riferimenti formali con l’opera di Sciola sia nei ‘primitivisti’ Constantin Brancusi, Alberto Giacometti, Henry Moore, Jean Arp, che avevano sdoganato un nuovo linguaggio plastico caratterizzato da forme essenziali e semplificate, occasione di indagine sul creato; sia nel carattere informale di Arnaldo Pomodoro i cui bronzi sono aperti da tagli che rompono le superfici mostrando intime esplosioni geometriche, in una scultura che non vive solo al suo esterno ma anche al suo interno.

Quella di Sciola però, non è una sintesi formale, una scoperta, una creazione, bensì una vera e propria rivelazione della materia, attraverso la quale l’artista crea un inedito quanto primordiale strumento in grado si sintonizzare l’uomo con il creato. Le sculture si presentano come blocchi di pietra (principalmente calcari o basalti) che risuonano con lo strofinio delle mani o di piccole rocce. Le proprietà sonore delle sculture sono realizzate applicando incisioni parallele alla roccia che permettono di generare dei suoni molto strutturati, con differenti qualità secondo la densità della pietra e l’incisione: suoni che ricordano il vetro o il metallo, strumenti di legno e perfino la voce umana.

È Sciola stesso, in diverse interviste rilasciate durante la sua carriera, a raccontare che la pietra è senza tempo. Essa, che rappresenta simbologicamente la terra madre, è l’elemento primo del nostro pianeta e conserva una memoria degli elementi naturali con cui è entrata in contatto: una pietra calcarea, di origine marina, emette un suono liquido, così come il basalto, di origine vulcanica emette suoni molto più cupi. La pietra, secondo l’artista, racconta di se e delle civiltà da cui è stata utilizzata e riveste un ruolo molto importante nella relazione fra cielo e terra: è attraverso le pietre cadute dal cielo e quelle erette e accumulate (megaliti, tumuli, menhir) che la terra, l’uomo, entra in contatto con il cosmo.

La realtà che ci presenta Sciola è ondulatoria: ogni cosa si definisce dalla sua vibrazione specifica e l’essenza delle cose è la loro musica. Jhone Cage, compositore e teorico musicale, considerato tra le personalità più rilevanti del ‘900, affermava che “…vi è uno spirito in ogni oggetto del mondo, tutto quello che dobbiamo fare per liberarlo è sfiorare l’oggetto e tirarne fuori il suono. Non ho mai smesso di toccare le cose, facendole suonare e risuonare, per scoprire quali suoni possano produrre. Dovunque io vada, ascolto sempre gli oggetti.”

Così Sciola ‘ferisce’, apre la pietra, per scoprirne l’elasticità, lo spirito, e trarne tutta l’energia possibile.
Le pietre sonore sono senz’altro il lavoro di Sciola che ha suscitato maggior interesse: presentate per la prima volta nel 1996 a Berchidda (il paese natale del musicista Paolo Fresu, in provincia di Sassari) vengono successivamente esposte in tutto il mondo. Ad oggi vengono organizzati concerti in cui queste sculture sono veri e propri strumenti musicali; esse sono fonte di ispirazione per artisti, musicisti e compositori.

L’opera visionaria di Sciola, così fortemente legato alla Sardegna, che lui definiva ‘Isola di pietra’, è tuttora protagonista del paesaggio di San Sperate, il suo paese natio, che egli stesso ha trasformato in un paese-museo. Sui muri delle case, ritinteggiati di bianco, sono infatti stati dipinti giganteschi murales e nelle piazze sono state deposte varie sculture. Il suo lavoro è tutt’oggi valorizzato localmente anche grazie all’impegno dei figli che, tramite la Fondazione Sciola, mantengono in vita l’attività della casa-studio e del ‘Giardino Sonoro’ portando avanti la sua filosofia e quella che fu una ricerca artistica in continua evoluzione, costellata di successi, nuovi traguardi, e sfide ambiziose.

“Le pietre sonore di Giuseppe Sciola hanno il potere di suscitare in noi l’equivalente d’un evento sacro; o almeno di un evento dove il fattore simbolico s’incarna in un’opera che – prima di essere dell’uomo – è del creato (o, forse, del Creatore)”, diceva Gillo Dorfles.

Gaia Dallera Ferrario
(https://www.instagram.com/gaiafe/)

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