Una bella foto di qualche decennio fa lo ritrae in sella alle prime biciclette con le ruote lenticolari. Ma la passione, benché tardiva, non scema. Ed è frequente trovare sulle strade della Sardegna, lì dove si svolgono appassionanti duelli tra centinaia di amatori, Enrico Colombo in versione atleta. Naturalmente non mancano le uscite con gli amici al Poetto, magari ad inseguire le belle figliole su due ruote, o in impegni più seri in zona Marina Piccola, con compagni più giovani e agguerriti. Come i rulli quando gli impegni di lavoro o la consegna di biciclette e telai pregiati si fanno più gravosi. Tanto per mantenere muscolatura e condizione fisica prima di rituffarsi nel suo negozio-officina-laboratorio che lo vede impegnato ogni giorno fino a tarda sera a disposizione di clienti sempre più esigenti, ma che evidentemente riesce quasi sempre a soddisfare.
E sì perché il 50enne Enrico ha ancora un fisico da vero atleta. Taglia media, muscolatura tonica e compatta, riesce a spingere le bici di sua creazione anche a 50 chilometri orari. Del resto non si dimentica facilmente un passato da discreto dilettante, che in almeno tre occasioni potevano sfociare nel ciclismo di alto livello. Il tutto nonostante sia affetto da favismo, l’intolleranza alle fave che alla tenera età di 8 anni lo ha costretto a 3 mesi di ospedale per una crisi emolitica. “E in questo periodo questo tipo di carenza che incide sui globuli rossi condiziona le mie prestazioni nelle gare del weekend”.
Ma andiamo con ordine. La prima bici, indimenticabile, a 5 anni è la mitica Graziella. A 8 le cose si fanno più serie e arriva il Chopper giallo con il cambio sulla canna. Ma dura soltanto tre mesi, perchè con un compagno di scuola fa lo scambio e monta in sella alla sua prima bicicletta da corsa. Il lavoro con il padre, per 7 generazioni i Colombo sono stati falegnami, gli ha impedito un’adolescenza fatta soltanto di due ruote.
“A 5 anni – racconta il diretto interessato – ho costruito al tornio il mio primo giocattolo: una bellissima trottola in legno. Quindi solo verso i 17-18 anni ho cominciato a fare sul serio con la bicicletta, un mio grande amore che dovevo però dividere con il lavoro. Ciò non mi ha impedito di pensare in grande già quando ero amatore, visto che quando mi misuravo con i rivali me la giocavo. In una delle mie prime vittorie pedalai con le scarpe da ginnastica! ll debutto agonistico vero e proprio è avvenuto a 19 anni , nel 1984. Tre anni dopo i primi risultati importanti sono arrivati al giro del Trentino: 13° tra 2.000 concorrenti di tutta italia e 3° assoluto nella mia categoria. Con le mie caratteristiche di passista veloce ho impiegato 5 anni ad affermarmi nei dilettanti, ed è stato un successo che ricordo ancora oggi: 1989 a Ittiri. Ho vinto con un guizzo dei miei in volata una gara combattutissima, il trofeo Cannedu, mettendo dietro di me rivali come Pau e Demartis. All’epoca, mi piace ricordarlo gareggiavo, per il Pedale Quartese”.
Complessivamente Colombo, che si diletta ancora a gareggiare, ma che ufficialmente ha “chiuso” nel 2011, ha vinto la bellezza di 115 gare tra dilettanti e amatori. “Dopo la volata mozzafiato di Ittiri, è arrivato il triennio d’oro 1989/1991 proprio tra gli amatori: 15 successi il primo anno, 6 il secondo. Ma la mia migliore stagione fu nel 1991: ben 17 gare vinte, record personale!”.
Proprio in questi anni arrivano le prime proposte per fare il salto di qualità?
“Sì, la prima fu nel 1987 dopo l’exploit al Giro del Trentino, gara a tappe internazionale. Nell’occasione, un’azienda che costruiva case in legno voleva che lavorassi proprio in Trentino e la sera allenarmi con una vera squadra di ciclismo. Ma avevo solo 22 anni e forse non ero maturo per i grandi traguardi. Non pensai da vero professionista e il treno passò e io non lo presi”.
E sempre dal Continente altre due occasioni per fare il grande salto nel mondo dei professionisti?
“La prima volta non accettai perché portavo avanti l’attività di famiglia, la falegnameria con mio padre. La seconda volta ho detto no perchè era nato il mio primo figlio Manuel. Ma a dispiacermi di più è il veder “morire” le nuove generazioni che vanno in bicicletta. Rispetto alla mia c’è poco ricambio, sempre meno sono gli atleti che vogliono soffrire per emergere”.
Finiamo con i tuoi idoli del pedale e due battute su un grande che non c’è più, Marco Pantani e uno che forse lo sta diventando, il “villacidrese” Fabio Aru?
“La mia classifica è molto semplice: il grande Bernard Hinault, Moreno Argentin e Beppe Saronni. Ma per stile in bicicletta il migliore di tutti e di sempre rimane il mitico Gianni Bugno. Quanto al “Pirata”, ha pagato a caro prezzo il fatto che è andato a calpestare, guadagnando a sua volta, interessi rappresentati da altre formazioni dell’epoca. Infine, Aru. Che dire? Gli auguro i migliori successi e che porti sempre più in alto l’onore e la gloria della nostra ricca e unica terra, la Sardegna”.
A.O.C.