La felce “antica” che fa felice il formaggio (e anche i tour operator)

Da oggi Sardinia Post inizia la pubblicazione della rubrica Sardinia excellence. Storie, persone che rendono unica l’Isola a cura di Antonio Paolini una delle firme più autorevoli del giornalismo enogastronomico.

A Seulo, nella terra dei centenari,su casu in felixi” di Massimo Sechi

Il posto è Seulo, piena “blue zone”, l’area speciale in cui prospera la lunga vita e dove abbondano più che in ogni altro luogo al mondo (salvo pochissimi omologhi ai quattro angoli del pianeta) gli ultracentenari. Massimo Sechi, allevatore e maestro artigiano di caseificazione, non è tanto presuntuoso da pensare che il suo formaggio sia per questo determinante. Ma che la tradizione che lo muove e a cui si ispira un po’ c’entri, quello sì. “Del resto – dice sorridendo – il nostro “casu in felixi”, lavorato e protetto dalla felce fresca che finisce col decorarne la superficie lasciando impresso il ricamo fine delle foglie, oltre ai profumi vegetali delicati della pianta, richiama come aspetto quei fossili che i paleontologi scavano e che risalgono a un pacco di anni fa. E diciamo allora che qui anziano chiama anziano..”.

Sechi scherza. Ma il lavoro che fa con la moglie Michela (il lato “smart” dell’azienda, è lei che ha aperto alla felce da formaggio la via dei social) e figlio (ma ancora in forma spot: “Alberto sta scegliendo la sua strada, com’è giusto”, chiosa il papà) è roba serissima.

Cento capre di razza sardo-maltese allevate e gestite all’antica (pascolo da bordo fiume alla montagna, ogni capra ha un nome e risponde alla chiamata, una sola mungitura mattutina per non “stancare” animali e latte) in modo totalmente “nature”. E poi un apporto esclusivamente locale, da “colleghi” (e pecore) conosciuti uno per uno, di latte ovino per fare pecorino. Il tutto senza mai superare i 12-13 mila litri di latte lavorato all’anno per tipo.

Il repertorio è per scelta quello classico: fresco, semistagionato, stagionato. La qualità omogeneamente altissima (“Ci cercano perché le cose che facciamo, ci dicono, non si trovano più da nessuna parte, o quasi”). E poi c’è il gioiellino, risolutamente stagionale, anzi poco più che mensile (la felce fresca è perfetta a luglio e poco oltre, poi asciuga e non “vale” più) del “felixi”. Un formaggio delicatissimo, da consumare fresco, e che ha tripla gloria: quella della già citata bellezza (pare lavorato da un incisore), della bontà e della virtuosità del “no food waste”, l’antispreco, visto che in origine veniva fatto quando le quantità di latte disponibile non permettevano la preparazione di forme intere o c’erano piccoli avanzi del ciclo principale, e dunque il poco materiale disponibile veniva utilizzato nel modo in cui ancora oggi i Sechi lo lavorano: uno strato (lieve, aereo, cremoso) di “casu”, e uno di felce; e via così, fino alla copertura che serviva anche a proteggere il formaggio da “invasori” potenziali (insetti, mosche); il tutto viene infine avvolto in un panno di tela, appeso a sgrondare appena e venduto così. Un “panno” contiene sui 600 grammi di “casu in felixi”, al netto della protezione e della felce, e va sul chilo al lordo.

A ribadire che oggi, in Sardegna, ma non solo, in tutti i micromondi che conservano l’originalità e gli archetipi dei saper fare, dei sapori, dei rituali (e, a corredo complessivo, dell’ambiente) non c’è nulla di più moderno dell’antico, la pratica ancestrale dei Sechi e i prodotti che ne derivano si sono rivelati così attraenti che l’azienda è entrata tra le mete esperienziali di 13 “tour operator” che portano lì i loro clienti. A veder fare, conoscere, scoprire, assaggiare. Grandi e bambini, senza distinzione.

Il prossimo passo (oltre all’indotto già innescato in loco) sarà quello della fattoria didattica, che amplierà le specie presenti anche a pennuti e atri quadrupedi (maiale sardo ovviamente incluso).

Quanto al lato commerciale, la scelta fatta dai Sechi è quella del “no intermediari”: vendono direttamente, o a gruppi d’acquisto in tutt’Italia e fuori, alcuni nati tramite contatti con i Circoli dei Sardi nel continente (e nel mondo), altri col passaparola o grazie ai “ritornati” dalle visite turistiche in zona. Questo permette di mantenere prezzi assolutamente dolci rispetto al valore del prodotto: dai 14 ai 18 euro al chilo secondo stagionatura (al momento disponibili ancora tutte, ma per poco ancora vista la esile quantità prodotta) e 18-20 il “felixi”. “Stiamo a meno del market”, scherza ancora Sechi. Ma l’insegna gloriosa del suo formaggio non ha certo bisogno né di neon, né di discount civetta…

Antonio Paolini

Antonio Paolini è una delle firme più autorevoli del giornalismo enogastronomico. È coordinatore Guide food Gambero Rosso. Ha co-fondato e scrive per la testata web Vinodabere.it. Ha lavorato a lungo al Messaggero (Esteri, Economia, wine & food columnist), ed è stato curatore dei Vini dell’Espresso e nel comitato esecutivo della Guida ai Ristoranti d’Italia. Ha scritto tra gli altri per L’Espresso, Spirito Divino, Monsieur, La Cucina Italiana, I Fiori del Male, e pubblicato decine di Guide. Nel 2008 gli è stato attribuito il Premio Veronelli. Attualmente collaboratore del gruppo Sae.

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