Veglia silenziosa all’albero Millenario. La volontaria: “Ora salvarlo tocca a noi”

Arrivano alla spicciolata, due o tre alla volta, anche soli. Tutti con gli occhi bassi, dopo aver attraversato un viale dai bordi in pietra che fino a una settimana fa era coperto di verde e ora è nero. In volo ci sono ancora i Canadair che dalle prime ore di stamattina fanno avanti e indietro tra il mare di Santa Caterina e gli ultimi focolai sulle montagne. Il rumore delle eliche si mischia a quello delle cicale in un campo di cenere. Chi arriva saluta e va, poche parole: un funerale.

Siamo a Cuglieri, a Sa Tanca Manna, la casa dell’olivastro millenario spezzato dalle fiamme dell’incendio che per sei giorni ha funestato il Montiferru. Forse si salverà, hanno detto gli esperti. Queste settimane saranno cruciali. L’area è off limits, chiusa da un nastro bianco rosso e un cartello di divieto: “Non calpestate la terra intorno, non asportate alcun pezzo. Non toccate l’albero”. Tre volte al giorno, per tenere umide le radici e evitare che il fuoco riprenda vigore, viene innaffiato con una pompa e un serbatoio di fortuna prima che venga sistemata un’irrigazione automatica.

A vegliare sul patriarca simbolo di Cuglieri si danno il turno diversi volontari. Oggi c’è Veronica Asunis, 36 anni, vive a Cagliari dove lavora come segretaria. Su Facebook ha letto che cercavano persone e ha deciso di passare qui da sola il suo giorno libero: “Dopo aver visto l’annuncio ho sentito il dovere di essere qui. Sarei dovuta venire con un mio amico ma non ha potuto. Sono venuta ugualmente. È giusto così”.

Mentre dà spiegazioni agli ultimi arrivati, qualcuno lascia piccoli oggetti portafortuna: braccialetti, un ciondolo a forma di sole, c’è anche un fiore poggiato alcuni giorni prima su un tronco. Un gruppo di vigili del fuoco si avvicina all’albero. Scattano fotografie, fanno qualche ripresa: “Sembra una veglia funebre” dice uno di loro. Poco più avanti un signore anziano assieme alla compagna: “Io la foto non la faccio, voglio ricordarlo com’era prima”.

Andrea Deidda

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