Il Carignano del Sulcis protagonista al Vinitaly

di Bruno Caprioli

Finalmente è tornato, e con successo. Dopo due anni di stop il Vinitaly – l’appuntamento più atteso per il business e la promozione del settore vitivinicolo – ha riaperto i padiglioni della Fiera di Verona dove dal 10 al 13 aprile 4.400 aziende di 19 nazioni hanno incontrato i 700 top buyer esteri e gli operatori del settore. Una kermesse in cui la Sardegna è stata protagonista con la “carica dei 101” produttori dell’Isola, 71 dei quali riuniti nello stand collettivo promosso dalla Regione Sardegna. Vinitaly è stato anche un appuntamento in cui l’Isola ha voluto raccontare le proprie storie di eccellenza, storie legate ad una terra che sta crescendo in maniera molto positiva.

Oltre 26mila ettari vitati, una produzione media di 640.000 ettolitri, una Docg, 17 Doc, 15 Igt. Sono i numeri di un’Isola che con il vino convive sin dai tempi dei Fenici e dei Romani, anche se alcune delle più note uve della Sardegna come il Cannonau e il Carignano sono state introdotte dagli Spagnoli nel ‘700. Oggi i vini della Sardegna sono conosciuti in tutto il mondo, dal Cannonau di Nuoro, al Vermentino di Gallura, alla Vernaccia di Oristano, dal Carignano del Sulcis alla Malvasia di Bosa al Monica passito, al Moscato, al Nasco. Ma il percorso non è stato sempre dritto è facile. A partire da fine ‘800 ed inizi ’900, quando si salvarono solamente le vigne piantate in terreni sabbiosi.

Solo all’inizio degli anni ’50, grazie alla nascita di innumerevoli cantine sociali, la viticoltura riprese piede in regione, anche se in questo periodo la produzione era concentrata sulla quantità, in particolare per i vini rossi colorati e concentrati, con altra gradazione alcolica e spesso usati per il taglio di altri vini. L’arrivo della produzione di qualità, qui come in altre regioni d’Italia, ha permesso ai vini della Sardegna di raggiungere i grandi livelli di eccellenza dei giorni d’oggi.

28 volte Terre Brune

Molte storie sono legate al Sulcis Inglesiente e al Carignano, che è stato tra i protagonisti a Verona. E come avviene sempre in Sardegna sono storie di passione, coraggio e orgoglio. Una l’ha raccontata il direttore commerciale di Santadi, Massimo Podda. La Sardegna infatti è anche terra e storia di vini iconici come il Terre Brune 2018, lanciato in questi giorni al Vinitaly, che racconta un binomio inossidabile e vincente, quello tra la stella dell’enologia internazionale, Giacomo Tachis ed Antonello Pilloni, da 46 anni ininterrottamente alla guida di Cantine Santadi e che – come ci dice con orgoglio Massimo Podda “oggi mentre siamo tutti a Verona è in cantina che continua indefesso il suo lavoro”.

Lo stand delle cantine Santadì

La storia del Terre Brune infatti può essere presa a paradigma della trasformazione e della crescita enologica dell’Isola. La crisi delle cantine sociali che tra gli anni 70 e gli 80 prima o poi colpisce tutti i produttori, chiede scelte coraggiose. Per Santadi (nata nel 1960) la svolta arriva nel 1976 quando Pilloni, alla guida del nuovo management, fa la scelta coraggiosa e chiama Giacomo Tachis. Nel Sulcis Inglesiente – Sud Ovest della Sardegna – nasce il Terre Brune che fa il suo debutto nel 1984 primo vino sardo in barriques in assoluto. Come sottolinea Podda abbiamo aperto pioneristicamente la strada verso la trasformazione in senso qualitativo dell’enologia dell’Isola. Terre Brune (95 per cento Carignano) dopo 18 mesi in barrique e 6 in bottiglia esce sul mercato. E mai oltre le 90mila bottiglie ci tiene a precisare Podda. È una scelta fortemente voluta così come quella di utilizzare solo le migliori (e costose) barriques francesi che secondo Tachis rappresentano il migliore contenitore in assoluto per l’affinamento del Carignano.

