Una serie tv che parla di disabilità e amore: da questa domenica su Real Time vedremo “The undateables: l’amore non ha barriere”, produzione inglese in otto puntate che racconta le storie di persone disabili in cerca di relazioni: autistici, paralitici, giovani in sedia a rotelle e con malattie fisiche e mentali di vario genere che si iscrivono a un’agenzia per cuori solitari. La serie, realizzata da Betty Tv per Channel 4, ha già raggiunto la terza edizione in Inghilterra e un grande successo di pubblico.
Ma l’idea non piace a chi la disabilità la vive nel quotidiano: “Se è vero che le parole sono importanti, connotare un programma con un titolo come “The Undateables”, tradotto letteralmente “gli inappuntamentabili”, per quanto usato come provocazione è pericoloso – sottolinea Francesca Arcadu, sassarese di 39 anni che sin dalla nascita vive sulla sedia a rotelle – Poco importa se a completare il titolo nell’edizione italiana ci pensi la classica frase buonista “l’amore non ha barriere”, perché le barriere ci sono eccome e stanno nella mente di chi ha pensato di dedicare un apposito programma alle vicende sentimentali di un gruppo di persone con disabilità alla ricerca dell’anima gemella”.
Il programma, negli intenti dei produttori, vorrebbe far conoscere il mondo delle persone disabili e celebrare la ricerca di amore come sentimento universale. “Tutto molto giusto – prosegue la Arcadu, che è presidente dell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare – sezione di Sassari e componente del Gruppo Donne UilDM – ma se all’estero probabilmente esiste una coscienza collettiva più matura rispetto alla disabilità in Italia forse non è il modo migliore per approcciarsi ad essa. Il rischio del voyeurismo, della curiosità pelosa e della permanenza all’interno dello stigma da noi è grosso e deriva dal fatto che ancora ci si approcci alla disabilità parlando di una categoria e non di persone, con la loro specificità. Mi chiedo se non sarebbe più logico e inclusivo iniziare ad invitare le persone con disabilità nei programmi e nei format comuni, includendo e non escludendo, parlando delle nostre vite insieme a quelle delle persone normodotate, considerando la disabilità solo come uno degli aspetti che ci differenziano dagli altri. Solo in questo modo potremo essere considerati in un contesto globale, parte integrante della società, perché se anche nel parlare dei sentimenti ci si differenzia e si viene sistemati in appositi “recinti televisivi” allora si continua a stigmatizzarsi, anche da soli, con l’illusione di fare qualcosa di innovativo”.
Francesca Mulas