Anonima sequestri, il pastore Mario Trudu racconta la sua verità in un libro

È quasi sempre il rapito a scrivere per raccontare i giorni della sua prigionia, quasi mai lo fa il rapitore. Diverso il caso di Mario Trudu, pastore sardo in carcere da 35 anni perché condannato per due diversi rapimenti all’ergastolo ostativo, quello che non dà diritto a nessuno sconto di pena né a permessi esterni. Del primo rapimento, quello di Giancarlo Bussi, il tecnico della Ferrari rapito nel 1978 mentre era in vacanza a Villasimius e mai tornato a casa, Trudu si è sempre dichiarato innocente. Per il secondo, quello dell’industriale bolognese Eugenio Gazzotti portato via dall’Anonima nell’aprile del 1987, Trudu è stato condannato anche per l’omicidio del rapito. Oggi a 75 anni, dopo tanti anni di carcere ‘duro’ e un diploma all’Istituto d’Arte, Mario Trudu, recluso a San Gimignano, ha deciso di raccontare “tutta la verità” in un libro pubblicato da ‘Stampa Alternativa’, “Totu sa Beridadi, cronaca di un sequestro”. L’autore, di Arzana, ripercorre la sua vita dal tempo in cui era pastore, sui monti dell’Ogliastra, poi le vicende dei sequestri e i lunghi anni di carcere. Condannato la prima volta per il sequestro Bussi, per il quale si è sempre dichiarato estraneo, scappa dall’isola di Ustica dov’era recluso e durante la latitanza sequestra l’industriale bolognese Gazzotti. Qui la vicenda si complica. Il figlio di Gazzotti prima di pagare il riscatto chiede di vedere il padre e porta con sè una pistola. I due uomini tentano la fuga sparando contro il carceriere Trudu che rimane gravemente ferito, ma risponde al fuoco e colpisce alla testa il rapito che morirà di lì a poco in ospedale. Trudu dopo più interventi chirurgici si salva e da qui si trasforma da carceriere a recluso. E racconta decenni passati nelle prigioni fra la Sardegna e “il continente”, in quel regime “eccezionale” e parallelo che fa di 1.200 persone nella sua condizione quelli “della morte viva”, perché non collaboratori di giustizia condannati all’ergastolo ostativo. Trudu ripercorre il film della sua vita con una scrittura puntigliosa e forte, come la natura e i monti sui quali è cresciuto, piena di echi della sua lingua. Della sua vicenda non risparmia niente, né a sé né agli altri. Tessuti nella narrazione, i disegni che illustrano alcune tappe della vicenda, autore lo stesso Trudu che in carcere si è diplomato in Istituto d’Arte. ‘Totu sa beridadi’ apre uno squarcio sulla storia, ancora piena di ombre, della Sardegna dei sequestri, il processo all’Anonima che tanto ha occupato le cronache a cavallo degli anni ’70 e ’80, e la figura del “giudice sceriffo”, il giudice Lombardini, suicidatosi dopo l’inchiesta aperta dalla magistratura sul suo ruolo nella fase delle trattative per la liberazione di Silvia Melis. Il libro è anche un atto d’accusa: “Ritengo che le vittime di questa faccenda – scrive Trudu – non siano soltanto i sequestrati. Pure io e i miei familiari siamo vittime di un stato che dovrebbe fare giustizia e non vendetta. Da trentacinque anni anche io sono sequestrato e senza alcuna prospettiva di uscirne vivo”.

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