Per il lancio della 28sima vendemmia al Vinitaly il Terre Brune 2018 si presenta in una nuova veste, una bottiglia più “dritta”, con il marchio in rilievo sul vetro ed impreziosita dal Nfc – un tag sull’etichetta – che consente attraverso il cellulare di accedere al mondo Santadi. Dalla tracciabilità e autenticità dell’etichetta, fino alle schede di prodotto e alle visite in cantina. Insomma un Nft legato al mondo del vino. Ma come sottolinea Podda “oltre al territorio e alle varietà sono determinanti gli uomini. Ecco perché vendemmiamo ancora a mano e soprattutto perché abbiamo scelto di pagare molto bene le uve dei nostri soci. Un segnale forte che premia il loro impegno e stimola a lavorare bene in vigna ed a far si che i giovani rimangano sul territorio. Oggi Santadi produce un milione ed 800mila bottiglie per un totale di 30 etichette esportate in tutto il mondo (45 per cento la quota) dagli Usa al Giappone, Svizzera, Germania ed Uk. E come ulteriore premio alla qualità nel 2002 è nata una joint venture al 50 per cento fra due grandi realtà italiane del vino Santadi & Sassicaia, cioè un gemellaggio produttivo tra Carignano e Bolgheri da 330mila bottiglie all’anno.

Galesa una storia d’amore per la Sardegna

Quella di Cantine Mesa è una storia d’amore verso la Sardegna. Tutto ha inizio nel 2004 quando Gavino Sanna, creativo di fama internazionale e genio sardo nel mondo, decide di ritirarsi nella sua amata Isola. E qui volle lasciare un segno tangibile di questo sentimento avendo capito subito il potenziale del Sulcis rispetto alle aree più conosciute della Sardegna. Quello di Sanna era un progetto chiaro e lungimirante: tutela del territorio attraverso il rilancio del Sulcis. Ad iniziare dalla razionalizzazione della produzione. Via quindi gli affitti e molti investimenti in su terreni per sviluppare Vermentino, Carignano con i suoi bellissimi vigneti ad alberello. Dal 2004 la crescita procede veloce tanto che per consolidarla nel 2017, Mesa entra a far parte del Gruppo vinicolo Santa Margherita – che fa capo alla famiglia Marzotto – che punta su tenute di piccole e medie dimensioni ma che hanno carte per competere nel mercato dei grandi vini. L’imprinting e i valori rimangono quelli di Gavino Sanna, tanto che lo scorso anno nasce Galesa, nome nato da una sintesi di Gavino, Lella (sua moglie) e Sanna. Come ci dice Virginia Stancheris, responsabile Relazioni esterne di Mesa: “Galesa è un atto d’ amore personale di Gavino Sanna verso la famiglia, la sua terra e il Vermentino”.

Virginia Stancheris, responsabile relazioni esterne cantine Mesa e l’enologo, Stefano Cova

Nonostante infatti la produzione di Mesa sia ancora fortemente orientata al Carignano, “Galesa – sottolinea Stancheris – vuole essere una sfida per intercettare la tendenza che vede il Vermentino come candidato ideale per imporsi tra i leader emergenti nei bianchi nel mondo. In futuro il giovane wine lover vorrà vini più golosi e appetitosi, ma anche con profonde radici con il territorio. Questo vitigno con la sua storia, il suo gusto e profumo irripetibili è la migliore risposta a questa esigenza”. Galesa esce sul mercato con 4000 bottiglie e così sarà anche per il futuro. È un Vermentino molto importante che prima di uscire ha fatto suoi 15 mesi tra vasca e barriques, molto gastronomico, con potenza e struttura che nulla hanno a che invidiare ad altri vini.

