Dodici anni per studiare la spiritualità, il simbolo, il mito, la ricerca disperata di un senso. Dodici anni che si trasformano in due ore di spettacolo travolgente, sintesi di una trilogia dalla grande forza evocativa: “Big Bang”, “Vergine Madre”, “Medea”. Con Lucilla Giagnoni da sola, sul palco, e le parole che diventano esplosioni, spari, catarsi di luce.
Domenica sera, al teatro di Sinnai, Lucilla, ospite apprezzata e sempre applaudita, molto amata dalla comunità che ruota attorno alla direttrice artistica Maria Assunta Calvisi e che più volte l’ha inserita nel suo cartellone, torna con “Big Bang”, successo ininterrotto da più di dieci anni e quintessenza di ciò che è il mito, l’origine, la genesi.
“Non c’è giudizio – spiega l’attrice – non c’è etica, non c’è un disegno finalistico; siamo solo uomini, con luce e ombra. Il teatro non si pone limiti morali o estetici, è importante solo ciò che è chiaro narrativamente. Il teatro è luogo di grande libertà, comprende l’umano a 360 gradi, non c’è ideologia. Il teatro è l’uomo».
E allora andiamo a vederlo oggi l’uomo a cosa si è ridotto, cosa è diventato in questi anni di crisi. Andiamo a vedere cosa è rimasto dell’origine del mondo nelle parole di Lucilla. Andiamo a vederlo il suo “Big Bang”. “Oggi abbiamo bisogno di spiritualità- conclude- il mondo vuole negare il nostro essere simbolici. Mettiamo insieme le cose, diventiamo il punto di unione fra interno ed esterno. Oggi viviamo al 10 per cento. Dobbiamo ancora guardare dall’altra parte della notte». (don. perc)