Cala Gonone Jazz, si parte da Cagliari: ecco Cristiana Cocco e Azzurra Parisi

S’ortu de sa Nespula, al Dopolavoro Ferroviario di Cagliari, sarà oggi 21 luglio l’apripista per il 34esimo Cala Gonone Jazz Festival. Un nome che richiama subito alla memoria l’aroma acidulo di quel frutto “dimenticato” come viene definita la nespola: più facile trovarla in qualche giardino, nei primi caldi di inizio estate, che tra gli scaffali delle grandi distribuzioni, dove il frutto non ha più mercato perché difficile da mangiare: ha bisogno di tempo, di attesa e pazienza per essere gustato dolce, solo dopo che è giunto a maturazione e la buccia assume una colorazione scura. È di questo tempo che hanno bisogno anche gli ascolti di questa serata, quelli condotti dalla voce di due donne – Cristiana Cocco e Azzurra Parisi– che appartengono, sì, a due generazioni diverse, seppure entrambe con dentro un fuoco vivo, determinazione, caparbietà e una profonda sensibilità artistica e umana.

Cristiana Cocco, insieme al chitarrista Giuseppe Edmondo Testa, porta sul palco “Amore baciami (Anna, Gabriella e le altre)“, dal titolo di una canzone degli anni ’40, poi cantata da tante donne per le strade e alle finestre. La voce della Cocco, attrice prestata alla musica, è un tramite, un megafono che amplifica le istanze, i sentimenti, le storie delle donne che ha scelto di raccontare attraverso le interpretazioni tratte dal repertorio delle due indimenticate signore della romanità: Gabriella Ferri e Anna Magnani. Due personalità a cui era difficile tenere testa, due anime che hanno saputo rappresentare il sentimento popolare e quello che segna ogni donna costretta a vivere in determinate condizioni, specie se indipendente, passionale, ribelle. Di Anna Magnani, Cristiana Cocco ha scelto dei brani napoletani, rimarcando quel legame che l’attrice aveva con il capoluogo campano, la città delle arti e con le sue “maschere” più note: Eduardo De Filippo e Totò, altri due attori immortali, amici e ammiratori di “Nannarella” che sapeva farsi amare per la sua schiettezza e lo sguardo magnetico e indagatore. Per la Ferri gli stornelli romani, giocosi, ma anche “strappacòre”. Canzoni d’amore di donne disilluse, sofferenti e comunque combattive, integerrime, pronte a tutto pur di essere sempre presenti a loro stesse. Ma non è solo quest’emozione così trascinante e devastante il tema dei brani, bensì la condizione della donna allora come oggi. Basti pensare ad uno dei più belli e toccanti selezionati dalla Cocco “Le Mantellate“, sulla tema della clausura e le carceri, arrivando a parlare di solitudine, invisibilità, miseria, colpa e indifferenza.

Mia madre era una grande artista – racconta Cristiana Cocco, con la voce quasi rotta dall’emozione – e mia nonna una rivoluzionaria, scappata dal suo paese, rinnegata dalla famiglia e madre di tre figli che ha cresciuto sola”. Questo spettacolo, però, dai toni intimi e personali, è anche una dedica a tante donne che vivono situazioni di violenza, di emarginazione o semplicemente si sentono inadeguate e non conformi “sono donne come me, come molte di voi, come tutte. Si sono innamorate della vita, degli uomini, di altre donne, fino a perdersi, a volte. Dentro l’amore, per amore, con l’amore”.

Azzurra Parisi, la vocalist dal timbro potente del trio Blue Eyed Soul (sul palco subito dopo lo spettacolo del duo Cocco- Testa) è l’altra figura forte protagonista della serata. Trentasei anni e un talento che vent’anni fa, mentre cominciava a muovere i primi passi nella musica insieme alla gemella Federica, l’ha portata a far parte per un lungo periodo del gruppo CGS Black Soul Gospel Choir di Cagliari. “Abbiamo sempre fatto tutto insieme, parallelamente – racconta Azzurra – ho iniziato come autodidatta, poi a venticinque anni mi sono trasferita a Roma per studiare estill voicecraft e sono diventata insegnante, è questo che faccio nella vita quando non sono sul palco”. Poi le esperienze con formazioni proprie “ho fatto sempre cover, per tanti tempo, ma ho iniziato a scrivere delle cose mie grazie a Momar Gaye, il cantante degli Zaman. A lui devo tantissimo, mi ha incoraggiata e mi ha convinta che questa cosa si poteva fare, potevamo produrre i nostri brani”. Il trio è nato successivamente, dopo varie prove e una line up di otto elementi, ma le necessità logistiche li hanno portato a ridurre i componenti e il trio – in ogni caso- funziona alla grande: “Io canto, mia sorella è percussionista e Mauro è un mio carissimo amico, un contributo speciale all’interno del gruppo. Lo caratterizza. Ha trovato soluzioni armoniche incredibili con la chitarra”. Un tassello molto importante nella vita e nella formazione di Azzurra, l’ha portata a scegliere il nome Blue Eyed Soul. “Sono andata a vivere a Londra e mi sono scontrata con la realtà, come succede a tutti quelli che si affacciano fuori dalla loro zona di comfort. Ero giovane e insicura, cercavo ancora la mia strada e una sera, in un locale dove fanno dei concerti fantastici, mi sono ritrovata in un tavolo dove alcune persone prendevano in giro (bonariamente) il ragazzo sul palco, scherzando sul fatto che i bianchi imitassero i neri – spiega -. Mi sono sentita molto in imbarazzo, mi sono chiesta cosa stessi facendo e dove volessi andare, convinta di non valere niente, in presa alla sindrome dell’impostore“. Poi, la svolta. “Un amico mi inviò il link di una pagina Wikipedia in cui si parlava di blue eyed soul, il soul fatto dai bianchi. Era una musica con una sua storia, una sua ragion d’essere e mi sono sentita in pace con me stessa. Più avanti vorrei togliere questo nome alla formazione, che ora uso solo per esorcizzare quel ‘disagio’, ma sento di non dovermi più giustificare perché ci metto l’anima in quello che faccio”

E sui progetti futuri, Azzurra Parisi si sente “disincantata”, ma continua a lottare e lancia un messaggio importante: “Con la pandemia il teatro, la musica, l’arte sono stati messi in ginocchio – dice, mostrando quel lato risoluto tenuto quasi nascosto sino a quel momento -. Faccio parte di ‘SiB, suoni in bianco‘, un collettivo di musicisti professionisti freelance nato dall’esigenza di evidenziare le lacune relative all’inquadramento giuridico e previdenziale del mondo dello spettacolo. Al momento siamo un po’ fermi, ma il nostro sarà un ruolo fondamentale, dobbiamo darci dentro su tutto e riuscire ad entrare in quella struttura del sistema che ci consenta di essere visibili, di esistere, di essere riconosciuti come professionisti. Spero questo progetto sia la spinta principale per avere finalmente un posto anche noi nel mondo dei lavoratori di cui tanto si è parlato in questi mesi. Il nostro non è solo una fabbrica di emozioni: stiamo parlando di sacrifici, viaggi, ore di prove, produzione. Il nostro è un mestiere vero e proprio“.

Alida Berli

 

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