“L’idea – prosegue Stancheris – è quella di portarlo nell’alta ristorazione in modo da superare il suo consumo “stagionale” per imporlo come vino importante da bere sempre. La scelta di farne delle poche bottiglie di alta qualità va in questa direzione. Sarà il vertice di una piramide che servirà a posizionare anche i nostri bianchi di più facile beva e gusto”. I vigneti di Mesa si estendono per oltre 78 ettari di cui il 75 per cento a Carignano ed il 35 per cento Vermentino, “Se quest’ultimo, come amiamo definirlo, è l’oro di Mesa, il Carignano è l’icona del Sulcis”.

Mesa produce Buio, solo acciaio; Buio Buio, una riserva che passa anche in legno e, infine, il Gavino Carignano Superiore. E proprio le parole scritte da Gavino Sanna racchiudono l’essenza di Mesa. “Vogliamo raccontarvi la storia di una terra meravigliosa. Una terra generosa come una madre, che offre tutto quello che ha: le sue ricchezze e le sue sfumature, i suoi aromi e i suoi profumi, la sua anima e il suo sapere… Il racconto di un territorio dove la cultura della terra è fatica ma anche amore e dedizione, un sentimento forte che tramanda un’antica arte e tradizione.

Sardus Pater e la rinascita dell’Isola verde

Sant’ Antioco è il cuore del Carignano. Qui c’è la storia di questo rosso che risale al tempo del “Padre Sardo”, la moneta romana coniata nel Sulcis secoli fa oggi marchio delle Cantine Sardus Pater che riunisce 250 soci per 300 ettari, la maggior parte dei quali condotti a Carignano. Vigneti antichi molti dei quali (100 ettari) tutti a piede franco impiantati su terreni sabbiosi con un’età media di 60 anni che in alcuni casi può raggiungere i 100. Basse rese per ettaro che producono uve di assoluta qualità. “La nostra storia – racconta il Presidente, Raffaele De Matteis – inizia nel 1949, e prosegue fino alla svolta di inizio anni 2000 quando decidemmo di abbandonare la produzione di vini da taglio (destinazione Francia) per concentrarci sulla produzione di bottiglie da immettere sul mercato. Scelta fortemente voluta dall’enologo, Riccardo Cotarella che chiamammo per affiancarci nel risollevare una situazione ormai giunta ad un punto critico e che s’innamorò immediatamente del Sulcis e dei suoi vini intuendone le potenzialità.

il presidente delle Cantine Sardus Pater, Raffaele De Matteis

Sant’ Antioco l’Isola Verde (dal colore delle vigne) infatti fino agli anni ’90 produceva quasi 180mila quintali all’anno. Vino che dal porto faceva subito rotta su Bordeaux e Marsiglia per “aggiustare” i vini francesi. Oggi, grazie all’intuizione di Cotarella (ed alla legislazione Ue) la produzione arriva al massimo ai 10mila quintali e ci permette di fare altissima qualità. Non solo in vigna grazie alle rese basse – scelta naturale per quelle a piede franco, voluta per le altre – ma anche in cantina. Introdurre le barriques per gli affinamenti ha voluto dire alzare l’asticella della qualità portando i nostri vini su standard di mercato elevati. Ricordandosi sempre però che non è il legno che nobilita il vino, magari lo arrotonda solo un po’. Il resto è la sapienza di tutti i nostri produttori. Scelta coraggiosa – prosegue De Matteis che ha pagato subito sul mercato. Dalle 300mila bottiglie iniziali si è poi passati alle 400mila. Destinazione Usa e Giappone (25 per cento), Italia (25 per cento) ed il resto nell’Isola. Dalla prima vendemmia del 2005 in poi una crescita costante basata sulla qualità. Oggi le referenze sono molte (16 etichette) soprattutto i rossi che la fanno da padrone (80 per cento) con 5 etichette di Carignano con vini di punta quali Arruga e Is Arenas, un Carignano Rose (Horus).

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