Cinema: si è spento a Roma Piero Livi, il decano dei registi sardi

Fuori dagli schemi. Se c’è una definizione che può aiutarci a capire chi sia stato Piero Livi, questa è probabilmente la più calzante. I suoi film, una manciata che si conta nelle dita di una mano, sono uno degli esempi più nitidi di un cinema indipendente e rigoroso su una Sardegna vista poche volte al cinema. Nato ad Olbia 90 anni fa, è deceduto ieri a Roma, città in cui risiedeva da tempo, per una serie di complicazioni dovute a un broncopolmonite. I funerali si terranno tra due giorni in forma privata, poi sarà cremato e le sue ceneri verranno portate ad Olbia nella tomba di famiglia.

Con Livi scompare non solo il decano dei cineasti isolani, ma anche l’ultimo esponente di un cinema neorealista che si muoveva tra la ricostruzione filmica e l’analisi sociale e antropologica della realtà che andava filmando. Una lezione che Livi aveva appreso da Vittorio De Seta e aveva fatto sua. Non è un caso che il suo esordio, all’epoca folgorante per come metteva in scena la Barbagia, fu con “Pelle di bandito” nel 1969, “romanzo criminale”, girato con mezzi di fortuna e attori non professionisti, ispirato alla figura di Graziano Mesina. Rivisto oggi, mantiene ancora le peculiarità che al tempo lo resero originale: attenzione agli aspetti più umani e all’ambiente. Una versione speculare ma opposta al contemporaneo “Barbagia” di Carlo Lizzani che rileggeva gli stessi avvenimenti con un taglio più americano, quasi western, tanto che ad impersonare la primula rossa sarda era Terence Hill.

«Una storia di uomini veri in un mondo vero», così aveva definito “Pelle di bandito” nel 2009 in occasione del quarantennale del film, celebrato come evento di apertura del Sardinia film festival a Sassari. E questa ricerca quasi ossessiva della verità è stata una cifra stilistica sempre presente sin dai cortometraggi precedenti alla sua opera prima, da “Visitazione” a “Marco del mare” sino alla trilogia: “Una storia sarda”, “I 60 anni di Berchiddeddu” e il “Cerchio del silenzio”, girata nei primi anni Sessanta e incentrata sulla criminalità barbaricina ora sotto forma di racconto storico – “Una storia sarda” rievoca la disamistade di Orgosolo e Paska Devaddis – ; ora più prettamente documentaristico.

Continuazione ideale di “Pelle di bandito” è “ Dove volano i corvi d’argento”, del 1976, che indaga sulle trasformazioni della criminalità sarda con l’avvento della modernità e la fine di logiche arcaiche. Più sofferte sono le sue ultime opere apparse nello scorcio degli anni 2000: “Sos laribiancos”, cruda rievocazione della campagna di Russia vista dagli occhi degli abitanti di Arasolé, immaginario paese sardo nato dalla penna di Francesco Masala e “Maria sì”, delicata educazione sentimentale di un ragazzo, purtroppo non ancora distribuita nelle sale.

Parallelamente all’attività da regista ha svolto quella di attento operatore culturale: a lui si deve, infatti, la nascita del cineclub di Olbia alla fine degli anni Cinquanta e l’ideazione della “Mostra Internazionale del Cinema d’Amatore”, poi rinominata in “Mostra Internazionale del Cinema Indipendente”, che rimarrà attiva per un decennio portando nella città gallurese opere disparate da tutto il mondo, attraverso delle rassegne monografiche sui singoli Paesi o cinematografie. Per nove anni è stato anche dirigente della Fedic, una delle nove associazioni nazionali di cultura cinematografica.

Francesco Bellu

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