di Andrea Tramonte
La sua giornata inizia in genere con una passeggiata nella campagna di Pula. “Oggi ho raccolto maggiorana, caraganzu e finocchietto”, racconta Emanuele Senis, chef 39enne originario di San Gavino. Poi c’è il rito della panificazione. Senis oggi ha impastato e cotto il pane fatto ieri. Il lievito naturale lo ha ottenuto macerando mele e albicocche e lo usa ormai da quattro anni. Una routine che poi lo porta nella mattinata a impostare alcune preparazioni dei piatti che propone nei menù del suo ristorante, Mema a Pula, un punto di riferimento della ristorazione nell’Isola dove dopo anni in giro per il mondo ha trovato casa, insieme alla compagna Melania. Un locale in cui propone la sua idea di cucina, che si basa su alcune idee fondamentali: valorizzare i prodotti del territorio, cercare di innovare la tradizione attraverso un incontro-confronto anche con influenze assimilate negli anni in giro per il mondo, e poi un obiettivo che si è dato per questa nuova stagione: “Divertirmi in cucina, specie in un periodo che è stato pesante per varie ragioni, tra pandemia e guerra. Voglio preparare piatti più ciccioni, golosoni, anche giocando coi classici degli anni Ottanta e Novanta. Certo non farò mai le penne al salmone, sia chiaro”.
La storia in cucina di Senis inizia da giovanissimo. “Mio bisnonno aveva costruito una rete di attività a San Gavino, come il cinema – le locandine di film appese al ristorante vengono da lì -, ma aveva anche una osteria, un panificio, un bar, un mulino. Mio padre ha portato avanti le varie attività e io ho iniziato a dare una mano al bar. La mia idea era quella di proseguire su quella strada, poi all’alberghiero ho fatto cucina e lì ho capito che volevo diventare cuoco. L’idea fondamentale era quella del voler mangiar bene. Mamma ha sempre cucinato cose buone da cui ancora oggi prendo spunto. Mangiavamo cose semplici, della tradizione contadine: ceci, lenticchie e fave non mancavano mai, a volte accompagnate col maiale altre col polpo”. Se l’infanzia di Senis in qualche modo lo orienta verso una direzione, a completare la sua formazione sono le prime esperienze che lo portano fin da subito in giro per il mondo: Berlino – in un hotel 5 stelle che vantava la consulenza dello chef di Santadi, Sergio Mei – fino a Parigi, dove ha fatto il pasticcere. E ancora Barcellona, Roma, Milano, con intermezzi importanti in Sardegna, tra Costa Smeralda e Orosei. Importantissimo nella sua formazione è l’incontro con Roberto Petza, con cui ha collaborato al Teatro Lirico, a San Gavino e a Siddi. Fino ai quattro anni a Fradis Minoris a Nora e al giro fondamentale tra Centro e Sud America (Costa Rica, Messico, Perù, Nicaragua), dove ha completato la sua formazione fino al ritorno nell’Isola con l’idea di aprire il suo ristorante.
L’idea di cucina che porta avanti si basa sul prodotto fresco, stagionale e locale, rimanendo in bilico tra tradizione e creatività, valorizzazione delle materie prime e spinte innovative. Se all’inizio il ristorante era noto soprattutto per il percorso degustazione legato ai prodotti di mare, oggi Senis propone anche menù di terra, con carni sarde come la pecora e il maiale. “La mia cucina è istintiva – spiega lo chef -. Il mio compito non è quello di inventare piatti ma mettere insieme prodotti di qualità. Sto attendo a quello che mi circonda in un determinato periodo. Una volta possono essere i funghi, un’altra alcune verdure particolari. Un giorno preparo i pesci fritti, un altro al vapore. Non mi metto mai alla scrivania a pensare a un piatto”. Certo ci sono alcune preparazioni che lo identificano maggiormente. Come la ceviche, ad esempio, che nei suoi menù non può mancare anche per le reminiscenze del periodo Sudamericano. “Faccio una ceviche alla Mema – racconta Senis -. Ho conosciuto questo piatto in Perù, in Costa Rica, ho visto tutti i modi diversi in cui è preparato. Io ho preso le varie tecniche e ho cercato di fare una versione che fosse interamente nostra. Bisogna considerare che in certi luoghi si usano pesci di lago molto grassi che hanno bisogno del piccante e del limone per essere sgrassati. Io invece non marino troppo e non uso troppo peperone”. Un’altra passione di Senis è quella delle erbe spontanee, che studia in modo approfondito e cerca di usare nelle sue preparazioni. In genere prepara una zuppa di erbe che naturalmente varia in base al periodo dell’anno. “Quotidianamente faccio una passeggiata in campagna, cerco le piante e poi le cucino. Non prevale mai un sapore di un’erba in particolare, deve essere sempre una armonia di profumi e di gusti. In questo momento ne uso tantissime: malva, crescione, vari tipi di asparagi, sette varianti di cardi, finocchietto, tarassaco, finocchietto di mare, bietole, camomilla di montagna, acetosella. Ma potrei continuare. Poi la abbino al pesce crudo o cotto, dipende da quello che troviamo in giornata”.
Il riferimento al territorio naturalmente è fondamentale. Senis si rifornisce da produttori locali e ha l’orto in casa. Poi una signora in pensione, che insegnava all’alberghiero, cerca per lui prodotti in tutta l’Isola, specie dimenticati, che cerca di valorizzare nei suoi piatti. “Ad esempio tre vecchie qualità di limoni che in antichità venivano usati per i dolci. Poi una serie di legumi, quaranta tipi di fagioli che ormai non si usavano più, varietà di pere e mele praticamente scomparse”. Il discorso sul recupero di antiche varietà investe anche la responsabilità sociale dello chef, che attraverso i suoi piatti cerca di mantenere vive delle tradizioni, trasmettere prodotti che rischiano di sparire: contribuendo, nel suo piccolo, a difendere la biodiversità. “Alcune colture sono state abbandonate perché erano meno redditizie. Oggi c’è una sensibilità maggiore nel riprendere in mano questi prodotti di nicchia, anche grazie alla ristorazione. Come chef abbiamo un compito importante e noi sentiamo di dover valorizzare certi prodotti agricoli, che altrimenti sarebbero destinati alla scomparsa definitiva”.