“Cenere”, restaurato il film del 1916 tratto dal romanzo di Grazia Deledda

Alla fine alla grande, alla “divina”, Eleonora Duse il film non piacque per niente. Tanto da ripudiarlo, tanto da dire in una lettera indirizzata alla cantante francese, stella del Moulin Rouge, Yvette Guilbert di non guardarlo: «È una cosa di poco conto, perché non troverete nulla, o quasi nulla di me in quel film». Con il senno di poi la Duse si è sbagliata di grosso, perché è proprio grazie a lei che di “Cenere” rimane la memoria e l’esistenza stessa di quella pellicola. Senza la sua presenza monumentale probabilmente l’opera di Febo Mari, datata 1916, sarebbe finita nel lunghissimo elenco dei film muti persi per sempre, distrutti dal tempo o dal caso. Nitrato d’argento polverizzato.

Il lavoro di restauro, eseguito da Mauro Palmas per la Elenaledda vox”, è fatto di pazienza e rigore filologico. Rimettere mano ad un film dell’alba del cinema non è molto diverso dal ricostruire un testo antico della letteratura greca e latina, perché si ha a che fare con copie più o meno integre, con varianti e spezzoni. Il rigore e la conoscenza filmica sono le linee guida per un lavoro corretto. E nel caso di “Cenere” si è trattato di un restauro in digitale che ha permesso di avere quella che fino ad ora è la copia più completa: ben 38 minuti. Può sembrare poca cosa, ma per gli addetti ai lavori si tratta di un lavoro immane, perché riuscire a ritrovare spezzoni un tempo perduti e riassemblarli in ordine, coprendo i buchi di pellicola, significa letteralmente far rivivere un film.

«Abbiamo recuperato i vari frammenti da cinque copie diverse da cinque cineteche – racconta Mario Palmas che anni fa aveva riportato alla luce “Cainà” di Gennaro Righelli, film muto del 1922 – e siamo riusciti a ricostruire parte dell’opera che era andata bruciata. Ora questa versione di “Cenere” è sicuramente quanto di più vicino possa esserci a quella voluta dal suo autore». Certo rimangono i limiti stessi del film in sé: enfatico e “datato” sin dalla sua uscita, ma rimane fondamentale per essere stato l’unico film girato da Eleonora Duse e il primo tratto da un romanzo di Grazia Deledda.

La stessa scrittrice rispose alla Duse in maniera quasi sibillina in merito al film: “è un’opera tua” disse, facendo intendere che onori e oneri erano a carico di chi si era preso questo impegno. Eppure “Cenere” era partito sotto auspici diversi, basta leggere le lettere indirizzate dalla Duse alla figlia Enrichetta, che mostrano l’attrice curiosa e per certi versi impaziente di imbarcarsi in un’impresa del genere. Lontana dalle scene da anni, l’attrice aveva visto nel ruolo di Rosalia Delios un modo nuovo per poter in qualche modo risorgere. Una donna che per il figlio è capace di arrivare sino al sacrificio più estremo, attraverso un atto d’amore incondizionato, era nelle corde di un personaggio come la Duse che, nella sua carriera, aveva rappresentato la donna moderna, capace di essere padrona del proprio destino, sia a teatro, sia nella vita reale – la lunga storia travagliata con Gabriele D’Annunzio è sicuramente l’esempio più eclatante, ma non è l’unico – .

L’entusiasmo di Eleonora Duse fu tale da spingerla anche ad avere contatti anche con David W. Griffith, il grande regista di “Birth of the nation” e poi di “Intollerance” per un film su Michelangelo. Tutto però finirà lettera morta per via degli esiti deludenti di “Cenere”, con il rimpianto di poter solo immaginare cosa sarebbe potuto accadere se Griffith avesse diretto la Duse in un film. Chi sbagliò non fu la Duse che anzi infuse nel suo personaggio una drammaticità mai vista prima nel cinema italiano dell’epoca, ma fu del regista e interprete Febo Mari che nel ruolo di suo figlio Anania, non solo rimase schiacciato dalla presenza in scena dell’attrice, ma utilizzò delle soluzioni sceniche già superate. Un anno prima Griffith, con “Birth of the nation”, aveva “inventato” il linguaggio cinematografico moderno fatto di inquadrature e montaggio alternato, mentre “Cenere” era rimasto due passi indietro, ultimo esempio di un cinema che era ancora troppo teatrale, mentre i gusti del pubblico si andavano modificando alla velocità della luce. A questo poi si aggiungono difficoltà logistiche – fu girato in Piemonte in piena Prima guerra mondiale e non in Sardegna, irraggiungibile per via del blocco navale degli austriaci – che aiutano a capire come “Cenere” sia stato un film travagliato. Difficoltà di cui è rimasta una traccia indelebile, come un taglio che non si cicatrizzerà mai. Forse anche questo è un elemento in più del suo fascino.

Francesco Bellu

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