Uccise pastore a Serdiana, pentito ‘Ndrangheta condannato a 24 anni

L’ex esponente della ‘Ndrangheta, Rocco Varacalli, oggi collaboratore di giustizia a Torino, è stato condannato a 24 anni e sei mesi per l’omicidio del ventenne Alberto Corona, il servo pastore ucciso con un colpo di pistola nel 2009 in un ovile a Serdiana (Cagliari). Il pm Alessandro Pili aveva chiesto la condanna a 22 anni di carcere. La sentenza è stata pronunciata dalla Corte d’Assise di Cagliari.

È il pentito chiave dell’ Operazione Minotauro, l’inchiesta della Dda di Torino condotta dal procuratore Giancarlo Caselli che nel 2011 portò all’arresto di 142 persone in Piemonte col sospetto di aver portato la Ndrangheta al Nord. Ma Rocco Varacalli, per la Corte d’Assise di Cagliari, è anche l’uomo che la notte del 24 febbraio 2009 sparò in bocca al ventenne Alberto Corona, lasciandolo senza vita nell’ovile di Serdiana (Cagliari) dove il servo-pastore lavorava per conto di Raffaele Baldussu e del figlio Francesco. I due allevatori gestivano anche le pecore di Varacalli, arrivato in Sardegna dopo aver lasciato la cosca e aver deciso di collaborare. Per quell’omicidio, poco prima delle 14.30, la Corte d’Assise di Cagliari lo ha condannato a 24 anni e mezzo di reclusione, accogliendo di fatto le richieste del pubblico ministero Alessandro Pili. Varacalli ha assistito in aula al verdetto, pronunciato dopo due ore e mezzo di camera di consiglio, accanto all’avvocato difensore Agostinangelo Marras che nella sua arringa aveva cercato di smontare le tesi dell’accusa. Accusa rappresentata in aula proprio dal sostituto procuratore Pili che aveva coordinato l’inchiesta sin dal giorno dell’omicidio e che poi, durante la requisitoria, era stato pesantissimo. “E’ lui che ha ucciso – aveva detto – e poi ha pagato anche i funerali. Questo sarebbe un collaboratore di giustizia? E’ solo un cinico, bugiardo e abile manipolatore”.

Il pm aveva sollecitato per Varacalli, al termine della requisitoria, la condanna a 22 anni e mezzo di carcere per omicidio volontario e e un anno e sei mesi per maltrattamenti nei confronti della convivente, diventata poi testimone-chiave nel corso dell’inchiesta. Un’indagine complicata che aveva portato, in un primo momento, all’arresto e al processo di Raffaele e Francesco Baldussu, poi assolti con formula piena proprio in Corte d’Assise. Era poi emerso che durante le prime fasi dell’inchiesta sull’omicidio, sfruttando proprio la credibilità che le Procure (prima fra tutte quella di Torino) gli attribuivano, Varacalli si era offerto con la magistratura inquirente cagliaritana di collaborare alle indagini. Una collaborazione che, secondo i magistrati sardi, gli avrebbe permesso però di sviare di fatto le indagini, facendo ricadere i sospetti sui Baldussu. Gli investigatori hanno poi scoperto che il pentito avrebbe sfruttato anche i suoi viaggi in Piemonte per trafficare in droga. Ma è stato proprio durante il processo ai due allevatori, poi assolti, che la compagna del pentito aveva riferito, tra le lacrime, che la notte del delitto Varacalli sarebbe uscito di casa armato di pistola e sconvolto. Racconto poi confermato anche nel secondo processo, quando la Procura si è poi convinta che l’autore dell’omicidio fosse proprio l’ex esponente della ‘Ndrangheta. Resta un mistero il movente, anche se l’accusa sospetta che dietro l’efferato delitto (il ragazzo era stato ucciso con la canna della pistola appoggiata alla bocca) ci sia una questione legata all’allevamento delle pecore. Ora bisognerà attendere che vengano depositate le motivazioni, prima che la difesa possa ricorrere in appello.

 

 

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