Il 14 luglio è una data importante per il futuro di Graziano Mesina, condannato a 30 anni dalla Corte d’Appello di Cagliari per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Infatti, in quel giorno è stata fissata l’udienza per il processo in Cassazione che deciderà le sorti dell’ex primula rossa del banditismo sardo, sul ricorso presentato dai difensori di Mesina, Beatrice Goddi e Maria Luisa Venier, basato sui vizi di legittimità della sentenza della Corte D’Appello. Mesina era stato arrestato il 10 giugno 2013 e scarcerato il 7 giugno 2019, per decorrenza dei termini: le motivazioni della sentenza d’appello, non erano state depositate nei sei anni previsti, facendo cadere la misura cautelare.
Per lui è stato disposto l’obbligo di firma giornaliero e non può uscire dalla propria abitazione la notte, dalle 22 alle 6 del mattino. Ma in pratica, a 77 anni Mesina era tornato a essere un uomo libero. Una gioia che aveva già assaporato nel 2004 quando il presidente Ciampi gli concesse la grazia. Mesina è stato uno dei primi esponenti del banditismo sardo con numerosi crimini che gli erano costati l’ergastolo. Nel 2013 era tornato in carcere dopo le indagini della Direzione distrettuale antimafia, secondo la quale Mesina operava al vertice di due associazioni a delinquere con basi a Cagliari e a Orgosolo, in provincia di Nuoro. Il 10 giugno 2013 il blitz che aveva portato in carcere ventisei persone delle due bande e la contestazione dell’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga dall’Italia alla Sardegna, ma anche estorsioni e altri gravi reati.